SKYRUNNING

Scalmanati, scappati di casa e "scatenati": un giro d'orologio su è giù per le Grigne di UTLAC40K

Non c'è niente di meglio che viverla da dentro, se vuoi raccontare con... cognizione di causa una skymarathon nel gruppo delle Grigne.

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© Alessandro Zambianchi Agency

Escono dal letto appena fa giorno (e alle porte dell’estate albeggia molto presto!), un po’ furtivamente, di soppiatto. Con il pretesto del lavoro, di una scadenza improvvisa e dimenticata. Chissà poi se mogli e mariti, compagne e compagni, fidanzate e fidanzati ci credono davvero. Si girano dall’altra parte mentre loro, “gli scappati di casa", hanno già buttato in macchina lo zaino preparato solo poche ore prima ed hanno infilato tutte le marce. Rotta su Lecco, il via di UTLAC40K. E poi saranno boschi e sudore, roccia e fatica: panorami solo intravisti e passione esercitata fino all'ultima stilla. Lo skyrunning duro, quello vero!

Devi essere qualcuno per stare qui stasera
Essere pronto a dannarti l'anima
Devi convincerti che non sei l'unico a esistere
Devi suonare l'armonica finché la bocca non sanguina

("Un angioletto come te" - Francesco De Gregori)

Mogli, mariti e via dicendo si svegliano e magari iniziano a... realizzare, ad insospettirsi. E fanno bene perché noi siamo già in compagnia del nostro amore segreto ed in un certo senso estremo, se non proprio proibito: la corsa e quella sui sentieri in particolare. Mica sentieri così per dire: creste di roccia, rampe ripidissime, precipizi e tratti attrezzati con corde e catene di sicurezza. Davanti abbiamo quaranta chilometri e 3500 metri in salita. Fatto l’itinerario, trovato… l’inganno. Sì perché a fine giornata i chilometri nelle gambe saranno più di quarantatré e il dislivello coperto supererà i 3900 metri. Non siamo tanti: un centinaio di scalmanati.

© Carmela Vergura

La tradizionale… sproporzione uomini-donne è rispettata: uno a dieci. Anzi, una. Ragazze in gamba - Sara e Cecilia, Anna e Silvia, Elena e Francesca - che non ci hanno pensato su troppo e - se lo hanno fatto - si sono sbrigate a buttare di sotto i dubbi ed ora sono lì, nella strategica location di Piazza dei Cappuccini, in fondo a via Turati: uno dei luoghi centrali di Lecco ma al tempo stesso ideale per svicolare in fretta fuori dall’abitato e non… disturbare troppo la popolazione in questo primo mattino del secondo sabato di giugno. Che contrasto con sette giorni fa e la classica ResegUp! Lì eravamo 1100, qui 111. I conti sono presto fatti. Quattro chiacchiere con Andrea e Paolo (che non sono due apostoli ma i miei compagni di squadra della Sportiva Lanzada), il punto della situazione dei rispettivi acciacchi con l’amico Dario che corre per i Carvicos (Carvico Skyrunning) ed un breve riscaldamento con Andrea, che è stato mio compagno di staffetta quattro anni fa alla VUT (Valmalenco Ultradistance Trail). Poi tocca all’amico speaker Thomas Sosio - che piacere vederti lì! - accendere la miccia: Let’s make some noise, Thomas! Rimettiamo a dormire i lecchesi e siamo già tra i boschi.

© Alessandro Zambianchi Agency

L’asfalto finisce presto, tocca sorbirci le prime rampe ma soprattutto i primi chilometri un po’ “off topic” verso Mandello, passando sopra la superstrada ma soprattutto sotto gli scomodi archi a "V" delle reti paravalanghe: decine di "V" (per vendetta?), una gogna continua e ripetuta, sotto la quale si passa più o meno tutti a testa alta ma… meglio non distrarsi: non favoriscono comunque la fluidità di corsa e - appena possibile - le contorniamo a sinistra, lato lago. Sassi e radici affioranti: dopo due chilometri la prima storta. L’itinerario si complica subito: puntiamo Mandello lungo il Sentiero del Viandante ma prima una bella serie di rampe sassose e sentieri single track. Da Abbadia le difficoltà scemano appena, ma bisogna correre verso il primo punto di ristoro idrico di San Giorgio che (scoprirò molto ore dopo) rappresenta anche l’inizio dell’ultimo chilometro di gara, la chiusura dell’anello alto che stiamo per attaccare. Per fortuna non ci faccio caso.

