Dalla Formula Uno alla 500 Miglia di Indianapolis passando per la 24 Ore di Le Mans
di Stefano Gatti© Getty Images
“Prendetela come una favola reale, questa lunga storia e spremetela con cura, stando attenti ad ogni svolta, poiché l’Arancia Meccanica emette un succo ammaliante che cattura per sempre. La McLaren nasce una volta sola ma risorge sempre. Questo libro è nato per raccontarla come una creatura vivente che muta, soffre, vince, sbaglia, ma soprattutto vive”.
È questo - letteralmente - il succo di “Arancia Meccanica-La favola della McLaren” (Edizioni Minerva, collana Flat Out), la storia di una delle Case automobilistiche più ricche di prestigio del motorsport, scritta… dalla passione e dalla competenza di Marco Donnini, giornalista e firma storica di Autosprint (sono sue le parole che avete letto poco sopra).
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Al di là del titolo straordinariamente azzeccato, ben oltre la citazione cinematografica, il lavoro dell’amico Mario celebra la McLaren nell’anno in cui il team papaya ha dominato in lungo e in largo il Mondiale di Formula Uno (dopo aver fatto le prove generali "iridate" nel 2024), conquistando con largo anticipo - a Singapore - GP 18 di 24 - il decimo titolo iridato Costruttori della sua storia lunga ormai sessantadue anni, con quello Piloti (sarebbe il tredicesimo e il primo in diciassette anni) ancora da giocare tra uno dei suoi due gioielli Lando Norris e Oscar Piastri, in tutto e per tutto assecondati da un team di ingegneri e meccanici guidato (con grande orgoglio di noi suoi connazionali) da un Team Principal italiano e di scuola ferrarista: Andrea Stella, al quale l’autore dedica ampio spazio nei capitoli finali. Una lettura, quella di “Arancia Meccanica”, che ci sentiamo di consigliare agli appassionati di corse come compendio ad una stagione che ha visto la McLaren protagonista assoluta.
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“Bruce Leslie McLaren non è un ragazzino da compiangere ma un essere umano straordinariamente eclettico e meravigliosamente precoce. Una valanga inarrestabile di talento e creatività”.
È ancora l’amico Mario a “lanciare” così l’avventura del fondatore della McLaren: dalla sua sfortunata condizione di bambino affetto da una patologia rarissima che lo costrinse a letto per due anni (quando ne aveva nove) ad iniziatore di una storia che - prima insieme a lui, poi nel suo nome - è stata portata avanti dagli anni Sessanta tra grandi successi, cadute clamorose come la spy story del 2007 e prepotenti ritorni al vertice: l’ultimo proprio in questo 2025 ma prima ancora quello di inizio anni Ottanta con il Project Ford di Ron Dennis e John Barnard dopo anni di crisi profonda.
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E così fino fino ai giorni nostri, in una successione di capitoli sportivi firmati da alcuni dei più grandi campioni delle corse automobilistiche: da Emerson Fittipaldi a Lewis Hamilton, da James Hunt a Niki Lauda, da Ayrton Senna ad Alain Prost. Anzi: Ayrton Senna Vs. Alain Prost, la Rivalità con la erre maiuscola, quella che divise in tutto e per tutto Magic e il Professore che in comune avevano - tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta - solo ed unicamente… la McLaren (e poi nemmeno più quella).
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Senza dimenticare che con la McLaren hanno avuto la loro prima chance nel Mondiale futuri campioni come Gilles Villeneuve, Nelson Piquet, Bruno Giacomelli e lo stesso Prost. Con un pensiero particolare da parte nostra per la poco fortunata ma comunque significativa esperienza di Andrea de Adamich - recentemente scomparso - con la McLaren motorizzata Alfa Romeo nel 1970, l’anno della morte del suo fondatore. Una monoposto alla quale Andrea era rimasto particolarmente affezionato.
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Scoperto da sir Jack Brabham (del quale sarebbe stato vicecampione del mondo in F.1 nel 1960), Bruce sarebbe rimasto fedele alla Cooper per otto anni: dal 1958 al 1965, l’anno prima di fondare il suo team, diventandone ovviamente il pilota di riferimento. Tre le sue vittorie con la Cooper tra il 1959 e il 1962. Una sola, l’ultima, con la monoposto che portava il suo nome: al Gran Premio del Belgio del 1968 che si correva sulla versione originale (da oltre quattordici chilometri) del circuito di Spa-Francorchamps. Poco meno di due anni dopo - il 2 giugno del 1970 - Bruce avrebbe trovato la morte all’età di trentatré anni (non ancora compiuti) sul circuito di Goodwood (Inghilterra), a causa di un incidente in prova con una sua vettura Can-Am.
