Milan - Quella sera a San Siro: chi sfollava e chi esultava... Fu solo l'inizio di una festa lunga 30 incredibili anni

Al ritorno da Como, tutti al Meazza (che nel pomeriggio aveva ospitato l'Inter) a celebrare lo scudetto numero 11

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Una magnifica domenica di sole, maggio vero, con l'aria che ormai sa quasi di estate, la luce accesa fino a tardi, la sera “da passare in centomila in uno stadio, come cantava Lucio Dalla nella Sera dei Miracoli. Trenta anni fa spaccati e uno scenario dolce per il primo trionfo del Milan berlusconiano, lo scudetto 1988, il numero 11 per l'Associazione Calcio Milan, il numero 1 per il presidente che ne riscriverà da capo la storia.

Successe domenica 15 maggio, a Como, nello stadio in cui dalle gradinate più alte si vede il lago: posto romantico, non c'è che dire, per liberare una gioia smisurata, un urlo rimasto in gola e persino dimenticato lungo nove interminabili anni, dalla Stella al Sinigaglia via deserto, il deserto della Serie B, di Farina, delle Coppe degli altri alla tv. Lo scudetto in realtà vinto due domeniche prima, il seminale 3-2 al Napoli al San Paolo, e sfiorato già la settimana dopo a San Siro, con la Juventus che allestendo un catenaccio d'altri tempi porta a casa lo 0-0 mentre il Napoli, a Firenze, finisce di liquefarsi (vedi i corsi e i ricorsi storici?).

Pioveva forte, con la Juve, fango e ombrelli a San Siro. E allora, dopo 9 anni, cosa costa una settimana in più di attesa per potere poi lasciarsi andare sotto un cielo azzurro? Nel pomeriggio, una partita pantomima, come da copione, fintissimo 1-1 timbrato da Virdis e dall'ex Giunta. Poi, una festa senza fine. Che parte dal campo, tra un Sacchi confuso e quasi farneticante dietro i Ray Ban d'ordinanza e Gullit senza freni sotto la curva milanista, e sfocia in tempo reale in una Milano impazzita. Sarà pure una metà di Milano, ma garantito che è tutta in strada, padri al volante, attempate e insospettabili sciure con cappellino di Gullit (con treccine allegate) che starnazzano dai marciapiedi cori e inni al Milan campione.

Tutto si convoglia nel posto più naturale, San Siro. Ci ha appena giocato l'Inter con l'Avellino, 1-1 con i gol di Minaudo e Gazzaneo, Inter quinta, Avellino in B. Ci fosse Ungaretti in tribuna con la sua Allegria di Naufragi, sarebbe perfetto. E mentre gli interisti sfollano tristemente (e velocemente), le scale dello stadio cambiano colori, gente, mood. Porte aperte al cuore esultante dei milanisti, e arrivano in 80mila a celebrare Baresi e Maldini, Galli e Donadoni, Tassotti ed Evani, gli olandesi. E Berlusconi, in campo con cravatta rossonera. Lo portano in trionfo, al primo anello c'è sempre quello striscione, “Silvio Milano ti ama”, è lì dai giorni in cui i libri in tribunale erano dietro l'angolo e il futuro Pres faceva a braccio di ferro con Farina.

Berlusconi saluta, sorride, abbraccia, parla. Promette che è solo l'inizio, e nessuno ha dubbi, si capisce solo guardandosi in giro, vedendo quei giocatori e quell'allenatore di sotto e quella marea umana di sopra che questa è una storia che comincia, non è uno spot pubblicitario, la grande rivincita è in atto. Nemmeno 48 ore dopo quella notte così lunga e speciale, il Milan è a Old Trafford per una amichevole celebrativa con il Manchester United: al 60' conduce 3-0, e gli inglesi applaudono tra l'attonito e l'ammirato, perché una italiana così non l'hanno mai vista. E due giorni dopo, a Milano, anche il Real Madrid viene immolato alla voglia matta del Diavolo. Una festa infinita: trenta anni fa, e durata quasi 30 anni.

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