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Il pirotecnico 4-3 ha premiato la maggiore voglia di vincere dei bianconeri ma ha messo in mostra ancora troppe lacune. Il tecnico nerazzurro deve metterci del suo
di Max Cristina© Getty Images
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Divertente è stata divertente, ma quasi un anno dopo e con il passaggio dalla coppia Thiago Motta-Simone Inzaghi a quella Igor Tudor-Cristian Chivu il dibattito dopo il primo Derby d'Italia della stagione tra Juventus e Inter è nuovamente lo stesso ed è destinato a dividere. La differenza rispetto al 4-4 dell'ottobre del 2024 oltre allo stadio, all'epoca si giocò a San Siro ora a Torino, è ciò che conta di più e ha premiato la Juventus con il 4-3 nel recupero di Adzic pur sottolineando i limiti di inizio stagione di entrambe le formazioni apparse, forse inevitabilmente, come un cantiere aperto.
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Mentre il pubblico neutrale continuerà a schierarsi tra chi sottolinea lo spettacolo e i gol e chi gli errori, individuali e di squadra, a palla ferma bisogna fare i conti con le scorie lasciate dai novanta minuti del campo. In questo scenario i tre punti raccolti dalla Juventus, che portano la formazione di Tudor in testa al campionato a punteggio pieno, sicuramente sono una dolce prelibatezza che nulla ha a che fare con il secondo boccone amaro ingoiato dall'Inter di Chivu, alla seconda sconfitta consecutiva in campionato dopo lo spumeggiante inizio di torneo con il 5-0 al Torino. Paradossalmente però la situazione in chiave scudetto è la stessa per entrambe: per essere competitivi c'è da lavorare molto, moltissimo. È finita 4-3 per la Juventus, certamente, ma il risultato episodico avrebbe potuto tranquillamente premiare i nerazzurri in un match difficile da commentare senza tenere conto dell'imprevedibilità del campo e di ben quattro reti segnate dalla distanza da una parte e dall'altra.
La Juventus, per esempio, ha subito tre gol pur giocando una partita d'attesa e con una presunta compattezza che nel secondo tempo è venuta meno. Poche le trame di gioco durante i novanta minuti in cui l'unica stella a brillare per meriti propri è stata quella di Yildiz sia in zona gol che in chiave assist. Qualche giocata individuale, ma anche la difficoltà a reggere la pressione quando l'Inter ha alzato il ritmo nella parte centrale del secondo tempo. Poi è arrivato il cuore, l'orgoglio e quel pizzico di follia premiata con il gol di vittoria di Adzic a cambiare completamente lo scenario agli occhi dei tifosi. Ritrovare compattezza però sarà fondamentale per sviluppare un gioco più incisivo nel proseguio del torneo se l'ambizione è quella di restare in alto. La fame di vittoria ha fatto la differenza nei novanta minuti, ma da sola non basta.
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L'Inter, al contrario, si ritrova nuovamente a raccogliere i cocci di una serata in cui lo strapotere del recente passato è stato un lontano ricordo. Dal punto di vista dell'approccio alla gara c'è poco da dire a Chivu e al suo staff, ma qualcosa non sta funzionando e troppi uomini chiave sembrano ancora sideralmente distanti dalla propria versione migliore, quasi appagati se non stanchi da un ciclo che sembrava destinato a chiudersi in estate. Continuare a parlare della serata di Monaco di Baviera è controproducente, ma Bastoni, Barella, lo stesso Lautaro Martinez e Sommer devono velocemente alzare il proprio livello. Possono prendere spunto da Marcus Thuram per quello, da ammirare per atteggiamento e sacrificio, oltre che da Calhanoglu che è apparso più incisivo in zona gol che in mezzo al campo. In un contesto del genere però serve una scossa per evitare che la teoria del piano inclinato possa avere brutti effetti sulla stagione dell'Inter, ovvero che la pallina degli episodi sfortunati possa continuare a prendere velocità fino a distruggere tutto. Una scossa che solo Cristian Chivu può dare con interventi e decisioni forti, convinte, credibili. Un lavoro complicato e sicuramente difficile da attuare, ma lo stesso per il quale è stato chiamato e ha accettato di essere il volto post Simone Inzaghi. Dopo tre giornate e sei punti di distanza dalla vetta è già ora o mai più.