IL LIBRO

Un libro a settimana: Sinisa e Mia

Bosco intreccia il racconto della malattia della figlia alla vita tormentata di Mihajlkovic

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Il diario di un padre che ha lottato per la vita della propria figlia. Un romanzo sportivo, una biografia romanzata: può essere definito in tanti modi il lavoro di Michele Bosco, "Sinisa e Mia" (Dario Flaccovio Editore). L’autobiografia dello scrittore si unisce alla ricerca giornalistica sull’esperienza di Siniša Mihajlović, che l’autore immagina di incontrare in un racconto che intreccia le due storie e che ha l'obiettivo di sensibilizzare, di far sentire meno solo chi vive queste sofferenze e di aiutare la Fondazione Santobono Pausilipon Onlus e l’AIRI (Associazione Italiana per la Ricerca sulle Istiocitosi), alle quali saranno donati i proventi dell’autore.

L’istiocitosi e la leucemia diventano lo spunto per un racconto di vita, senza eroi, con il calcio a rappresentarne la metafora, in una partita in cui la paura e la disperazione non devono guadagnare campo rispetto all’approccio e alla volontà di combattere: “Ce la giochiamo. Vinciamo noi”. E allora la Serbia, l’adolescenza, la guerra, i genitori. E poi l’Italia, la famiglia, la carriera. Il percorso di Mihajlović è una parabola romanzesca come le traiettorie delle sue punizioni. Potenti e dolci, come le lacrime sul suo viso mentre condivide la sua esperienza – da adolescente, prima, e da calciatore e allenatore, poi – riportata con gentilezza e garbo da Bosco, e descritta con grande trasporto ed emozione insieme a quella vissuta, con la sua famiglia, per la sua seconda figlia, Mia, che a quattro anni si è ammalata iniziando anche lei la sua battaglia.

«Non conosco il Mister, non ci siamo mai incontrati, ma le nostre anime sì – dice Michele Bosco, autore –, così ho immaginato come sarebbe stato se le nostre guerre si fossero incrociate, perché lui, con la sua visibilità, ha avuto il merito di raccontare al mondo come si fa. Come si fa a guardare il nemico dritto negli occhi e petto in fuori. Perché è lo stesso nemico di tante persone e di tanti bambini, che combattono insieme alle loro mamme e ai loro papà. È per questo, infatti, che ho voluto fortemente che il libro diventasse un mezzo per fare beneficenza, devolvendo i miei proventi d’autore alla Fondazione Santobono Pausilipon Onlus e all’AIRI. E se la metafora bellico-calcistica mi è servita per scrivere e per tentare di rendere al meglio ciò che avevo dentro, niente e nessuno deve togliere merito a chi lotta a modo suo, non sapendo come andrà a finire. Perché non c’è niente di male ad avere maledettamente paura, ad essere disperati. E anche perché, vincere, non dipende dal risultato. Ci tengo, infine, a sottolineare anche un altro aspetto: la malattia che ha colpito Mia è una malattia rara. Io e la mia famiglia abbiamo vissuto un’esperienza che ci ha fatto comprendere quanto, in questo senso, siano importanti la divulgazione e la ricerca, ed è anche per sensibilizzare su questi temi che ho voluto condividere il nostro percorso».

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