SPORT OUTDOOR

Nico Valsesia, da Calcutta al Tetto del Mondo

Specialista di endurance e uomo-avventura, Nico Valsesia è alle prese con il conto alla rovescia verso la sua impresa più ambiziosa ed affascinante

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Non è facile trovare una definizione esaustiva e soddisfacente per Nico Valsesia, ma questo è un nostro ... limite, non certo suo. Una questione di ricchezza, non di indefinibilità. Azzardiamo “outdoor performer” o meglio (per stare un po’ indietro – solo noi - lui deve invece volare alto) un artista degli sport d’avventura. Biker estremo, scialpinista ed alpinista, ultratrail runner, Nico ha detto (e scritto) che “la fatica non esiste”.

Uno che la pensa così, da qualche parte deve nascondere un segreto che a tutti noi farebbe comodo conoscere. A noi che della fatica facciamo (magari solo a corrente alternata) una ragione di vita. Quantomeno un faro che illumini la vita quotidiana e vi getti sopra un fascio di luce piena, di “cose grandi”. Fatica come valore oltre che come esperienza. Ecco perché Nico ci interessa e ci interessa diffondere e sostenere il suo ultimo progetto. Ultimo in ordine di tempo ma in realtà il prossimo. Lo presenterà lui stesso a breve: l’appuntamento è fissato per le ventuno di sabato 1. febbraio all’Hotel Planibel di La Thuile. Lo abbiamo raggiunto (intanto che è relativamente semplice farlo) per qualche anticipazione e per conoscerlo meglio. Tatiana Bertera Manzoni lo ha fatto per noi.

Quarantotto anni, cocciuto e ricciuto, Nico Valsesia da Borgomanero gestisce un negozio specializzato di biciclette ed è padre di tre figli. Ci ha abituati ad una serie infinita di viaggi e avventure in giro per il mondo, di imprese più o meno grandi, a volte raccontate, a volte sussurrate o addirittura taciute. Un portabandiera dell’understatement, allora. Perché farsi troppa pubblicità non è proprio nel suo stile. Perché a contare, molto prima e molto più delle parole, sono i fatti. Ma questa volta il nostro ... anti-eroe l’ha pensata davvero grossa. Da Calcutta, capitale dello stato indiano del Bengala Occidentale, fino al punto più alto della Terra. Dal livello del mare fino agli 8848 metri dell’Everest: sono queste, in estrema sintesi, le principali coordinate del prossimo progetto del “nostro”. 

Conversando Nico è subito chiara la percezione di trovarsi di fronte ad una persona che non intende sbrigare rapidamente la "pratica intervista". Al contrario, una specie di fiume in piena, di parole e di emozioni, che traspaiono dal tono della voce e dalla cadenza. E come non essere trepidanti quando sai di essere alle prese con il conto alla rovescia che porta verso la più grande impresa della tua vita? Tra tre mesi Valsesia partirà alla volta del Nepal, prima, e poi di Calcutta, punto di partenza del progetto “From Zero To Everest”.

Nico, in cosa consiste l’impresa che ti prepari ad affrontare?

Innanzitutto non la chiamerei impresa, ma avventura. Impresa è un termine che a mio parere non si addice a quello che tenterò di fare. Perché “impresa” è qualcosa di esagerato, al limite delle possibilità umane, cosa che invece “From Zero to Everest” non è. A volte gli alpinisti esagerano nel definire quello che fanno, nel raccontarsi … Errore in cui io non vorrei cadere. La mia è un’avventura: esagerata se vogliamo, ma pur sempre un’avventura. Dalla quota zero, quella del mare, fino al tetto del mondo. Che dire? È semplicemente la sfida più impegnativa che io abbia mai affrontato.

Quali saranno le tappe principali di questa “avventura esagerata”?

Partirò a metà aprile alla volta di Kathmandu e, successivamente, della Valle del Khumbu. Lì mi fermerò una ventina di giorni per acclimatarmi e durante questo periodo salirò il Lobuche e l’Island Peak, due vette che superano di poco i 6000 metri. Successivamente salirò fino a Campo IV, al Colle Sud dell’Everest, per lasciare del materiale che servirà al raggiungimento della vetta ed a questo punto sarò pronto per montare in sella alla mia bici ed iniziare il tentativo. Milletrecento chilometri sulle due ruote da Calcutta fin quasi a Lukla (la strada che porta fino alla cittadina è attualmente in costruzione e si suppone che i lavori non termineranno per la data dell’impresa, ndr), ai quali ne seguiranno un centinaio a piedi fino al campo base dell’Everest e infine l’ascesa.

“From Zero To…” è per te ormai un format collaudato. Quali sono state le sfide che hai portato a termine e che hanno portato fino a questa?

