LA RECENSIONE

Resiste il mito di Bruce Lee, anche dopo mezzo secolo

Cinquant'anni dopo la sua morte è sempre vivo il ricordo del Re delle arti marziali

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Resiste il mito di Bruce Lee, anche dopo mezzo secolo - foto 1
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Sono passati cinquant’anni dalla scomparsa di Bruce Lee ma il suo mito non tramonta. Libri, serie tv, film ne tramandano la leggenda. In Italia a raccontare chi fosse l’uomo che introdusse le arti marziali in Occidente è il bel libro di Michele Martino (edizioni 66Thand2nd). Si tratta della biografia più completa uscita in Italia. “Bruce Lee, l’avventura del Piccolo Drago” racconta la vita straordinaria di questo maestro marziale, attore, produttore, filosofo, scrittore.

La sua vita è però più avventurosa di un film, sospesa tra due culture, segnata prima dalle discriminazioni razziali poi da un successo irripetibile, spezzato da una morte velata ancora di mistero

Nato nella Chinatown di San Francisco durante una tournée del padre (attore dell’opera cantonese), tre mesi dopo era a Hong Kong dove viveva la famiglia. Questa spola tra la California e la Cina sarà il leit motiv della sua vita. Proprio in Cina conobbe le arti marziali con un maestro di eccezione: Ip Man, che frequentò per cinque anni. Ma visto il carattere turbolento i genitori lo rimandarono in America adolescente. A Seattle si diplomò, lavorò come cameriere, conobbe Linda Emery che sposò appena diciannovenne e dalla quale ebbe due figli. La sua passione, insieme alle arti marziali, era il cinema. Il debutto su celluloide avvenne all’età di appena tre mesi nel ruolo di un neonato. Tra i 6 e i 16 anni partecipò come attore bambino a 16 pellicole.

Anche una volta emigrato negli States non smise mai di studiare Kung Fu inventando anche un suo stile il jeet kune do. Le esibizioni ai campionati americani di karate gli valsero le prime audizioni a Hollywood dove ottenne ruoli nella serie Batman (1966) e altre partecipazioni a telefilm celebri.

Per sfondare nel cinema trasferì la famiglia in California. Paradossalmente la parte meno interessante della vita di Lee è legata alla breve e fatale esperienza cinematografica. Nonostante amicizie importanti con star come Steve McQueen e James Coburn (a cui insegnava arti marziali) il successo dovette cercarselo in Cina. Iniziando una spola infernale per girare film da una parte e dall’altra dell’oceano. La svolta nel 1971 quando esce “Il Furore della Cina colpisce ancora”, e poi grazie al sequel “Dalla Cina con furore”. Il suo “L’urlo di Chen terrorizza l’Occidente” del 1972 entrò diritto nella storia del cinema grazie alla scena registrata (in parte) al Colosseo dell’epico scontro marziale con Chuck Norris.

Nel 1973 ottenne il ruolo di protagonista ne “I tre dell’Operazione drago” che uscirà postumo. Il 20 luglio di quell’anno morì improvvisamente ad Hong Kong. Sul suo decesso è stato scritto di tutto. Ma recenti analisi hanno stabilito che la morte possa essere causata da un colpo di calore. Lee aveva il fisico prostrato con molti chili sottopeso. Stressato dai viaggi, in lotta con le produzioni, in antagonismo con gli altri attori, utilizzava marijuana (come i suoi amici di Hollywood) era circondato da donne. Il malore fatale lo colse a casa dell’amante.

Ebbe due funerali. Uno ad Hong Kong con migliaia di persone e uno, alcuni mesi dopo a Seattle con poche persone. Il feretro fu portato a spalla dai vecchi amici del cinema come McQueen e Coburn.

Scomparso a soli 32 anni, lo star system di Hollywood come lo aveva “distrutto” lo ricompensò con la gloria eterna, facendolo entrando nel ristretto circolo dei miti americani insieme a Elvis Presley, James Dean e Marylin Monroe.

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