Il presidente nerazzurro: "Mi meraviglio che qualcuno si sorprende della bravura di Cristian"
di RedazioneÈ un Beppe Marotta a 360°, tra passato, presente e futuro, quello che ha parlato ai ragazzi che frequentano il master in Management dello Sport alla Rcs Academy Businness School. Il presidente dell'Inter si è soffermato innanzitutto sul momento della squadra e sulla scelta di Cristian Chivu come tecnico per il dopo Inzaghi: "Io mi meraviglio che le persone si siano sorprese della bravura di Cristian - le sue parole -. L’abbiamo scelto perché rappresenta valori importanti, c’è stato il coraggio di andare controcorrente anche a livello mediatico. Qualcuno addirittura evocava Mourinho, che con tutto il rispetto... Se non avessi avuto coraggio mi sarei pentito".
Parlando del club nerazzurro, Marotta ha fatto anche un riferimento al Psg, che pochi mesi fa infliggeva ai suoi una pesante sconfitta in finale di Champions League: "L'equazione non è più 'se spendo, vinco', ma va moltiplicata la motivazione per la competenza. Ed è quello che hanno fatto loro, cambiando modello di riferimento: basta nomi enormi, via a investimenti su giovani talenti".
Molte delle riflessioni condivise con gli studenti sono state però legate al suo passato e alla sua carriera dirigenziale: "Ricordo che nel 1983 il presidente dell'Inter dell'epoca, Pellegrini, mi chiese di venire come junior manager. Lui però amava occuparsi direttamente della gestione, quindi sono certo che se avessi accettato oggi non sarei presidente. Non serve velocità, bisogna arrivare ai traguardi con calma e saper gestire i momenti".
Una carriera cominciata molto presto ma, stando alle sue parole, giunta al culmine 15 anni fa, con il passaggio dalla Sampdoria alla Juventus: "Il mio culmine personale l’ho raggiunto alla Juve: avevo quasi 60 anni e una padronanza massima delle mie capacità professionali".
Gli inizi sono noti: "Partii da Varese grazie a una circostanza favorevole: abitavo vicino allo stadio. Mi stimolò la passione. Avevo 6-7 anni e assistevo agli allenamenti del Varese che all'epoca giocava in Serie A. Ero la mascotte. Così imparai la negoziazione, parlai con il magazziniere per avere una tuta in cambio di alcuni lavoretti come pulire le scarpe, sgonfiare i palloni, aiutare a lavare gli indumenti. A 18 anni conclusi il liceo classico e ottenni il primo contratto da dirigente, abbandonando un piccolo percorso perché ora ho ricevuto dalla Bicocca una laurea honoris causa, ma non ho potuto laurearmi perché iniziai a lavorare presto. A 19 anni ero direttore del settore giovanile".
"Era uno sport molto diverso da quello di oggi, in cui ci sono società quotate in borsa - ha proseguito nel ricordo -. All’epoca erano semplici associazioni sportive con a capo il mecenate, l’imprenditore locale. A Varese c'era Giovanni Borghi, della Ignis elettrodomestici, che per un debito di riconoscenza verso la collettività restituì qualcosa prendendosi a cuore lo sport cittadino. Era una polisportiva, che nel '68 vinse 5-1 con la Juve e che nel basket ha vinto tutto con Dino Meneghin. C'erano ciclisti di fama internazionale, il pugilato. A fine stagione si chiamava il CFO per fare un calcolo delle perdite, oggi il contesto è completamente diverso. Lo sport oggi senza sostenibilità non avrebbe senso di esistere, il modello del mecenatismo non esiste più. Poi le società sono diventate Srl, con concetti giuridici diversi. Codice penale, civile e di giustizia sportiva a cui rendere conto. Anche l’organigramma è cambiato, con parvenze di società "classiche" e non più sportive. Sono entrate competenze industriali, finanziarie. Prima l’obiettivo era il traguardo sportivo costasse quel che costasse, oggi la sostenibilità porta a rispettare prima gli equilibri finanziari. Il concetto di passione però resta. Anche quello relativo alla cultura del lavoro, che mi ha portato a imparare tutto quello che so. C’è però tanta ignoranza, alcuni direttori sportivi fanno confusione persino sul concetto di ammortamento... Io ho appreso molto da Sergio Marchionne, ad di Exor, anche se con la Juventus non c'entrava niente. Lui era fautore della politica del cambiamento. Il leader è coraggioso, perseverante, deve ascoltare".
Dopo Varese le tappe a Monza, Como, Ravenna, Venezia, Atalanta, fino allo sbarco alla Sampdoria nel 2002: "Ero attratto dalla possibilità di riportare la Samp dalla B in alto. Così accettai la proposta del dottor Garrone con molto coraggio, scendendo di categoria. L’allenatore era un mio carissimo amico, con cui ero stato a Venezia (Gianfranco Bellotto, ndr). Arrivai, ci salutammo e gli dissi che non intendevo continuare con lui. Poi lo aiutai a trovare squadra".
Infine, una riflessione su San Siro: "Per i vecchi romantici, pensare all’abbattimento di San Siro porta amarezza e nostalgia. Io stesso, per la prima volta, ci sono entrato nel 1966… È stato un contenitore di enormi emozioni. Ma così non si tiene conto dell’innovazione, che passa anche dal concetto di modernità. Bisogna rispettare i criteri che devono essere presenti all’interno di uno stadio: sicurezza, che non c’è, accoglienza, per poter stare allo stadio tutto il giorno con intrattenimento di ogni genere, e senso di appartenenza. Avere una propria casa. Non era immaginabile una ristrutturazione, e così si è arrivati all’abbattimento. Bisogna farlo per forza. Lo stadio nuovo porta benefici diretti e indiretti, non avere più una cattedrale nel deserto ma un punto di riferimento anche in settimana, dare vita ad attività sociali. Noi oggi siamo fanalini di coda. Incassiamo 80 milioni l’anno dai matchday, l’obiettivo del Real Madrid è superare mezzo miliardo...".