Nell’ordine ci sono il Monte Bianco, L’Aconcagua, l’Elbrus, il Kilimanjiaro ed il Monte Rosa.

Sappiamo che le ascese che hai appena citato sono state tutte non stop. Sarà così anche questa volta?

No. Dal momento che questa avventura è molto più lunga ed impegnativa, ho deciso che si svolgerà a tappe. La parte in bici prevede tappe da 300-350 chilometri al giorno, mentre i cento chilometri da affrontare a piedi richiederanno un paio di giornate (il percorso prevede un dislivello di circa 5000 metri di dislivello positivo per arrivare a campo base, ndr). Una volta raggiunto il campo base (e sperando nel meteo favorevole) riposerò qualche ora prima di partire alla volta della cima.

Qual è il possibile imprevisto che ti preoccupa maggiormente?

Proprio il meteo, in quanto trascorreranno - nel migliore dei casi - almeno otto giorni tra la partenza da Calcutta e il raggiungimento della vetta. Ed in un lasso di tempo così ampio il meteo potrebbe cambiare enormemente.

Quali sono le tappe della preparazione atletica e mentale necessarie ad intraprendere un progetto così straordinario?

Le esperienze più simili a questa che ho compiuto in passato sono le partecipazioni alla RAAM (Race Across America), cinquemila chilometri in bicicletta coast-to-coast attraverso dodici Stati. Trattandosi in entrambi i casi di prove endurance, la preparazione è la stessa: più quantitativa che qualitativa. Non conta la velocità ma il tempo che trascorro in bici o, comunque, in attività. Quindi, compatibilmente con la vita personale e gli impegni di lavoro, cerco di trascorrere più tempo possibile in sella (due ore al mattino e tre in pausa pranzo, in settimana) oppure, fintanto che le montagne sono coperte dalla neve, coprire più dislivello possibile con sci e pelli. A febbraio poi prenderò parte ad una gara non stop di milleduecento chilometri in Marocco con la “gravel” (una sorta di via di mezzo tra bici da strada e mountain bike, ndr). Sarà un ottimo allenamento a due mesi della partenza!

Parliamo della componente mentale. Qual è il fattore che, in questo genere di gare, ti pesa maggiormente? Hai mai pensato di fermarti o tornare indietro?

La componente mentale è importantissima e imprescindibile. La cosa che in genere più mi “pesa” è la privazione del sonno. Le ore di gara, soprattutto durante la notte, sembrano non passare mai. Non ho mai pensato di tornare indietro a causa della stanchezza. Se lo pensassi, probabilmente, avrei già smesso da tempo con queste cose. Invece la testa continua a macchinare nuove avventure e non mi sento mai completamente appagato. Una volta portato a termine un viaggio vorrei, da subito, intraprenderne uno nuovo: a volte più difficile e impegnativo, a volte invece semplicemente conoscitivo e esplorativo. Questo per dire che la mia testa è sempre proiettata “oltre”.

Com’è il rapporto con i tuoi tre figli e come vedono loro le tue avventure?

Ho tre figli: due maschi, di diciotto e sedici anni e una ragazza dodicenne, Quello di sedici è proprio qui davanti a me. Aspetta che glielo chiedo (si sente chiaramente che allontana il telefono dall’orecchio e chiede ad alta voce “Come vedi l’Everest?”… Silenzio. Poi Nico ridendo confessa: “Niente, non si pronuncia e fa cenni di pazzia!”). I miei ragazzi sono sempre venuti con me in viaggio, in giro per il mondo. Per il momento non mi sembrano intenzionati a seguire le mie orme e la cosa non mi preoccupa affatto! Devono fare quello che si sentono e vivere come desiderano. Io, come padre, posso offrirgli e mie esperienze e coinvolgerli, ma non mi sognerei mai di obbligarli a salire una montagna se, ad esempio, non se la sentono o se semplicemente non sono interessati. Adesso mio figlio più giovane pare si stia appassionando di scialpinismo e corsa in montagna … Vedremo.

Quale credi sarà, durante il viaggio, la cosa della quale sentirai maggiormente la mancanza?

I miei figli, ovviamente. Anche se riusciremo a sentirci spesso perché in Nepal la connessione 4g è praticamente ovunque.

Riesci ad immaginare il giorno in cui, per qualche motivo, dovrai smettere per sempre di fare quel che fai oggi?

Non riesco proprio ad immaginarmelo. Credo che non smetterò mai. Mai per mia volontà. Magari cambieranno le tipologie di avventura ma non lo spirito e la voglia. Magari salirò ad ottantacinque anni la montagna dietro casa, e quella sì che sarà un’impresa! E magari morirò a novantanove anni, inciampando su un sasso, ma senza aver mai smesso di sognare.

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