© Alessandro Zambianchi Agency

Una gara nella gara: un vertical (non l’unico) dentro una skymarathon. Da Mandello al Rifugio Rosalba, a 1730 metri di quota sulla Spalla della Grigna Meridionale. Boschi a non finire, poi una vegetazione più bassa ed intricata, le pareti di roccia che incombono, le prime catene ed un lungo traverso a mezzacosta tra le guglie di pietra che sbucano come funghi dal terreno sul fianco della montagna. Il rifugio fa la sua apparizione all’orizzonte ottico ma per raggiungerlo impiegherò ancora una mezz’oretta, lungo la quale (come capita ormai da metà salita) perdo un sacco di posizioni ed inizio a pensare di essere “al solito” nella parte bassa della classifica.

© Carmela Vergura

Mi ingozzo di acqua e Coca-Cola al ristoro, cerco di convincere un collega in difficoltà a proseguire nonostante la sua voglia di scendere, poi lo vedo davvero “finito” ed abbandono la missione. Si riparte: basta boschi, prati e così via. Mettiamo finalmente e stabilmente piede (ed a tratti mani!) sulla roccia delle Grigne. La prospettiva mi rigenera, le energie tornano a fluire. Su fino al Colle Valsecchi dove molliamo l’itinerario che porta in vetta e prendiamo a sinistra. Tocca alla traversata su roccia (attrezzata!) verso il fondo della Val Scarettone. Per fortuna hanno chiuso la via agli escursionisti: è tutta per noi, almeno per qualche ora.

© Carmela Vergura

Entra in vigore una sorta di neutralizzazione o meglio di patto di non belligeranza… a tempo. Tutti in fila, rispettosamente. A parte i soliti fenomeni che sbuffano perché pensano di saperla più lunga degli altri ed appena possono passano fuori via: rischiando inutilmente loro, rischiando di travolgere noi. Qui c’è poco da scherzare! Riesco a trovare la “track position" che cercavo: tre o quattro davanti da seguire, nessuno dietro a mettermi pressione. Ad un certo punto sento un richiamo da dietro. Il collega che mi segue ad una trentina di metri di distanza lineare si è mezzo “incrodato” in un canalino: “Ehi, scusa: dove metto adesso il piede?” È capitato pure a me, ma quella volta ho potuto contare sul suggerimento di una Guida Alpina!

© Alessandro Zambianchi Agency

Risolto il tratto più tecnico dell’itinerario - non l’unico come anticipato ma il più lungo e continuativo - risaliamo i tornanti che danno accesso al breve tratto attrezzato della Bocchetta del Giardino. Scavalcato l’intaglio sulla cresta, davanti a noi si apre il versante valsassinese delle Grigne. Lassù la vetta della Grigna Settentrionale ci attende (i toprunners saranno già da quelle parti…). Prima però dobbiamo scendere e di molto. Il sentiero è pietroso all’inizio, poi si fa più dolce ma ugualmente impegnativo perché si restringe fino a farsi obbligato, tra vegetazione bassa ed un po’ soffocante, i soliti massi e le solite radici. Corro ma cerco di non esagerare, perdo ancora qualche posizione, poi però scatta qualcosa dentro e ne metto tre o quattro nel mirino lungo la risalita fino al Rifugio Antonietta al Pialeral, dove un anno fa mi ero ritirato, ormai in gran ritardo per colpa del ritmo al rallentatore causa fascite plantare. Sarei riuscito a spillarmi di nuovo addosso il pettorale solo al Valtellina Wine Trail di novembre! Tornare lì solo per una breve sosta-ristoro prima di ripartire e… chiudere il conto aperto da un anno vale l’intera giornata. Un paio di colleghi arrivati prima di me si stanno organizzando per tornare a valle anzitempo. Stavolta non provo nemmeno a convincerli: so quello che provano.  Altri tirano il fiato e… la tirano in lungo. Forse un po’ esitanti sul da farsi. Davanti abbiamo come minimo due ore sotto il sole a picco di mezzogiorno (e poi delle tredici, e poi delle quattordici…) per poter raggiungere il Rifugio Brioschi, appena sotto i 2410 metri della vetta del Grignone. Rompo gli indugi e mi rimetto in marcia bello deciso. Forse era la mossa che altri attendevano: mi vengono dietro. Ultime decine di metri tra la rada vegetazione e poi prateria verso l’attacco della salita vera. È qui che mi imbatto nell’amico Andrea che mi aspetta seduto all’ombra di un grosso masso:

-“Ho finito la benzina…"

-“Prova a seguirmi!”

