L'esterno nerazzurro 'punge' l'ex Inzaghi: "Giocare 90' ti aiuta a crescere di condizione"
Il gol contro il Sassuolo, l'assist per Esposito contro il Cagliari, una condizione fisica in crescita e una consapevolezza riacquisita. Alla vigilia del secondo match di Champions League contro lo Slavia Praga, Federico Dimarco fotografa così il momento suo personale e quello, più in generale, dell'Inter: "Chivu ci sta dando tanto. Mi sta aiutando a ritrovare la fiducia che avevo perso in questi mesi: mi sono reso conto che non ho reso come nei tre anni e mezzo precedenti con l'Inter, ma può succedere. Ne sto uscendo con l'aiuto del mister e dei compagni. Il passato è passato, com'è successo quando abbiamo vinto il campionato abbiamo detto non si parla del passato, lo stesso facciamo anche quest'anno. Siamo ripartiti da zero con un nuovo allenatore e nuovi stimoli, dobbiamo seguirlo nel migliore dei modi. Stiamo crescendo e questo mi sembra evidente".
Anche a livello fisico, l'esterno nerazzurro sta dando dimostrazione di una maggior tenuta atletica durante i match: "Cosa è cambiato? Dal mio punto di vista niente, mi sono sempre allenato al 100%. È stata solo una scelta dell'allenatore quella di concedermi negli anni passati non più di un tempo e mezzo, giocando più spesso 90' ti aiuta a crescere di condizione piuttosto che uscire matematicamente dopo 60 minuti".
Dal personale al collettivo, Dimarco passa così dall'io al noi: "La crescita di questa squadra è sotto gli occhi di tutti, dovremo fare del nostro meglio in Champions a partire da domani. Si è già visto con l'Ajax. Siamo una squadra forte, abbiamo meritato di stare lì, dobbiamo lottare per arrivare il più in fondo possibile. Oggi cerchiamo molto di più la verticalità, ma la base avuta in questi anni non la stiamo perdendo".
Una squadra forte, con giovani interessanti. Su tutti Pio Esposito, con il quale Dimarco ha un rapporto molto stretto: "È un giovane, ragazzo per bene, lavora tanto e migliora ogni giorno. Sta facendo tutto il possibile per diventare un attaccante europeo, ma bisogna lasciarlo crescere senza mettergli pressione. Lo conosco da quando aveva 5 anni, i nostri fratelli giocavano insieme. Siamo un po' di persone, gli italiani soprattutto, che lo abbiamo aiutato a integrarsi".