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Poco più di quattro anni prima aveva trionfato in coppia con Chris Amon (neozelandese come lui) nella 24 Ore di Le Mans del 1965, al volante della Ford GT40 MkII quella del (controverso) arrivo in parata delle tre Ford GT40 dominatrici della classica di durata francese. Si tratta dell’edizione raccontata nel film “Le Mans ’66-La grande sfida” (con la Ferrari), diretto nel 2019 da James Mangold, con Matt Damon e Christian Bale nel ruolo di protagonisti. Ventinove anni dopo - nel 1995 - la McLaren avrebbe colto il suo primo (e fin qui unico) successo nella classica di durata francese con la F1 GTR BMW schierata da un team giapponese, sulla quale si erano alternati Yannick Dalmas, JJ Lehto e Masanori Sekiya.
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Diviso in quarantacinque capitoli (con ricca galleria fotografica finale), ognuno dei quali dal taglio narrativo autonomo ma coerente, il libro si legge come un romanzo sportivo, con momenti di tensione, ironia, nostalgia e passione Il volume è impreziosito da testimonianze esclusive, approfondimenti tecnici, interviste inedite e - come detto - un ricco apparato fotografico. Tra i tanti che prendono la parola nelle pagine: Emerson Fittipaldi, Jo Ramirez, Alain Prost, Gordon Murray, Andrea Stella, Lando Norris, e molti altri.
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Tra i capitoli a nostro modo di vedere più interessanti ci sono quelli che ripercorrono lo stretto legame tra l’attività della McLaren in Formula Uno e quella in Nordamerica nella Can Am e nella 500 Miglia di Indianapolis, vinta dalla McLaren… ad anni alterni nel 1972, nel 1974 e nel 1976 e tuttora frequentata (insieme alla Indycar Series) con il team Arrow McLaren. Particolarmente apprezzabile la meticolosità con la quale Donnini sviscera la successione dei modelli McLaren, fin dentro le singole evoluzioni della versione originale, dimostrando massima cura per la ricerca ma soprattutto passione vera e conoscenza profonda per la storia stessa delle corse.
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“Il colore arancio? Serviva a distinguersi, certo, ma anche a farsi amare, perché Bruce voleva che le sue auto si vedessero, si notassero, si ricordassero”. (Pat McLaren, moglie di Bruce)
Eppure le McLaren non sono sempre state arancioni. Lo sono di nuovo da qualche stagione (almeno come colore-base) ma le varianti cromatiche sono state tante, alcune delle quali particolarmente iconiche, come usa dire oggi. Donnini va però oltre, richiamando alla memoria tutte o quasi le livee special edition presentate dallo stesso team ufficiale ma anche quelle adottate dai clienti sportivi sia in Formula Uno che nel campionato sudafricano della massima formula oppure ancora nella britannica serie Aurora AFX. Gli appassionati più attenti e magari nostalgici apprezzeranno in modo particolare queste pagine che riguardano un’epoca - gli anni Settanta - nella quale a spopolare era la M23, uno dei modelli McLaren più longevi e ricca di storia, gettonatissima dai team privati come solo - nei successivi anni Ottanta - l’altrettanto polivalente Williams FW07.
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L’AUTORE
Mario Donnini nasce a Gualdo Tadino (Perugia) nel 1965 e dal 1994 fa parte della redazione di Autosprint. Al suo attivo ha una trentina di libri, in gran parte dedicati ai più grandi personaggi dello sport: da Ayrton Senna a Giacomo Agostini, passando per Muhammad Ali, Gilles Villeneuve, Mario Andretti e Alessandro Zanardi. Molto apprezzate sono anche le sue opere incentrate sulle più grandi classiche del motorsport. Tra di esse, oltre l’ambito della Formula Uno, ci sono la 24 Ore di Le Mans, il Tourist Trophy motociclistico e la Mille Miglia. Dal suo libro “Tazio Nuvolari - Il rombo del cigno” è stato tratto nel 2018 il film “Quando corre Nuvolari”, con Alessandro Haber nel ruolo di protagonista. Nel 2024 il suo libro “Mike Hailwood al TT” (edito da Minerva) è stato premiato dal CONI.