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L'INTERVISTA

Spillo fa 70: "Inter, impacchettami il derby! Che amarezza la cessione alla Juve. Lautaro super già così e non serve che rida"

Il 28 novembre compleanno speciale per Altobelli: dagli inizi al Latina alla gioia Mondiale, dalla tripletta alla Juve a compagni e avversari più forti. “E se dovessi farmi un tatuaggio…”

di Antonella Pelosi
21 Nov 2025 - 08:13
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Il 28 novembre sono 70 anni. Alessandro Altobelli, per tutti Spillo, si guarda indietro e cosa vede?
Meglio guardare avanti, ma se mi guardo indietro vedo una vita piena di momenti bellissimi. Sono partito da Sonnino, ho giocato a Latina, sono cresciuto a Brescia, ho vestito la maglia dell’Inter e della Nazionale: non posso proprio rimproverarmi niente. Forse ho ricevuto più di quanto meritassi, ma sono sempre stato un grande professionista.

I primi passi nel calcio e il soprannome ‘Spillo’

Spillo è un soprannome che ti ha portato fortuna. Da dove arriva?
Me lo diede un maestro elementare quando arrivai a Latina. Mi veniva a prendere, mi accompagnava negli spogliatoi e poi seguiva gli allenamenti. Un giorno iniziò a chiamarmi ‘Spillo’. Il nome è rimasto per sempre e, direi, mi ha portato anche fortuna. Me lo diede perché ero gracile: un ragazzino alto e magro. Il soprannome rispecchiava perfettamente come ero. Quando sono arrivato all’Inter pesavo 66 chili!

Quando hai capito che il calcio sarebbe stato la tua vita?
Sono nato con la passione per il calcio. A Sonnino, il mio paese, non c’era nemmeno un campo sportivo. L’unico spazio disponibile era quello della scuola, ma di fronte c’era un fossato di 200 metri: se sbagliavamo, il pallone si perdeva o si bucava. Ho imparato a giocare in quel piccolo spazio e credo che questo mi abbia aiutato molto nella tecnica individuale: se sbagliavo, perdevo il pallone, quindi non potevo permettermi errori.

Il percorso verso il successo e l'esperienza in Nazionale

Racconti ai più giovani che giocatore era Altobelli?
Prima di tutto avevo una grande passione e ho fatto molti sacrifici. Dopo Sonnino sono andato a Latina in Serie C, poi da solo a Brescia quando avevo 15-16 anni. Sono stati anni difficili, ma i miei genitori hanno capito il mio amore per il calcio e mi hanno lasciato andare. Il calcio mi teneva occupato tutto il giorno ma non ho mai pensato di diventare un campione. Ero un attaccante che sapeva giocare di destro, di sinistro ma soprattutto ero molto bravo nel gioco aereo. Avevo un po’ tutte le qualità per diventare un buon giocatore.

Diciassette anni di carriera, tanti gol e grandi soddisfazioni: qual è stata la gioia più grande?
La vittoria del Mondiale del 1982, quando ho segnato il terzo gol in finale. A quel punto il Presidente della Repubblica Pertini disse “Adesso non ci prendono più” e aveva ragione.

E il momento più brutto?
Quando sono dovuto andare via dall’Inter. Sono nato tifoso dell’Inter e lo sarò per sempre, così come i miei due figli e i miei nipoti maschi e femmine, tutti interisti.

L'Inter, il passaggio alla Juve e la carriera da bomber

Come hai vissuto il passaggio alla Juve?
Alla Juventus ho conosciuto persone come Boniperti e Agnelli e compagni di squadra come Gentile e Cabrini. Ho trovato un bel ambiente che mi ha accolto benissimo. Ma mi è dispiaciuto andare via dall’Inter dopo tanti anni. Ero un giocatore che aiutava molto anche la società, forse Trapattoni e Pellegrini temevano un po’ il mio ruolo nel gruppo. Ero amico dei ragazzi e facevamo sempre il bene del club.

