Livigno "Mondiale": per molti... ma non per tutti

Una settantina di atleti “elite”, oltre trecento skyrunners “normali”. Ci siamo avventurati anche noi sui trentuno chilometri della Livigno Skymarathon.

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Al briefing tecnico della Livigno Skymarathon i tavoli che tra meno di ventiquattr'ore saranno imbanditi per il pranzo di fine gara sono per ora completamente liberi. Prima delle costine e della polenta, toccherà a noi metterci sopra fatica, sudore, spirito di sacrificio. Ma anche (soprattutto) passione per la corsa ad alta quota, amore per la montagna, piccole grandi storie di agonismo e di amicizia. Non mi perdo una sola parola ed una sola raccomandazione di Marco De Gasperi e del mitico Adriano Greco, direttore di gara. Come per molti appuntamenti di trail e skyrunning delle ultime settimane, anche nel caso del a Livigno Skymarathon (sesta tappa delle MiguRun Skyrunner World Series) le nevicate quasi fuori tempo massimo del mese di maggio hanno costretto gli organizzatori a varare il piano b. Percorso alternativo ma chilometraggio e dislivello positivo appena inferiori ai valori originali: 31 chilometri al posto di 34, 2600 metri di salita invece di 2700. Si fa nel vero senso della parola “di necessità virtù”: il superlavoro degli organizzatori ha partorito un itinerario largamente inedito: trasformando appunto un'emergenza in una nuova opportunità. Dal mio punto di vista è anche un ... pretesto per tornare a Livigno anche l'anno prossimo, per affrontare l'itinerario "a" (trovare motivazioni ogni volta fresche è fondamentale in questo sport, soprattutto se non si è più ... giovanissimi).

Si, ma qui altro che 2020, sarà meglio focalizzarsi sulla gara di domani!

Trascorro le ore che mi separano dal via dormendo (poco, chissà perché ...) e nutrendomi molto: all'alba, una ricchissima ed energetica colazione che la proprietaria dell'Hotel Livigno si è offerta di preparare per tempo a me ed al manipolo di atleti catalani e andorrani che occuperà praticamente in blocco buona parte della top 20 della classifica finale (beati loro). Come detto infatti la Livigno Skymarathon fa parte del calendario iridato della specialità è la partecipazione internazionale è numerosa e qualificatissima. Spagna, Giappone, Francia, Repubblica Ceca, Inghilterra. Non mancano i campioni e le campionesse della rappresentiva nazionale di skyrunning della Colombia che già hanno dato risalto internazionale alla Doppia W Ultra 60 di una settimana fa a Tirano.

Tra uomini e donne, gli atleti "elite" sono una settantina su di un totale di quasi quattrocento iscritti. Li lasciamo occupare le prime ... file della griglia di partenza, come è logico, ma il semplice fatto di stare lì con loro a me personalmente mette i brividi. È un po' come schierarsi al via di un Gran Premio poco dietro a Lewis Hamilton e Valentino Rossi. Fatte le dovute proporzioni, certo! Ma se senza dimenticare che qui le … proporzioni sono quelle – enormi - di montagne ripidissime, estesi nevai, pareti da scalare.

C'è poca gente in giro quando la Skymarathon parte ma applausi e grida di incitamento non mancano di certo, nell'attraversamento di Livigno. Si tratta fondamentalmente di amici, familiari ed accompagnatori e poi degli atleti della K17 (l'altra gara in programma) che scatta quando noi della "lunga" siamo già alle prese con gli andirivieni del sentiero nella foresta che risale il Crap de la Parè, la prima delle tre grandi salite del menù ... Zig zag regolari ed inesorabili, che se non altro ci permettono di impostare un ritmo costante. Mi salta davanti senza fatica Mario Panzeri, mio coetaneo ma soprattutto grande alpinista himalayano: uno dei pochi italiani (o per meglio dire uno dei pochi esseri umani in assoluto) ad avere completato la "collezione" dei quattordici "Ottomila" della Terra. Con l'aumentare della quota ed il progressivo passaggio sul versante nord della montagna la vegetazione si fa più bassa e rada, il tracciato più impegnativo e compaiono le prime tracce di neve che si fanno più consistenti quando saliamo "in groppa" al Crap. Sotto la croce di vetta saluto Alberto Zaccagni, organizzatore della ZacUp Skyrace del Grignone che - a metà settembre - ospiterà la terza delle quattro tappe italiane delle World Series (la seconda è in calendario il terzo weekend di luglio sul Gran Paradiso, la quarta saranno gli Sky Masters di metà ottobre a Limone sul Garda, la finalissima per la quale l'amico Giovanni Fedrici sta sicuramente preparando un evento "mondiale").

l primo tratto della discesa dal Crap (anzi dalla prosecuzione della sua cresta, fino alla vicina vetta del Crapene, appena più alta) è ripido e tecnico, come ci aveva anticipato Adriano Greco nel briefing. Soprattutto divertente, basta fare attenzione e rimanere superconcentrati. All'altezza del ristoro si inverte la rotta, puntando di nuovo su Livigno. Prima però c'è da correre (o corricchiare) lungo il fianco della montagna, in falsopiano, dentro un vallone che ... pare di stare nel Wyoming. Prima su mulattiera, poi su fresco sentiero nel bosco, ora decisamente in discesa. Si può fare finalmente velocità ed è in questo settore che inizia la mia sfida con Marco di Carvico Skyrunning: un tira di molla che si concluderà (a suo favore) solo all'ultimo chilometro!

