RUNNING

Limonextreme 2019, tempesta di emozioni

Campioni da tutto il mondo, condizioni meteo estreme, percorso da brivido. Limone sul Garda ha messo ancora una volta in scena lo show finale delle World Series di skyrunning. C'eravamo anche noi e ve lo raccontiamo

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Il contrasto con il 2018 è piuttosto evidente. Dodici mesi fa a Limone sul Garda era ancora praticamente piena estate (ma anche allora metà di ottobre) quando la spettacolare località dell’Alto Garda aveva ospitato per la sesta volta consecutiva la finale di Migu Run Skyrunner World Series. Quest’anno (e fanno sette!) le condizioni meteo non sono altrettanto favorevoli. Ma poi, ha senso parlare di buone o cattive condizioni? Siamo qui per correre, mica per andare in spiaggia, in gita, in barca. Mica siamo qui per lo struscio tra i negozietti di souvenirs. Quindi, il problema, molto semplicemente, non esiste. E poi essere qui, adesso, altro che problema: è la soluzione!

Mi aspetta un doppio impegno agonistico (che inizialmente nemmeno avevo programmato) ma la prima “corsa” che faccio è quella per raggiungere Limone in tempo per il via della Vertical “Greste de la Mughera”, in programma per il tardo pomeriggio del venerdì. Garage, rifornimento, autostrada, Gardesana Occidentale. Parcheggiare, ritirare pettorale e pacco gara, check-in all’Hotel Ilma, uscire in tutta fretta dagli abiti civili ed infilarmi nella divisa “sky” della Sportiva Lanzada. Guadagnare altro tempo trasformando nel riscaldamento pre-gara la discesa fino al Lungolago Marconi … Un po’ trafelato, ma è fatta. Siamo qui.

Il percorso della Vertical non lo conosco proprio. Sarà una prova all’insegna dell’improvvisazione. Ma non sono uno sprovveduto. Allenato, invece. Pronto. So che lo sviluppo è di tremila metri circa e il dislivello da superare è di milleottanta metri. Non serve essere un genio della matematica per capire che una cosa così violenta (io che non amo le vertical) non l’ho mai affrontata prima d’ora. Ma Limone è diversa, l’occasione è speciale e le motivazioni oggi molto alte. Più del solito. Chiedo a Maurizio Torri di sportdimontagna.com di mostrarmi a grandi linee l’itinerario, che tra l’altro è lì davanti ai nostri occhi. Basta alzare lo sguardo sopra le case. Anzi no, un bel po’ più su. Qualche altra sgroppata su e giù per il lungolago ed arriva il momento di entrare nel recinto. Pronti per ‘sto rodeo.

Poche centinaia di metri tra le viuzze del centro storico e la strada inizia ad impennarsi, trasformandosi rapidamente in sentiero. Non che mi ricordi molto dell’itinerario: meno sangue al cervello, più sangue alle gambe, almeno per la prossima ora. Anzi per i sessantotto minuti che separano (per quanto mi riguarda) la linea di partenza da quella d’arrivo. Riconosco però un paio di punti che ho affrontato nella skyrace del 2018 e penso (con un minimo di sollievo, concedetemelo) che domani non passeremo da queste parti … Intanto, me ne metto alle spalle tre o quattro. Almeno il doppio però mi chiedono strada. Gliela lascio appena posso, chiedendo pazienza solo nei brevi passaggi attrezzati con corde, catene e scalini. Cercando un minimo di … riscatto in un paio di tratti di falsopiano e addirittura discesa che collegano ogni rampa a quella successiva, portandoci sempre più nel cuore della montagna, più lontani dal panorama “mediterraneo” del lago, permettendoci di tirare un po’ il fiato. Finisce che, lo ripeto, pur non essendo questa specialità la mia preferita, riesco pure a divertirmi. La salita diventa quasi piacevole, lo sforzo si attenua, gli amici lungo il percorso non mancano. Finisco pure nel mirino foto cinematografico del carissimo Riccardo (Selvatico) che mi spinge in alto a forza di “dai, duro, non mollare” ed in quello di Andrea “il Kazako” Mazzoni che mi riprende correndomi davanti per un breve tratto, proprio sotto la cima della Mughera. Tagliato il traguardo, mi libero all’istante dello zainetto e mi infilo in tutta fretta l’antivento perché la frontale non è stata necessaria (non lo sarà nemmeno per la discesa) ma l’arietta quassù è piuttosto frizzante. Mi riaffaccio sul traguardo appena in tempo per salutare l’arrivo dell’amica Tatiana e poi, dopo esserci spostati poche centinaia di metri più in là, al ristoro, ce ne torniamo giù per l’itinerario di ritorno a valle, la doccia ed una nuova puntata al villaggio-gara per il meritato pasta party, una birretta e quattro chiacchiere finalmente in relax tra le tavolate ormai deserte.

