L'OPINIONE

Giù dal carro di Pioli, a calci nel sedere

Il tecnico rossonero sta diventando indifendibile anche dai suoi più grandi estimatori. Perché si può perdere, ma c'è modo e modo

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Non si tratta nemmeno più di restare aggrappati a un carro di gratitudine profonda verso l'uomo dello scudetto numero 19, perché Stefano Pioli, da quel carro, sta buttando giù l'intero popolo milanista a calci nel sedere. Tra derby persi, parole fuori sincro e quel filo di bullismo che una volta era ricerca di consapevolezza e oggi è la caricatura di Charlie Brown che si ribalta per uno sberlone. Il 5-1 di sabato sera non è solo il punto più basso possibile, è la bandiera bianca che si mostra al nemico con la battaglia ancora nel vivo, è una squadra che esce dal campo con venti minuti d'anticipo, è quella sensazione sgradevolissima di inferiorità tecnica e mentale, di arrendevolezza, di sudditanza psicologica. Non è perdere il problema, il problema è esattamente il suo contrario: è non saper perdere, non saper accettare la superiorità dell'avversario e quindi non onorarla con un impegno profondo e totale fino alla fine. 

Sbagliare tutto è possibile e si può perfino perdonare. Ma dopo si chiede scusa. Com'è che funziona? Quante volte figlio mio? E uno se la cava con due Ave Maria e lo schiaffo affettuoso del prete sul coppino. Se invece al malfatto si aggiunge arroganza, non c'è perdono che tenga. Milano è dinamica, guarda avanti e San Siro è una bestiaccia che ti sbrana.

È un mondo difficile, mister Pioli, e ogni tanto sarebbe il caso di fare anche un passo indietro. Non sente il bisogno di chiedere scusa? E no, se si entra nella storia del Milan dalla parte sbagliata, con un record negativo così umiliante, si chiede scusa eccome. E senza cercare giustificazioni. Il resto, le analisi al cronometro, i 4 minuti senza che l'Inter toccasse palla prima di subire il primo gol che fanno il paio con il famoso "nei primi sette minuti non erano mai entrati in area" del 2-0 di Champions (11 maggio), sono cose da portarsi semmai nello spogliatoio, da analizzare con la squadra (magari, tra l'altro, dopo una notte di riflessione), da capire e correggere. Non da dare in pasto a stampa e tifosi dopo un naufragio che nemmeno il Titanic. 

Altrimenti anche il tifoso più fedele e accanito ci mette un attimo a stracciare le foto della festa e a ricordarsi che subito dopo, in mano, è rimasto poco o niente. Anzi: la Champions di un anno fa, la Supercoppa, lo scudetto cotto e mangiato e ciao, rigurgitato in un attimo. Una lunga serie di umiliazioni prima della rivoluzione estiva, delle spese importanti sul mercato, delle speranze e delle promesse.

Anche perché, di nuovo, quante volte figlio mio? Ogni derby sembra il giorno della marmotta: partenza lenta, gol che nascono al centro, un canovaccio usa e getta che non sa modificarsi alla ricerca di una soluzione. E' il grande difetto di Pioli: è innovativo, ma statico e impreciso. O indeciso, se volete, perché ad esempio la gestione dei cambi è il suo più evidente tallone d'Achille. A Roma il conto l'ha pagata Tomori, maldestro quanto si vuole ma sicuramente tenuto in campo più del dovuto. Oggi, ma anche un anno fa, è tutta la squadra a subire questo mudus operandi. Per Pioli le riserve sono riserve. Entrano all'occorrenza, non sono un prolungamento della squadra titolare come accade in ogni altro club, Inter compresa. E infatti i vari Chuku e Musah, Okafor e l'ultimo arrivato Jovic, sono lontani anni luce dai titolari. Sono oggetti non identificati spalmati nella galassia di una partita quando la partita è per lo più finita. Hanno mostrato qualcosa fino a ora? Niente. Avrebbero potuto farlo? In queste condizioni, entrando sempre nel finale e sempre in una squadra piena di seconde linee, la risposta è no. 

Non entriamo qui nel merito di altri errori, come la scelta di portare dentro Calabria contro una squadra di cui si soffrono palesemente e da sempre i quinti (per non parlare degli spazi in cui si infilava Thuram: non sarebbe servita la copertura del capitano a Thiaw in occasione del secondo gol?), perché martedì arriva già la Champions e sarebbe bene evitare un altro disastro. Però in un Milan che ha chiuso dal giorno alla notte il proprio rapporto con una bandiera come Paolo Maldini, forse anche Stefano Pioli dovrebbe chiedersi se sia il caso di rimettersi in discussione come fatto, bene e con umiltà, in passato. Perché, dato che di derby si è parlato e siamo pur sempre a Milano, forse è il caso di affidarsi ai consigli di certe vecchie canzoni: in certi casi, caro Pioli, è meglio avere orecchio.

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