Di nuovo ... al piano, tiriamo per qualche chilometro il fiato all'altezza del lago di Livigno e poi su asfalto fino alle porte del centro abitato ma .... basta alzare lo sguardo per inquadrare la mole del Monte Mot, seconda (e principale) asperità di giornata. Mentre noi ne attacchiamo la base, i toprunners sono già scollinati là sopra e stanno entrando nell'ultima parte di gara. Ad iniziare dal giapponese Ruy Ueda che, dopo quello nella prova di casa (la Mt. Awa Skyrace che ha aperto la serie) mette a segno a Livigno il secondo successo personale, prendendo la testa della classifica generale a pari merito con il catalano Oriol Cardona che qui deve accontentarsi della terza piazza finale alle spalle del nostro Daniele Antonioli le cui apparizioni nelle World Series sono rare ma ... parecchio qualificate!
 
Il Mot intanto non oppone difficoltà tecniche (che però ci attendono poco più avanti): è solo"ripido e faticoso da risalire, visto che "si è fatta una certa", che il sole è prossimo allo zenith e che la relativa frescura dei boschi è ormai alle nostre spalle. La sua "vetta" (in realtà anche in questo caso un' ampio crestone), si prolunga per qualche centinaio di metri e, ormai in mezzo alla neve, si “incarica” di guidarci senza tanti complimenti verso il tratto più tecnico ed appagante dell'intera giornata: prima una stretta cresta di neve a cavallo tra due strapiombi (al cui inizio troviamo piantato nella neve il cartello "divieto di sorpasso" ed al cui termine staziona invece il direttore di gara Adriano - il che gli fa molto onore miei occhi). Poi a ... sbarrarci il passo, ecco la "via ferrata" che risaliamo con attenzione, ma anche tutta d'un fiato, superando una parete di una cinquantina di metri sotto l'occhio vigile di Guide Alpine e tecnici del Soccorso Alpino che, appollaiati in qualche modo tra le rocce) ci prendono in consegna e non ci perdono di vista un attimo ... Sbuchiamo così in una conca segnata dalla caduta delle valanghe, dentro un'ambientazione quasi himalayana che produce fiotti di adrenalina ed una sottile sensazione di piacere che non finisce (anzi!) quando imbocchiamo, questa volta in discesa, il secondo tratto di via ferrata. Elementare ma da non prendere sottogamba., ci mancherebbe.

-"Stai sulla sinistra e, se vuoi, attaccati alle catene".
-"Ok, grazie mille!"
-"A te!"

Difficile descrivere a parole quello che affrontiamo adesso, arrivandoci dopo aver corso giù per un sentierino terroso (e fangoso) che ci permette di guadagnare rapidamente il fondo di un vallone ricolmo di neve che poi discendiamo "a tutta" per un quarto d'ora. Una manciata di minuti che (a costo di rimetterci in termini di classifica finale) avrei voluto che non finisse mai ...! Invece no: dal vallone magico usciamo come vi eravamo entrati: risalendo il costone montuoso per entrare in un paesaggio ancora nuovo, tutto diverso. Meno suggestivo forse, ma ancora molto impegnativo perché le ore passano e la stanchezza si fa sentire. Fortunate (e brave) le toprunners che ormai hanno raggiunto il traguardo: per prima la spagnola Sheila Aviles che ha ingaggiato e vinto la sfida "stellare" con l'idolo di casa Elisa Desco che si consola con la leadership solitaria della generale mentre a completare il podio arriva l'emergente Gisela Carrion (spagnola come la Aviles).

Il finale di gara è... interminabile e per forza di cose meno interessante del settore centrale in alta quota. Ma non potrebbe essere diversamente (non lo è praticamente mai …) quando il percorso disegna un anello e si tratta di fare ritorno alla base, lasciandosi alle spalle la neve, la roccia ed o valloni selvaggi per andate incontro a strade bianche, alle le prime baite, ai prati e (orrore!) all'asfalto: anche se magari solo per cento o duecento metri, prima che a nasconderlo alla vista sia il red carpet finale ...!

Subentra anche (almeno per quanto mi riguarda) la nostalgia di un'altra bella avventura che si avvia alla conclusione. Sull'ultima salita di giornata (quella verso il Rifugio Costaccia e poi gli impianti sciistici) raggiungo e supero Marco che poi però mi bracca e che - un po' a malincuore - devo lasciare andare (insiemall'altro Marco, livignasco, e all'olandese Maarten) quando un calo d'attenzione a -5 dal traguardo mi impedisce di contrastare con la necessaria reattività una rotazione della caviglia destra sopra un sasso. Salvo in qualche modo la caviglia ma la confidenza resta lì su quel sasso e preferisco scendere un po' "sulle uova" fino a Livigno per evitare guai peggiori e magari compromettere il resto della stagione. Avanti piano fino al traguardo, allora, e meno male che - in qualche "campo lungo" del pendio finale - non mi accorgo della casacca azzurra di Mario Panzeri che (scoprirò solo più tardi appunto) chiude la Skymarathon solo quattro minuti prima di me: avrei provato a prenderlo, caviglia o non caviglia!

Poi solo la volata finale, le strette di mano ai compagni di viaggio, l'arrivederci al Piccolo Tibet italiano e la testa già alla prossima sky, trail o ultra. L'importante è che a giustificare la fatica siano - tutto intorno - montagne, montagne, altre montagne.

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