Dimmi come reagisci alle emozioni e ti dirò che runner sei

L'atteggiamento di fronte a stimoli e avversità è un meccanismo regolato dall'amigdala

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Noi esseri umani di fronte alle avversità disponiamo di una gamma di opzioni più vasta di quella degli animali: possiamo lamentarci e piangerci addosso, oppure cercare di affrontare il problema. Nel primo caso la nostra attenzione va alle emozioni che stiamo provando, con il risultato di intensificarle. Nel secondo siamo più interessati a una soluzione razionale dell'accaduto e quindi ci sforziamo di calmare la parte emotiva.

Queste considerazioni possono essere applicate anche agli eventi molto concreti che capitano al runner: un infortunio, una gara andata male, una crisi durante una salita. Da un punto di vista neurale, i due atteggiamenti rimandano a modalità di funzionamento cerebrale molto diverse.

Nel nostro cervello sono presenti due piccoli organi, uno per ciascun emisfero, che hanno forma e dimensioni vagamente simili a quelli di una mandorla. Non a caso, dal latino, sono infatti chiamati amigdala (mandorla, appunto). 
L'amigdala ha il compito di riconoscere il significato emozionale – in termini di “È pericoloso per me” oppure “È buono e non ho niente da temere” – degli stimoli in entrata nelle aree sensoriali del cervello.

Forse qualche volta vi è capitato, mentre camminavate, di spostare improvvisamente il piede e accorgervi subito dopo che c'era per terra un ramo che sembrava un serpente. In questi casi lo stimolo in ingresso, che è di tipo visivo, ha utilizzato un particolare circuito neurale: la via veloce dell'amigdala. Lo stimolo quindi viene processato dall'amigdala senza passare dai centri corticali superiori, quelli legati alla consapevolezza. E l'amigdala, che ha connessioni con altri centri cerebrali che organizzano la risposta motoria e ormonale all'impulso, risponde in maniera molto rapida.

In determinate situazioni, dunque, questo organo possiede un valore straordinario ai fini della sopravvivenza. Ma non sempre. A volte, in certi contesti, la sua risposta cieca e automatica può risultare controproducente.
Pensate ad esempio a un atleta che abbia abituato la propria amigdala a riconoscere certi livelli di intensità di fatica come qualcosa di minaccioso. Il risultato pratico sarà quello di una risposta allarmata in termini corporei: secrezione esagerata di ormoni dello stress, con la conseguenza di una risposta pressoria, circolatoria, respiratoria eccessiva. Da qui un peggioramento della prestazione in un circolo vizioso che può portare al ritiro.

Ogni volta che si reagisce in modo emotivamente esagerato a un evento si rinforza il meccanismo dell'amigdala. Ci si abitua sempre di più a generare una risposta brutale e automatica quando lo stesso stimolo si ripresenterà. Non importa quale sia l'impulso scatenante: il livello di fatica, il dolore da infortunio, un po' d'ansia legata alla prestazione... di fatto la stessa reazione eccessiva e non modulabile verrà scatenata.

Fortunatamente esiste la possibilità di educare l'amigdala, cambiando la sua percezione troppo rigida di alcuni stimoli.

Vi siete mai chiesti ad esempio perché provare un percorso di gara sia spesso davvero vantaggioso? Perché questo vi permette di sapere già, al momento della competizione, che quella benedetta salita tra duecento metri finirà e che quell'eterno rettilineo durerà ancora un chilometro. E tutto questo consente, sostanzialmente, di tranquillizzare l'amigdala, che non si spaventerà troppo e di conseguenza non reagirà in modo eccessivo. E si tratta inoltre dello stesso vantaggio che possiede (se ha saputo incamerare l'esperienza senza reagire eccessivamente sul piano emotivo) chi ritrova le sensazioni legate a un infortunio che ha già risolto nel passato: il suo cervello sa di cosa si tratta, lo riconosce, ma ha anche memorizzato il fatto che si può venirne fuori. “Quel dolore da infiammazione è spiacevole, ma so che si guarisce per- ché ci sono già passato.”

Contare sino a dieci è un modo di dire, ovviamente. Ma rappresenta una maniera diversa di reagire agli im- previsti: quella di non rispondere in maniera automatica a livello emotivo. Chi cade invece nel vittimismo o in un'ansia eccessiva di fronte a una difficoltà, incoraggia il cervello a elaborare la realtà attraverso le vie dell'emergenza. Si noti, per inciso, quanto il nostro pensiero influenzi il nostro stato fisico. E quanto siamo stati ingenui a credere, per oltre duemila anni, che le due cose fossero del tutto disgiunte.

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