NIente da fare, purtroppo, non funziona. Troverò un suo messaggio al mio arrivo a Mandello. In quelle condizioni era impensabile proseguire oltre. Invece io per fortuna sono nel mio momento migliore: nonostante il caldo, la fatica, la salita continua e implacabile.

© Carmela Vergura

Trovo uno dei colleghi che mi avevano superato nel vertical del Rosalba (a proposito, quello che sto affrontando è il secondo della giornata!). Mi cede volentieri il passo con l’intento - candidamente dichiarato - di prendermi come punto di riferimento. Salgo del mio passo regolare fino al rifugio, mettendone dietro un altro paio ed incrociando decine di escursionisti che iniziano a scendere. Al ristoro in vetta non ricordo di aver notato la figura di Claudio Ghezzi, il “re delle Grigne” che meno di ventiquattro ore dopo sarebbe mortalmente precipitato sulla vicina via ferrata del Sasso dei Carbonari. Forse si era allontanato un attimo dal ristoro, forse l’ho visto e salutato ma ero… troppo stravolto. Mi piace pensare che noi “scappati di casa” di UTLAC40K - passando di lì - gli abbiamo reso un ultimo omaggio, anche se non potevamo saperlo.

© Alessandro Zambianchi Agency

Scollinato il GPM della gara, ci lasciamo alle spalle la Valsassina ma le acque del ramo lecchese del Lario sono ancora lontanissime laggiù in fondo. Affronto le catene del primo tratto sotto la vetta e, sopra una lastra di roccia “bella” liscia, finisco per mettere giù le mani: anzi no, qualcos’altro (le mani sono ben aggrappate alle catene ma appunto non basta per evitare il pestone…). Discesa piuttosto tecnica lungo la Via della Ganda ma, nonostante la guardia sia alta, prendo non so come troppo a destra. Dove sono bandierine e fettucce? Senza saperlo mi viene… in soccorso l’amico Dario che - in piena rimonta - mi sfila un centinaio di metri più su e a sinistra. Lo punto e recupero la retta via ma non c’è verso di raggiungerlo. Scendo al mio meglio fino al Rifugio Bogani e qui scatta - per mia fortuna - il secondo momento-autostima. Già perché, come avvenuto al Pialeral, anche qui rimargino una ferita, ancora più recente: il ritiro nel corso della Skyrace Extreme di Esino di tre settimane fa. Mentre prosciugo un bicchiere d’acqua dopo l’altro, lo faccio notare alla compagna del gestore che infatti si ricorda di me e mi fa un grande in bocca al lupo. Next stop, la Bocchetta di Piancaformia che, nella sua parte iniziale, incide la spettacolare Cresta omonima. Quella che - con difficoltà crescenti via via che si impenna - va a spegnersi proprio sulla vetta del Grignone, dalla quale proveniamo. Avremmo dovuto scavalcarla più in alto: alla Bocchetta del Guzzi, scendendo per l’itinerario che la collega al Rifugio Bietti, percorso invece in salita (ma ormai deciso a fermarmi) venti giorni fa alla Skyrace di Esino… di cui sopra. Ai volontari che mi indicano la direzione da seguire - più rivolto a me stesso che a loro - rispondo con un “adesso tutta discesa!” che facevo forse meglio a tenere per me. Perché non sarà così!

© Alessandro Zambianchi Agency

Mi abbasso di un centinaio di metri di quota, lascio a destra la spettacolare Porta di Prada (che non arriviamo a vedere) e mi rendo infatti conto che la… tranquilla traversata al Bietti è molto più accidentata nel previsto, dovendo lungamente contornare verso l’alto una paretina rocciosa. Sbrigata l’incombenza e guadagnata una quota inferiore, non resta che attraversare verso il rifugio ormai ben visibile. Ultimo ristoro, ultimo scambio di battute con i gestori dello stesso e… giù per la profonda Val Meria.

-"Dai che da qui è tutta discesa... Vabbeh, quasi...!"

Ecco, appunto!

La distesa di tetti rossi di Mandello è là sotto: ben visibile, come la macchia verde del suo lido, dove è posto il traguardo. Ma la strada è ancora lunga: me lo suggeriscono i ricordi del TGS, il Trail Grigne Sud che si svolge ad inizio autunno (quest'anno sabato 1. ottobre) e la cui sezione centrale ha molti tratti in comune con a parte finale di UTLAC40K. Si scende… ripidamente, nel bosco sempre più fitto: un tipo di terreno che non amo particolarmente. Da skyrunner “dentro” preferisco viaggiare al di sopra della linea della vegetazione d’alto fusto: su prateria alpina, spazi aperti, pietraia e roccia. Mi abbasso quindi faticosamente ed un po’ noiosamente. Raggiungo Anna che poi mi riaggancerà più a valle, una volta superati i nuovi tratti in salita che - man mano che ci avviciniamo a Mandello in linea d’aria - sembrano invece portarcene sempre più lontano. Questione, come poco fa, di superare al suo margine superiore la profonda forra scavata dal Meria.