Dal Latina al Brescia e infine all’Inter: che emozione è stata arrivare in un club come l’Inter e giocare in uno stadio come San Siro?
Arrivavo da un paese che non aveva un campo da calcio poi sono andato al Latina in C e lì giocavo titolare. Sono arrivato a Brescia venti giorni dopo la strage in Piazza della Loggia. I miei genitori erano preoccupati, ma io li rassicuravo dicendo che andavo lì per giocare a calcio. “È successo”, dicevo. E hanno capito. Non potevo perdere quel treno che mi dava la possibilità di diventare professionista e di mettermi in mostra in una squadra di Serie B.

Che effetto fa essere ancora il secondo miglior marcatore nella storia dell’Inter dietro Meazza?
Al momento sono il primo tra i viventi e la cosa mi onora. Meazza è stato un grandissimo attaccante e goleador: sapevo che superarlo era impossibile. Ho fatto il massimo. Ora sono secondo e tra poco forse mi raggiungerà Lautaro, meritatamente. Ho trascorso tanti anni all’Inter e, anche se dovesse superarmi, si ricorderanno sempre di me.

I derby, i gol memorabili e le lezioni di vita

Escludendo la finale del Mondiale, quale partita rigiocheresti mille volte?
Inter–Juventus 4-0 (11 novembre 1979, ndr). Segnai tre gol e feci un assist. All’epoca era impensabile fare quattro gol alla Juve. Nessuno avrebbe immaginato quello che abbiamo fatto quella domenica. È un ricordo che mi porto dietro per tutta la vita. Credo di essere ancora l’unico ad aver segnato tre gol alla Juventus.

Domenica sera c’è il derby: ne hai giocati tanti. Quale ricordi con più piacere?
Ne ricordo diversi, tutti affascinanti. Era la partita dell’anno: non potevi perdere. Dovevi vincere a tutti i costi, per la squadra, per il pubblico, per la città. Segnare al derby era la mia passione, perché un gol contro il Milan te lo ricordavi per un anno intero.

Qual è stato il gol più bello?
Uno che mi piace molto e che ogni tanto rivedo è il gol con l’Inter a Nantes in Coppa Uefa (quarti di ritorno stagione 1985/86, ndr). Un compagno mise la palla in mezzo all’area di testa: realizzai una rovesciata mentre il pallone era rasoterra. Un gol bellissimo, da rivedere.

Chi è stata la persona più importante nella tua carriera?
Ce ne sono state diverse. A Latina c’era un signore, Nando, che lavorava alla Fiat: veniva a Sonnino spesso per portarmi agli allenamenti a Latina. È stata la mia fortuna. Nei tre anni a Brescia ho conosciuto i Saleri, persone serie e perbene. E proprio il presidente del Brescia Francesco mi accompagnò a Milano da Mazzola e Beltrami. Era un grande salto: dalla Serie B a Brescia e poi in A all’Inter. Ma ce l’ho fatta. Non ho tradito le aspettative e poi anche il tempo ha dato ragione all’Inter.

Un allenatore cui devi dire grazie?
Bersellini. Quando sono passato dal Brescia all’Inter era lui l’allenatore. Mi ha dato insegnamenti e formato come calciatore.

Mai pensato di fare l’allenatore?
Ho tutti i patentini possibili, ma non ho mai pensato di allenare. Fare il calciatore è già difficile ma devi pensare solo a te stesso. L’allenatore deve pensare a tutti i giocatori e alla società. Preferisco lasciare quel ruolo agli altri.

Il giocatore più forte affrontato?
Sono due difensori che mi marcavano: Pietro Vierchowod e Claudio Gentile. Due ‘carogne’! Il sabato sera non dormivo sapendo che mi aspettavano. Ma nemmeno loro dormivano la settimana prima, credo.

E il compagno di squadra più forte?
Beccalossi, che è anche un grande amico, cui sono stato vicino anche negli ultimi tempi. Non ci siamo mai lasciati e non ci lasceremo mai. E aggiungo Rummenigge.

Lautaro, Pio Esposito e gli attaccanti di oggi

I bomber sono in crisi: i gol arrivano dai centrocampisti. Uno Spillo Altobelli dei tempi d’oro farebbe ancora comodo…
In questo momento no (e ride, ndr). Ma lo Spillo di 28-30 anni avrebbe fatto comodo a tutti.

