Un volume ricco di dati, documenti e retroscena celebra la prima assoluta degli alpinisti lecchesi mezzo secolo fa sul Grido di Pietra della Patagonia
di Stefano Gatti© Archivio Ragni di Lecco
È quasi come se, da un ipotetico punto d’osservazione di fronte alla città di Lecco ma sulle sponde opposte del "suo" ramo del Lario, a metà strada tra la piramide irta di guglie della Grignetta e la cresta tagliente del Resegone si stagliasse la colossale ma al tempo stesso leggiadra lama del Cerro Torre, conficcata da inimmaginabili forze primordiali nel bel mezzo della Valsassina. È questa la prima immagine che ci trasmette la lettura di “Quelli del Cerro Torre” (Teka Edizioni), il volume che lo scrittore e giornalista lecchese Giorgio Spreafico ha dedicato al cinquantesimo anniversario della prima assoluta dei “Ragni di Lecco” (più precisamente “della Grignetta”) sullo straordinario picco della Patagonia, avvenuta il 13 gennaio del 1974 lungo la parete ovest di quella che rivaleggia con Alpamayo, Cervino, K2 e Shivling per il “titolo” di montagna più bella del pianeta. Sì perché il primo merito dell'autore (ma soprattutto il merito attribuito ai protagonisti di quella impresa di ormai poco più di mezzo secolo fa) è quello di... trasportare il "Torre" tra le montagne di casa (e di elezione) dell'esclusivo gruppo alpinistico lecchese o quantomeno l'eco del suo "Grido di pietra". Come se appunto il Cerro sorgesse tra Grignone, Resegone e Grignetta, occupando quello spazio a forma di “V” della Valsassina come se fosse la V di Vittoria: la loro, quella del 1974. Quelli del Cerro Torre ma anche “quella forte dozzina” di Ragni, allora. Quattro dei quali - la cordata di vetta - raccolsero i frutti del lavoro e dei sacrifici degli altri due terzi del gruppo nei mesi, nelle settimane e nei giorni precedenti. Addirittura nelle ore che precedettero il successo finale, fino a sublimarlo nel successo di quello che oggi viene definito il “summit push” (il tentativo di vetta).
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2024, anno di importanti ricorrenze legate alla montagna, declinate in tanti modi tra loro anche molto diversi, per non dire contrastanti. Il recentissimo ottantesimo compleanno di Reinhold Messner, alla fine dello scorso mese di luglio il settantesimo anniversario della prima italiana (e assoluta) del K2 lungo quella che è da allora la via normale alla seconda vetta del pianeta. A metà gennaio il successo dei Ragni al Torre. Due prime assolute - quella dell’elitario gruppo lecchese e quella della spedizione nazionale al K2 - sotto ogni punto di vista agli antipodi. Un confronto che stride più del metallo della piccozza o dei ramponi sulla roccia viva.
© Stefano Gatti
Fin dal titolo, peraltro, “Quelli del Torre” sottolinea lo spirito di gruppo portato intatto fino ai 3128 metri della calotta sommitale dell'enorme fungo ghiacciato che incappuccia il Cerro, contrapposto ai veleni della spedizione-assedio nazionale del 1954 al K2 in uno scontro di egoismi e individualità che portò sì al successo in vetta (e a quello personale di pochi), ma a quale prezzo e con quali durature conseguenze!
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Trasportando il Cerro Torre tra le Prealpi Lecchesi, oltre che nel loro contesto… naturale Spreafico cala il suo racconto dentro quello sportivo, di costume, sociale e politico dell’epoca. Inquadrandolo, definendolo, umanizzandolo quasi: tecnica narrativa non inedita ma sempre molto efficace. La popolazione lecchese che tifa per i “Ragni” nei bar e agli angoli delle strade, avida di informazioni sui progressi degli alpinisti lungo la verticalità del Torre, trepidante per la loro sorte in mezzo alle tempeste senza fine dell’estate australe e ai patagonici venti impetuosi, in grado di strappare intere cordate dalla roccia. Prima ancora, interrogandosi al bancone (colazione o aperitivo fa lo stesso) sulla… formazione da spedire laggiù, alla cosiddetta "fine del mondo", quasi si trattasse di quella della Nazionale di calcio ai Mondiali. Già perché - afferma Spreafico - l’alpinismo a Lecco è uno sport di massa, o almeno lo era cinquant’anni fa.
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È proprio la commistione fra l’unicità di quanto tentato (e riuscito) dai Ragni al Torre e la quotidianità di una cittadina di provincia… ad avvincere e incuriosire, la sottile linea invisibile che lega l’agire quotidiano alla grande impresa sportiva, fino al ritorno dei dodici Ragni alpinisti alla vita di ogni giorno, in attesa… di ripartire. Quasi inconsapevoli della loro impresa e forse riconoscibili, tra le vie di Lecco e da parte dei loro “concittadini”, solo per quegli sgargianti maglioni rossi dalla doppia… doppia striscia bianca sulle maniche.