© Carmela Vergura

Mi viene un sospetto. Guardo il GPS: quaranta chilometri, dovremmo essere in vista del traguardo ma il lido è laggiù e noi abbiamo solo messo piede sull’asfalto della frazione alta di Rongio. Si sale ancora, sull’asfalto bollente. Poi entriamo a Maggiana e qui… la sorpresa dietro l’angolo: è in pieno svolgimento una festa… medioevale a base di costumi dell’epoca e coeve botteghe artigiane. Finisce che quelli vestiti “strani” siamo noi! Per fortuna un paio di volontari ci indicano come fendere la folla di capitani di ventura e dame di corte, soldataglia, cortigiane e maniscalchi e così prendere il bivio giusto. Dopo averci chiacchierato un po’ insieme, abbandono la compagnia di Anna ma non quella dei fantasmi di qualcuno che potrebbe raggiungermi se non tengo alta la soglia d’attenzione, mentre impreco a voce alta contro un itinerario del quale inizio a disperare di vedere la fine. Poi ecco il ponte che scavalca la superstrada (attraversato in senso opposto undici ore fa), l’ormai ex ristoro di San Giorgio a Crebbio e la passerella tra le vie del centro storico di Mandello. Fino al traguardo che attraverso in 73esima posizione, bloccando il cronometro undici ore e venticinque minuti dopo averlo fatto partire… Quasi un giro completo di orologio, trentacinque soli minuti allo scadere del tempo massimo, ma tutti quelli capaci di raggiungere Mandello (91 su centoundici) verranno io credo giustamente classificati, anche chi lo farà dopo le fatidiche diciannove e zero zero!

© Alessandro Zambianchi Agency

Mi godo le feste che mi fanno lo speaker Thomas, gli organizzatori Andrea, Nicola e Marta. Esibisco orgogliosamente la medaglia finisher e noto che - nonostante tutto - sul tavolo ne restano ancora parecchie: una ventina cingeranno il collo di chi mi segue sul traguardo, altrettante rimarranno… inevase! I loro destinatari non si sono presentati alla partenza, altri come raccontato sopra hanno preso la strada di casa senza passare dal via, anzi dal traguardo. Sarà per un’altra volta. Magari l’anno prossimo: è capitato così anche a me!

© S. Gatti

Per un paio di minuti vago senza più meta nell’area d’arrivo, un po’ indeciso tra svenire sul posto o rimettere senza ritegno (sì ma cosa? Non sono praticamente riuscito a mangiare nulla dopo la colazione). Poi... bevo una birra a cavalcioni della panchetta! Un momento tutto per me, solo per me. Mi riprendo poco alla volta. Sorseggio con calma, mentre cerco di mandare giù piano piano qualche cucchiaiata di polenta taragna, tipo bambino che prende l’omogeneizzato. Sulla navetta che mi riporta a Lecco ed alla macchina, nonostante il panorama meraviglioso, lo specchio d’acqua del lago, la luce dolce di un tardo (molto tardo) pomeriggio di fine primavera e tutto quello che mi scorre davanti agli occhi… beh, io gli occhi scelgo di chiuderli. Per la stanchezza ma soprattutto per la felicità che - mai come ora - è dentro e non intorno. Respiro profondamente, un velo di emozione lubrifica lo spazio inesistente tra le pupille e le palpebre. Tornato alla macchina, noto lì a fianco la "piccola belva" di Silvia. Scoprirò più tardi che non ha mollato, ha tenuto duro e raggiunto il traguardo. Certe volte le classifiche andrebbero stilate partendo dal fondo e le coppe assegnate a chi ce la fa e basta.

Non ha un prezzo e non lo puoi pagare
Se non ti sceglie devi rinunciare
Puoi fare finta che non faccia male
E giuri che sai cosa fare

Ma lo sai bene che ci vuole tempo
Per porre fine a questo tormento
Non è un mistero e tutti lo sappiamo
Che in fondo d'amore viviamo

("Per quel che ne so" - Tormento e Tiromancino)

© Alessandro Zambianchi Agency

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