Ed è già domenica. Mi sto ancora preparando quando sento lo speaker annunciare lo start della gara Skymasters, la superfinale “a numero chiuso” che – nel giro di poche ore – metterà in testa al giapponese Ruy Ueda ed alla spagnola Sheila Aviles la corona di migliori skyrunners del 2019. Le nuvole hanno già iniziato a scaricare acqua. Per ora una pioggerellina fastidiosa. Nel corso della mattinata però i rovesci (come anticipato all’inizio di queste righe) si faranno ben più consistenti … Proprio il maltempo costringe gli organizzatori (guidati dal loro guru Giovanni Fedrici, massimo rispetto e riconoscenza per lui, per loro) a ridurre di qualche chilometro la lunghezza del percorso: da ventitre a venti chilometri circa. E di conseguenza la quantità di dislivello da superare: da duemila e milleottocento metri circa. Direi che la sostanza non cambia … Pronti, via e ci precipitiamo in quattrocento e spiccioli tra gli stretti vicoli di Limone: come i tori a Pamplona. Un paio di chilometri “duri” (nel senso del fondo d’asfalto, cemento ed acciottolato) tra strappetti e discesine senza soluzione di continuità e poi, attraversata la statale, cambia tutto: in tutti i sensi. Parte il sentiero che sale a svolte fino a Cima Larici. Dentro un paesaggio da mitologia greca. Mi è costato tanta di quella fatica che adesso è solo un piacere “risolvere” questa sezione in un paio di righe: una sottile vendetta nei confronti di una rampa che in realtà amo molto ed alla quale ripenso già con nostalgia e voglia di tornare. Visto che ci è stato risparmiato l’anello che ci avrebbe portato a ripercorrere la parte alta della vertical di ieri sera e la salita al Monte Carone, tutto il tratto centrale della nostra avventura (per come me lo ricordo) si rivela piuttosto corribile. Ma ugualmente impegnativo. Siamo in alto, più esposti alle correnti ed alla pioggia: adesso sferzante, a tratti ghiacciata. Ad un certo punto mi colpisce il contrasto tra questa bufera ed il passaggio su di un terreno completamente annerito da un incendio estivo ed i resti della boscaglia annientata dal fuoco. Tatiana mi ha superato da tempo ma riesco a tenerla a poche decine di metri (anche meno) ed è lei adesso con i suoi calzini fucsia a farmi da punto di riferimento. Sono un po’ al gancio. Fino a quando opero il ricongiungimento e decido che ok va bene così, fino al traguardo. Non cambierei questa posizione neanche con il primo posto che peraltro appartiene per diritto regale al fenomeno sloveno Luka Kovacic, autore della doppietta vertical-skyrace: complimenti! A lui ma anche ad Ilaria Veronese (azzurra di skialp) che ha vinto ieri e sale sul terzo gradino del podio oggi! Le discese su strada sterrata e poi quelle su sentiero sono divertentissime e “inebrianti” ma la velocità (chiamiamola così) raddoppia la sensazione di freddo addosso: “gelato” … al Limone! Lo scrivo qui, nascosto tra le righe, così evito di farne il titolo principale. Nel bosco poi alla pioggia che cade direttamente dal cielo, si somma l’acqua che stilla a goccioloni da rami e foglie. Risultato: acqua a secchiate, doccia antitempo. Fango in dosi industriali, anche nelle mutande. Un’atmosfera a tratti da inferno dantesco. Ma ormai va bene tutto, siamo a buon punto. Qualche innocuo scivolone rompe un po’ il ritmo. Dopo, qui come altrove, impiego sempre uno o due minuti a ritrovare fiducia nella mia corsa. A rientrare nel “flow”, come direbbe Francesca Canepa. I ripetuti saliscendi nel bosco verso Cima Traversole mi strappano un paio di imprecazioni sottovoce. Poi incontrovertibilmente giù: nei boschi, tra grossi massi, dentro un profondo canyon boscoso che immette direttamente sulla parte alta di Limone. Un comodo sentiero e mezzacosta (d’estate credo sia una fresca passeggiata nel verde per famiglie) ci guida verso la calata finale fino alla spiaggia. Abbiamo seminato da tempo Anais, ce n’è uno che ci corre dietro ma per niente minaccioso. Non può raggiungerci, non lo sento già più. Retta finale sulla spiaggia. Tatiana lancia la volata sul lungolago. Mi prende di sorpresa e scatta via leggera, battendomi di un metro sulla linea. Competitivi fino all’ultimo metro.

Sarà stato … l’effetto-pettorale che, teorizzato (tra l’altro) nei giorni del Trail Grigne Sud, trova qui, adesso, la sua dimostrazione “scientifica”. O meglio, pratica. Poco più di ventuno ore tra il via della Vertical e l’arrivo della Skyrace: dalle diciassette e zerozero del venerdì alle quattordici e dodici del sabato. Non ci penso proprio, a lamentarmi. La skyrace è finita, le World Series sono terminate. L’evento Limonextreme invece no! Qualcuno scappa via subito o quasi subito: la famiglia da raggiungere, un aereo da prendere, un nuovo lavoro da un'altra parte. Qualcun altro ha la fortuna di potersi trattenere ancora, per lo sky party finale sotto il tendone. Fino a notte fonda. Pure gli atleti, finalmente in libera uscita. Tra le più scatenate, Elena Rukhlyada e Hillary Gerardi. Quarta e ottava oggi al traguardo, ottava e sesta nella classifica generale. Russia contro Stati Uniti d’America. Una riedizione “sky” della Guerra Fredda. Molto poco “guerra” (anzi niente). Ancora meno “fredda” …!

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