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l'opinione

La lezione di Chivu non è a Conte ma all'Italia intera

Mentre dallo stadio Maradona la polemica arbitrale si estendeva a tutto il Paese, una sola persona ha mantenuto lucidità: ripartiamo da li

di Stefano Fiore
27 Ott 2025 - 09:48

Mentre il mondo va avanti, non solo quello del calcio, gran parte - la stragrande maggioranza, bisogna ammetterlo - delle persone che gravitano attorno al calcio italiano è ancora ferma al contatto Di Lorenzo-Mkhitaryan e, soprattutto, a ciò che la decisione di Mariani ha successivamente scatenato. E quando parliamo di "persone che gravitano attorno al calcio italiano" non vogliamo sottrarci al giochino: sui social, su Whatsapp, al bar (esistono ancora le discussioni al bar?) si parla soprattutto di Napoli-Inter, a meno che non simpatizziate per la Juventus, che ha altri problemi in questo momento, ma è così pure su giornali, radio e siti web. Ci sta, alla fine è l'argomento più caldo, che divide, che merita approfondimenti e spiegazioni. Ma non può e non deve essere l'unico centro di gravità permanente della Serie A.

Una sola persona, almeno tra quelle più in vista, invece, ha mantenuto quella lucidità necessaria a far bene il proprio lavoro e, magari, insegnarci qualcosa: Cristian Chivu. Nonostante una sconfitta dolorosa, nella quale una svista arbitrale ha inciso il giusto ma non può essere l'unica spiegazione (dopotutto il rigore di De Bruyne è stato segnato al 33', c'era tutto il tempo per reimpostare morale e match), le tensioni con la panchina azzurra nel finale e pure le bordate di Antonio Conte, l'allenatore dell'Inter si è presentato ai microfoni in versione zen.

Il bello del tecnico romeno è che quello stato d'animo non era figlio di una dozzina di camomille prese nello spogliatoio per prepararsi alla raffica di domande a cui sarebbe presto stato sottoposto ma è qualcosa di naturale, una sorta di mantra con cui vive sia lo sport sia la vita. Lo si è capito meglio in questi mesi sulla panchina nerazzurra (se non vi è ancora capitato, risentitevi qualche conferenza stampa pre-partita) ma, chiedetelo a chi lo conosce da tempo, era così anche da giocatore, anche quando doveva prendersi secchiate di fango in faccia per scusarsi di quella che, probabilmente, è stata la cosa più brutta che aveva fatto da calciatore (il pugno tirato a Rossi in Bari-Inter del 2011). 

In poche parole Chivu:

  1. Ha spento le polemiche, pur nel rispetto dei ruoli (lui è il tecnico, la società fa la società): "La società ha il diritto di fare quello che pensa che sia giusto da fare, io da allenatore per coerenza non verrò mai a lamentarmi qua perché ho una dignità e un approccio diverso da quello a cui molti sono abituati"
  2. Ha richiamato la squadra alle proprie responsabilità: "I giocatori devono pensare solo a giocare. Abbiamo sprecato energie a discutere con la loro panchina e da lì non siamo più riusciti a mantenere la lucidità necessaria per ribaltarla. Abbiamo sprecato energie inutilmente. Dovevamo restare lucidi, capire meglio le dinamiche e i momenti della partita".
  3. Ha dato una lezione a tutti: "Io sto cercando di cambiare le cose ma per ora lotto da solo, siamo sempre abituati a piangere e lamentarci e dobbiamo evolverci. Finché sarà qui farà questo, non mi interessa cosa pensano gli altri di me".

Ora sta a noi prendere nel giusto verso queste parole, visto che in questa società egoriferita dà sempre fastidio chi tenta di parlarci di qualcosa di diverso, quasi come se volesse ergersi a santone dalla caratura spirituale superiore. Eppure, troppo spesso, siamo noi - sopraffatti da divisioni di tifo o culturali - che vediamo del marcio in qualcosa che marcio non è, non accorgendoci che si può sempre imparare. Tanto noi ci risentiamo alla prossima polemica arbitrale, ovviamente.

Conte-Lautaro, tensione alle stelle

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