Perché i grandi bomber di oggi faticano a segnare?
Io vedo anche le partite dei ragazzi: mio nipote gioca. Quando iniziano da piccoli hanno un blocco mentale perché, al primo dribbling sbagliato, vengono rimproverati dagli allenatori. Se un ragazzo prova una giocata e non riesce, bisogna spronarlo a riprovare. Gli allenatori devono fare un passo indietro e dare fiducia a chi ha tecnica e passione.

In quale attaccante di oggi ti rivedi?
Quando ho iniziato a giocare non mi interessava imitare nessuno e penso che nessuno vorrà imitare me. Ho fatto la mia storia, una bella carriera. Chi avrà modo di vedermi potrà trarre spunti e capire che ero un buon giocatore perché sapevo fare tutto.

Che consiglio daresti a Pio Esposito?
In questo momento è all’apice della forma. Ha segnato in Nazionale e con l’Inter. Ha tutte le qualità per diventare un grande giocatore. Il mio consiglio è di non fare il passo più lungo della gamba, di restare sereno e sfruttare ogni occasione come sta facendo.

Chivu ha detto che Lautaro deve ridere di più…
Anche se non ride, l’importante è che giochi come sta facendo e che segni. Riderà con la famiglia, con gli amici, quando torna al suo paese. In campo va benissimo così. È un grande professionista, un grande giocatore, attualmente tra i più forti in Europa.

Il Var, gli arabi e il destino di San Siro

Ti sarebbe piaciuto giocare all’estero? Avresti ceduto alle sirene degli arabi?
No, in nessun posto. Il calcio più importante era in Italia e ho giocato fino alla fine qui. Erano gli stranieri che venivano in Italia, non il contrario.

Ti piace questo calcio ai tempi del Var?
Ora non sfugge nulla, eppure qualche volta sbagliano lo stesso. Erano belli i dopo partita in TV con la moviola, le critiche. A me piaceva di più prima, quando al bar si litigava per un fallo. Ora non si litiga neanche più…

San Siro, che per anni è stato la tua casa, verrà abbattuto…
Quando l’ho sentito è stata una delle notizie più brutte che ho avuto. Abbattere San Siro, il Meazza, significa cancellare la storia di Inter e Milan. Sono assolutamente contrario. I monumenti non si abbattono mai.

Come hai vissuto il fallimento del Brescia, club della città dove vivi?
È stato un momento difficile per il calcio bresciano. Ma non tutti i mali vengono per nuocere: dal fallimento è arrivato un presidente che era a Salò, un industriale serio, onesto, conosciuto in Italia e nel mondo, innamorato del calcio. Ora Brescia vive un momento importante: tutti si aspettano che la squadra torni protagonista. Penso che in due o tre anni, con un presidente che ha qualità e possibilità, tornerà nella categoria che merita.

Il derby, il regalo e la festa a Sonnino

Che regalo vorresti ricevere per i suoi 70 anni?
Vorrei togliermi 55 anni…

Credi che l’Inter possa farti un regalo nel derby?
Mi hanno invitato per un piccolo festeggiamento, glielo chiederò.

Come finisce domenica sera?
I derby sono partite singole e particolari. Di solito chi è favorito perde. Non si possono fare previsioni, è una partita aperta. Possiamo solo dire “speriamo”.

Magari il regalo dall’Inter arriverà a fine anno…
In questi anni l’Inter è sempre stata protagonista in Champions, in campionato e in Coppa. Anche quest’anno penso se la giocherà con il Napoli fino alla fine.

Come festeggerai i 70 anni?
A Sonnino stanno organizzando da tempo tre serate spettacolari: ci saranno cantanti, personaggi del calcio. Stanno preparando qualcosa in grande.

Oggi i giocatori si coprono di tatuaggi: che cosa ti saresti tatuato?
Non sono contrario ai tatuaggi: ognuno è libero di fare ciò che vuole. Se dovessi scegliere, farei quello della Coppa del Mondo, il trofeo più importante. Poi lo scudetto dell’Inter e una bella Coppa Italia. Poi mi tatuerei i nomi di mia moglie, dei miei figli e delle persone care. Ma ce ne sono tante: non avrei abbastanza spazio…