Quel filo che unisce Scirea, l'Heysel e Davide Astori

Le scritte vergognose fuori dal Franchi e una lezione da imparare. Perché dentro l'assenza c'è un comun denominatore ancora più grande...

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La prima cosa che viene in mente è che sia il gesto di un ragazzino. Non solo perché un uomo, si spererebbe leggermente più saggio, non avrebbe mai scritto quelle cose. Ma anche perché chi ha l'età per aver visto, o sentito, Gaetano Scirea, e vissuto la terribile notte dell'Heysel non sarebbe stato in grado di scindere quelle tragedie da quella che ha colpito Davide Astori. Le scritte fuori dal Franchi che hanno calpestato la memoria di uomini e famiglie - perché così vanno intesi - non possono essere derubricate alla voce bravata, ma - speriamo - nemmeno possono essere immaginate come il gesto offensivo e idiota di un uomo maturo. Non dovrebbe contare, ma conta.

Gaetano Scirea non era molto diverso da Davide Astori. Questo, innanzitutto, bisognerebbe spiegare a quell'imbrattatore codardo. Era misurato come Astori, in certo senso invisibile come Astori, educato come Astori, padre come Astori, legato ai colori della sua maglia come Astori e, in ultimo, capitano come Astori. Capitano proprio per tutte queste qualità umane che sono state poi anche di Davide. In questo senso, dentro una distanza temporale significativa, Scirea e Astori hanno una estrema vicinanza di modi e sentimenti.

C'è dell'altro ed è ancora un filo che unisce e che proprio Firenze dovrebbe comprendere così a fondo. All'Heysel c'erano le famiglie. Non sono morti ultras facinorosi - ben inteso, non avrebbe fatto differenza -, ma il vicino di casa con cui prendersi in giro al bar, il padre e il figlio, la bambina tifosa e il collega d'ufficio. All'Heysel non è stata una battaglia tra bande, orribile ma combattuta ad armi pari. In quel lungo pomeriggio e per tutta la serata a essere aggredite e poi colpite e poi massacrate sono state le famiglie. Famiglie come quella meravigliosa di Davide Astori, ancora una volta. E sono rimaste vedove madri come Francesca Fioretti, donne così intensamente innamorate e ferite da lasciare a tutti noi parole toccanti, ricordi intensi e un dolore magari lontano ma vivo sotto la pelle e sui bordi degli occhi.

Non sappiamo se la soluzione invocata da Allegri sia giusta, non sappiamo se per certe persone, per certe schifezze, serva realmente una punizione esemplare, "quasi la galera" ha detto Max. Ma sappiamo che ogni volta, per ogni parola insulsa spiaccicata su un muro, le cicatrici di anni che se ne vanno senza portare mai via del tutto la sofferenza si riaprono lasciando sgorgare sangue.

Per questo a quel ragazzino - ci rifiutiamo di chiamarlo uomo - bisognerebbe far incrociare gli occhi di Mariella Scirea o dei padri che non hanno più figli, delle madri che non hanno più mariti, degli uomini tutti che non hanno più il fratello o l'amico. Per questo a quel ragazzino basterebbe far vedere da vicino cosa ti lascia addosso la morte. Anche se ha il volto dolce di Francesca Fioretti o la mano vuota della sua piccola Vittoria. Per questo, sopra ogni cosa, è necessario che provi vergogna. Per sentire e capire. Una volta per tutte.

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