A CUORE APERTO

Pippo Inzaghi si racconta: "Allenatore grazie a Galliani e mio fratello Simone"

Il tecnico del Benevento: "Da giocatore ero un po' pazzo. E' proprio crederci così tanto che ti fa avverare i sogni..."

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Sbarcato a Benevento, in Serie B, lo scorso giugno, Filippo Inzaghi racconta a Dazn come è iniziata la sua avventura da allenatore dopo aver smesso col calcio giocato: "Fino all'ultimo secondo non ho mai pensato di poter fare l'allenatore - dice -. Pensavo di restare in questo mondo, ma neanche a 40 anni accettavo l'idea di smettere. Poi ho capito che giocare con una maglia che non fosse quella del Milan sarebbe stato troppo difficile: Galliani, mio fratello Simone e il mio procuratore mi hanno convinto che fosse la strada giusta e devo dire che hanno avuto ragione. E' un ruolo difficilissimo ma bellissimo, allenare è una malattia contagiosa. Ti dà grandi soddisfazioni e stimoli, ma devi mettere in preventivo che avrai alti e bassi. Allenatori che hanno vinto la Champions sono stati esonerati sei o sette volte, ma alla fine quello che conta è essere ancora sul campo verde".

Inzaghi, che alla propria squadra vuole trasferire il suo atteggiamento, cita alcuni esempi ben precisi: "Dopo Atene, la serata più bella della mia vita è stata Milan-Real Madrid del 2010. Avevamo Ibrahimovic, Pato, Ronaldinho, Robinho... e io avevo 37 anni. Ma Mourinho in conferenza disse che poteva giocare chiunque, ma sperava non giocasse Inzaghi. Mi caricò molto. Entrai dalla panchina che eravamo sotto di un gol e feci subito una doppietta, raggiungendo Raul: ero un po' pazzo, perché nonostante sapessi di partire dalla panchina avevo portato con me la maglia celebrativa con il 69 e pure quella con il 70, sperando di fare il record di gol nelle competizioni europee proprio quella sera. Forse è proprio crederci così tanto che ti fa avverare i sogni. Quella maglia la portai a Stefano Borgonovo, vorrei ricordarlo perché a volte noi ci lamentavamo per niente, lui invece ci dava la forza".

Pippo parla poi della sua esperienza a Benevento: "Sono felice. Ai miei giocatori dico che dobbiamo ribellarci alla sconfitta perché, per come lavoriamo, dobbiamo vincere. Dopo sette giornate abbiamo subito solo tre gol e non siamo mai stati in svantaggio, ma a determinare la miglior difesa non sono solo i difensori, è l'intera squadra che deve lavorare in fase di non possesso: se si riesce a trovare un buon equilibrio di solito i campionati si vincono, è stato così quando allenavo il Venezia e l'anno dopo, da neopremossa, per poco non salivamo addirittura in A. Cerco di insegnare ai miei giocatori che al primo stop ci salteranno addosso tutti, non possiamo permetterci di abbassare l'asticella. L'attacco segna poco? Coda, Armenteros, Sau e Insigne hanno fatto un lavoro stupendo, sono stati fondamentali sotto altri aspetti: non mi interessa avere il capocannoniere del campionato, qui non si ragiona con l'io ma con il noi. Coda è molto sereno, farà tanti gol. Anch'io sono stato dei mesi senza segnare, ma poi basta una partita per sbloccarsi e farne altri venti".

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