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Alle premesse operative della spedizione, alla presentazione dei suoi personaggi e al suo svolgimento, l’autore antepone una dettagliata e preziosa cronistoria alpinistica del Torre, nella quale i nostri - Walter Bonatti e Carlo Mauri da una par(e)te, Cesare Maestri dall'altra - scrissero sotto ogni punto di vista lungo un versante opposto pagine eroiche ma anche controverse e sanguinose, di fatto però surclassando i colleghi inglesi, statunitensi e giapponesi. Si può anzi dire che il successo di cinquant'anni fa abbia rappresentato la chiusura di un'epopea... lecchese sulla Ovest del Torre, aperta dal primo tentativo di Mauri e Bonatti nel 1958 e proseguita dal secondo tentativo (di Mauri) nel 1970.
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La "Via dei Ragni" al Torre è ancora oggi un itinerario classico di altissimo prestigio ed altrettanto elevato impegno, alla portata solo di alpinisti di grado superiore. Come i "Ragni" che l'hanno ripetuta negli ultimi cinquant'anni, ripercorrendo le tracce dei loro predecessori. Non solo, i "Maglioni Rossi" hanno fatto la storia dell'alpinismo in Patagonia anche in tempi recenti e recentissimi. Un nome su tutti: quello di Matteo Della Bordella, tra il 2018 e il 2021 presidente del Gruppo, del quale fa tuttora parte. "Quelli del Torre" riporta gli exploits del quarantenne alpinista varesino e di tutti quelli che - dal 1974 ad oggi - hanno tracciato sottili linee rosse sulle pareti della montagna.
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Forse anche per tutto quanto appena detto, al vivo della spedizione di cinquant’anni (durata complessivamente poco più di un mese fra la fine del 1973 e l'inizio del 1974), Spreafico dedica solo una piccola parte (però centrale) del suo lavoro appena un paio di capitoli, quasi la scalata stessa fosse “solo” (e in fondo lo è) lo sbocco verso l'alto di uno slancio corale. Condiviso ma condito - inevitabilmente - da piccoli e grandi intoppi, piccole e grandi gelosie, grandi ambizioni personali destinate a confrontarsi e scontrarsi. Eppure, ecco il prevalere dello spirito di gruppo sull’individualismo, ecco cinquant’anni filati senza strascichi polemici degni di nota e gelosie senza vie d'uscita: quelle che invece i Ragni scovarono e"piantarono" con forza nel ghiaccio e nella roccia, azzardando pur di riuscire nel loro intento tecniche di progressione (come quella della "piolet traction") che di fatto ancora non erano state messe a punto!
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Ciò che resta immutabile invece è la malinconia per l’assenza (non solo la loro, certo) dei quattro Ragni che alle 17.45 locali (le 21.45… a Lecco) di domenica 13 gennaio 1974 si strinsero le mani in mezzo alla nebbia sui pochi metri quadrati della vetta del Torre, fatta di ghiaccio spugnoso e sconosciuto, ad iniziare dal capospedizione riconosciuto Casimiro Ferrari, che con il suo carisma convinse tutti che per i cento anni del CAI di Lecco - altro anniversario! - il Cerro Torre fosse la vera missione, e non il poco lontano e… quasi ugualmente straordinario Fitz Roy. Con Con lui Mario Conti, Daniele Chiappa e Pino Negri.
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Il vulcanico Ferrari ("Quelli del Cerro Torre" incorpora la sua ultima intervista da parte di Spreafico) è scomparso ai primi di settembre del 2001, a soli sessantuno anni. Ne aveva cinque di meno Daniele Chiappa alla sua morte (nel 2008) e uno di meno ancora - cinquantacinque - Pino Negri, scomparso lo stesso anno di Ferrari.
© Ester Giordani
Non si sa più nulla di Mario Conti da ormai dieci mesi e mezzo. “Classe 1944, Zenin” o anche “Mariolino” per gli amici, era più giovane di quattro anni rispetto a Ferrari e del quartetto di vetta è stato l’unico ad invecchiare, fin quasi alla soglia degli ottant'anni. Mario è disperso dal 14 novembre del 2023 nei boschi appena sopra la città di Sondrio (nella quale viveva, nella frazione alta di Mossini) e l'imbocco della Valmalenco. Sul muro di pietra di casa sua una gigantografia del "Torre"e, appesi al muro stesso in mezzo ad oggetti di uso quotidiano, attrezzi da alpinismo e diverse piccozze, forse anche quelle utilizzate cinquant’anni fa in Patagonia. Come un grido di pietra di ritorno, l'eco dell'impresa di mezzo secolo fa che ripete il cammino inverso e torna a casa.
© Ester Giordani