LA RECENSIONE

Le nuove guerre del calcio: un libro per capire il futuro del pallone

La recente pubblicazione di Marco Belinazzo ci permette di valutare i possibili scenari di un mondo che deve affrontare sempre nuove difficoltà

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La lente di ingrandimento economica attraverso la quale Marco Bellinazzo ha deciso di osservare il pianeta calcio regala sempre spunti originali. Così è anche questa volta con la sua ultima fatica editoriale: “Le nuove guerre del calcio” (Feltrinelli). Si tratta di una serie di studi e analisi su come si sta sviluppando il calcio moderno. Fino alla pandemia il mondo del pallone aveva superato tutte le crisi: dallo scoppio della New Economy alla bolla Lehman Brothers. Anzi, aveva incrementato il proprio giro di affari e l’espansione nei mercati internazionali. Ma questo sviluppo esponenziale ha prodotto vinci e vincitori con diseguaglianze sempre più marcate. La prima grande recessione iniziata con il Covid ha reso il calcio più vulnerabile. Si pensi alla chiusura degli stadi.

Oggi il calcio è terra di conquista di fondi di investimento, broadcaster, imprese di telecomunicazione, giganti del web. Tutti pronti a spendere qualunque cifra per conquistare squadre, diritti tv e relativi dividendi. Lo sport di vertice, i grandi club sono diventati come non mai oggetto del desiderio di governi autocratici che li usano per legittimarsi a livello geopolitico. Calcio usato come sportwashing e strumento di softpower. Quello di Bellinazzo è uno studio esaustivo ma per sapere come è nato questo saggio ci siamo rivolti all’Autore.

Il libro nasce da questa domanda: che calcio vedremo nei prossimi anni?
Dopo la pandemia è cambiato tutto con il sistema che ha mostrato tutta la sua fragilità accentuando fenomeni che si erano già visti nel 2003. In quell’anno Putin manda a Londra il fido Abramovic a comprare il Chelsea. Le vittorie della squadra inglese servono a ripulire l’immagine russa dopo la guerra sporca in Cecenia. Da Putin siamo arrivati fino al saudita Mohammad bin Salman.

Qual è il rischio maggiore che sta vivendo il calcio?
Quello che finisca quel fenomeno sociale e culturale che abbiamo conosciuto per tutto il secolo scorso. La trasformazione di un evento agonistico in un semplice intrattenimento relegando il calcio a diventare una specie di gioco da playstation. Ma se parliamo di un calcio virtuale ai ragazzi interessa più giocarci con il joystick piuttosto che andare allo stadio. Questo spiega la disaffezione dei giovani nei confronti di questo sport.

Quale rimedio suggerisce?
Bisogna ripartire dall’azionariato popolare. Ci sono vari esempi nel mondo dalla Germania alla Spagna arrivando fino al sud America. Club, tifosi e aziende di un unico territorio alleate. Questo sentimento di territorialità del calcio ancora esiste e spiega la rivolta contro la Superlega. Ma la piaga del calcio business si sta espandendo. Sono almeno 200 i club in mano a multiproprietà. Si tratta di holding che vogliono trasformare le squadre in laboratori di giocatori per poi creare plusvalenze. Negli Stati Uniti, invece, le leghe professionistiche sono strutturate in modo che i grandi club aiutino i più piccoli per rendere tutti competitivi. I tifosi esistono fino a che c’è la possibilità che le loro squadre siano competitive e in qualche misura vincenti.

Che responsabilità hanno Uefa e Fifa per questa deriva?
Le regole dell’Uefa hanno di fatto introdotto un oligopolio che sta uccidendo l’interesse per il calcio. La disaffezione è crescente e i club stanno facendo poco. La Champions, ad esempio, è ormai appannaggio di un piccolo numero di squadre che sono sempre le stesse. La Fifa, anche dopo Blatter, tende a ragionare solo in termini economici e continua a premiare regimi dittatoriali. Il caso Qatar non sembra il punto di arrivo di un modo di concepire il calcio ma quello di partenza. Per il 2030 si parla di una possibile assegnazione della Coppa del Mondo all’Arabia Saudita (insieme a Egitto e Grecia). La sfida sarà con la triade Spagna, Portogallo e Ucraina. Infantino sa benissimo che il calcio ha un valore soprattutto politico visto che è un fenomeno che coinvolge quattro miliardi di persone.

Lo stesso problema lo ha la Uefa che deve scegliere se assegnare gli Europei del 2032 all’Italia (dove non ci sono stadi moderni) o alla Turchia di Erdogan dove ci sono gli stadi nuovi (investiti 3 miliardi) ma non ci sono diritti.

Dal Libro di Bellinazzo si capisce che il dubbio finale e sempre più amletico. Da che parte rotolerà il pallone: democrazie o autocrazie?

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