Dopo un docufilm è un libro a raccontare la vita di Toni Gobbi, cittadino delle montagne
di Stefano Gatti© Grivel/Archivio Famiglia Gobbi
Come afferma nelle ultime pagine il nipote Oliviero, la traccia lasciata da Toni Gobbi nella storia dell’alpinismo, in quelledellGuiAlpine e ancora - se non soprattutto - in quella dello scialpinismo si era interrotta con l’incidente che mercoledì 18 marzo del 1970 era costato la vita a lui stesso (allora cinquantacinquenne) e a tre compagni d’escursione, travolti da una valanga di fine inverno sul Sassopiatto. Preceduto nel 2024 da un docufilm dallo stesso titolo, “La traccia di Toni” (Rizzoli) riprende quel filo e in un certo senso porta anche a termine la fatale uscita scialpinistica sulle Dolomiti rendendo senso, spessore e anche giustizia ad un’esistenza iniziata in pianura ma vissuta tra le montagne e alle terre alte interamente dedicata, fino alla sua ultima ora, scoccata a tre giorni dal via della primavera di più di mezzo secolo fa. A conti fatti, un'eredità che era in qualche modo rimasta in sospeso per cinquantacinque anni: una vita intera, la sua.
© Rizzoli
Il compito - tutt’altro che agevole - lo hanno portato affrontato e condotto a buon fine lo stesso Oliviero Gobbi (che di secondo nome fa Antonio come il nonno e di mestiere l’amministratore Delegato di Grivel, l’azienda di famiglia) e il giornalista-scrittore Gianluca Gasca, attuale direttore de Lo Scarpone”, il notiziario ufficiale del CAI, il Club Alpino Italiano. Missione come detto non facile perché - a nostro avviso - si trattava prima di tutto e in buona sostanza di collocare Toni (che con grande modestia si autodefiniva un alpinista medio) dentro una narrazione ricca di grandi nomi e di figure di primissimo livello, alla cui corda lo stesso Toni si era legato, mettendo a segno realizzazioni di altrettanto ad alto grado di difficoltà e prestigio sulle Alpi Occidentali e non solo, in Europa ma anche sulle Ande della Patagonia e sulle montagne più alte del pianeta, con diverse vie di elevato impegno sul Monte Bianco e la spedizione del 1958 sul Gasherbrum IV, la difficile piramide mozzata del Karakorum che “manca” di soli settantacinque metri la fatidica quota Ottomila ma “vanta” difficoltà pari e in alcuni casi superiori a quelle proposte daalcune delle quattordici perle della collezione.
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Da Walter Bonatti ad Arturo Ottoz, dalle più forti Guide Alpine Valdostane (del cui collegio faceva parte) a Riccardo Cassin a Carlo Mauri, Toni nell’arco di un decennio si è come detto legato alla corsa dei più grandi e non solo da secondo! Grandes Jorasses per la Cresta des Hirondelles, Aiguille Noire de Peuterey, Via Major e Grand Pilier d’Angle nel massiccio del Bianco. Cerro Paine Grande sulle montagne “alla fine del mondo” (unico rappresentante delle Guide del Monte Bianco in un gruppo formato da undici Guide del Cervino) e il già citato … quindicesimo ottimila pakistano, lo scintillante Gasherbrum IV, nel ruolo di primo collaboratore del capospedizione Cassin. Un palmarès da alpinista di punta insomma.
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Non bastano però nominare i colleghi illustri e le cime più conosciute a restituirci la grandezza e per certi versi la singolarità di Toni e in particolare quel ruolo-guida (nel vero senso del termine) guadagnato sul campo nell’arco di un’esistenza scivolata via a cinquantasei anni non ancora compiuti sopra una lastra di neve tagliata dagli sci per una tragica fatalità.
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Gli autori la ripercorrono allora dall’infanzia agli studi di legge, dal trasferimento in Valle d’Aosta al ruolo di autore di una vera e propria rivoluzione riguardante la professione di Guida Alpina, fino a quello di imprenditore e di vero e proprio padre dello scialpinismo in Italia, quello delle sue gettonatissime “Settimane Nazionali Sci Alpinistiche d’Alta Montagna": oltre un centinaio in tutto dai primi anni Cinquanta fino al 1970, l’ultima delle quali gli è costata la vita. Il segno tangibile di una disciplina che - dopo di lui - avrebbe cambiato completamente strada.
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Non resta, oltre a consigliare vivamente di… seguire la traccia di Toni, che segnalare lo straordinario corredo iconografico che accompagna la lettura dei dodici capitoli e il suo tredicesimo: quello intitolato “L’eredità di Toni Gobbi”. Nel venire a patti con un nonno così illustre, il nipote Oliviero la suddivide su tre livelli (personale, familiare e... universale). È per forza di cose il capitolo più vivo e il più vivido. E l’immagine di Oliviero seduto (cinquantatré anni più tardi) sullo stesso sasso dal quale di lì a poco Toni si sarebbe alzato per l’ultima discesa insieme ai suoi altrettanto sfortunati compagni non potrà lasciarvi indifferenti. È la chiusura di un cerchio o - più adeguatamente - la prosecuzione senza fine certa di una linea (questa sì certa e sicura) nella neve vergine.
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