Addio a Nicola Pietrangeli, l'uomo della Coppa Davis
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Il campione romano si è spento all'età di 92 anni nella Capitale dopo una carriera all'insegna di grandi trionfi
di Marco CangelliIl tennis italiano piange la sua icona. È morto a 92 anni Nicola Pietrangeli, unico tennista italiano inserito nella Hall of Fame del tennis mondiale. È stato probabilmente uno degli ultimi esempi di Belle Epoque riportato in campo sportivo. Elegante, posato, a tratti blasonato, il tennista romano ha rappresentato per decenni il tennis italiano accompagnandolo nella transizione verso l'Era Open.
La dimostrazione che fosse un personaggio fuori dal tempo arriva direttamente dalla sua famiglia: figlio di un'aristocratica di origine russa (sfuggita dal regime sovietico dopo la Rivoluzione del 1917) e di un imprenditore tunisino (a sua volta figlio di emigrati abruzzesi), Pietrangeli visse la sua infanzia a Tunisi imparando francese, russo, spagnolo e inglese dovendo però far i conti con la Seconda Guerra Mondiale che, nel corso di un bombardamento, gli portò via la casa e lo costrinse successivamente a vivere in un campo di prigionia con il padre in seguito all'occupazione alleata. Proprio al termine del conflitto la famiglia Pietrangeli si ritrovò espulsa dal Paese e relegata in Italia dove inizialmente il bambino Nicola ebbe grandi difficoltà ad ambientarsi e soprattutto a imparare l'italiano, lingua che però piano piano imparerà ad amare insieme a Roma, dove è rimasto fino alla fine dei suoi giorni.
Appassionato di sport come il padre Giulio, tennista amatoriale, ma soprattutto rugbista di valore nazionale, Nicola Pietrangeli visse una prima fase della sua carriera alternando il tennis al calcio giocando anche fra le fila delle giovanili della Lazio, ma soprattutto mettendosi in mostra con la racchetta all'età di diciotto anni quando prese parte agli Internazionali d'Italia 1952 e uscendo al primo turno con il belga Jacques Peten. Da quel momento per Pietrangeli iniziò una carriera in grande ascesa e in grado di portarlo ben presto sui principali palcoscenici dello sport internazionale, prediligendo sempre l'amata terra rossa che gli regalò le vittorie al Roland Garros nel 1959 e nel 1960 oltre alle finali perse nel 1961 e nel 1964.
Per due volte vincitore agli Internazionali di Roma e per tre a Monte-Carlo, fra i suoi terreni di caccia preferiti, Pietrangeli riuscì ben presto a entrare nelle grazie dei giornalisti di tutto il mondo, all'epoca deputati a stilare le classifiche considerata l'assenza di un vero e proprio ranking. Come spesso ripetuto da Pietrangeli al termine della sua carriera, il romano divenne il numero 3 della graduatoria stilata da Lance Tingay nel 1959, mentre il collega Ned Potter lo pose al quarto davanti a tutti gli altri tennisti europei dell'epoca.
Scaltro, guascone e amante della bella vita (è noto il suo aforisma per cui avrebbe vinto molto di più se si fosse allenato maggiormente senza però godersi la vita appieno) Pietrangeli seppe centrare nel 1960 la semifinale di Wimbledon oltre a vincere il doppio e il doppio misto al Roland Garros e giungendo in finale sull'erba inglese disdegnando i terreni più duri dell'Australian Open e degli Us Open, come talvolta accadeva all'epoca.
Il meglio di sè probabilmente lo regalò però in Coppa Davis dove da giocatore ottenne due finali nel 1960 e nel 1961, ma soprattutto realizzò una serie di primati come quello di vincere 120 incontri fra singolare e doppio, vincere 78 incontri in singolare sui 110 disputati oppure affrontare 164 sfide complessive, nessuno come lui al mondo. Quel trofeo che inseguì più volte da giocatore lo raggiunse però da capitano in quella magica cavalcata del 1976, culminata con la discussa finale vinta sul Cile. Mentre l'amico Adriano Panatta, il toscano Paolo Bertolucci, il friulano Corrado Barazzutti e il conterraneo Tonino Zugarelli combattevano sul campo, Pietrangeli lavorava fra le fila dei politici convincendo il governo ad approvare la trasferta di Santiago del Cile con un perfetto gioco di sponda fra Partito Comunista e Democrazia Cristiana che gli consentì di trovare il placet del presidente del Consiglio Giulio Andreotti.
Una mossa che spiega molto chi fosse Pietrangeli, a volte troppo ingombrante anche per i suoi giocatori e per certi versi superato anche per gli stessi che l'anno successivo, dopo la finale persa contro l'Australia, chiesero le sue dimissioni per sostituirlo con Bitti Bergamo, sconfitto al primo nel 1978 dall'Ungheria. Anche dietro questa vicenda sono nate numerose storie spesso smentite dal fuoriclasse tricolore che ha fatto in tempo a vedere l'Insalatiera tornare in Italia e alzarla nel cielo di Malaga insieme a Jannik Sinner, completamente diverso rispetto a lui, ma per certi versi il naturale erede di un uomo senza tempo.
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