L'INTERVISTA

Iniesta, ansia coronavirus: "Se vedo uno stadio pieno, mi sento disperato"

Lo spagnolo si confessa: "Tutto questo tempo senza giocare mi dà l'energia per durare ancora a lungo"

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I fantasmi di Iniesta risvegliati dal coronavirus. "Ogni volta che vedo la foto di una partita o di uno stadio pieno, mi sento disperato", ha confessato don Andres al Guardian. Il fuoriclasse spagnolo, ex star del Barcellona vincitutto, sta trascorrendo giorni difficili nella sua casa di Kobe, in Giappone, dove vive da quando ha lasciato il Barcellona che lo ha consacrato come uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Il campo è lontano, e lui soffre. Giorni di inquietudine e di attesa snervante, e sullo fondo il ricordo mai cancellato di quando il mal di vivere lo spinse nell'abisso della depressione. Un tempo lontano e superato. Ma che sembra voler bussare di nuovo alla sua porta.

Il coronavirus e il conseguente blocco del campionato hanno gettato scompiglio nella seconda vita sportiva di Iniesta, campione del mondo e d'Europa con la Spagna, calciatore geniale sul rettangolo di gioco, tanto schivo caratterialmente, quanto amato dagli appassionati di calcio. Ora milita nel Vissel Kobe, sereno viatico prima dell'addio all'attività agonistica, ma quest'anno il campionato non ha fatto in tempo a cominciare il 21 febbraio che il 25 è stato fermato a causa del Covid-19. Da allora, 55 giorni fra attesa e rinvii continui. E così gli spettri dell'angoscia hanno ripreso ad aggirarsi dalle parti del campione, che non sa stare lontano dal campo, e si vede sottrarre dal destino scampoli irripetibili di carriera e prodezze. Ancor più pesa l'incertezza sul quando e sul come si riprenderà a giocare.

Iniesta ammette il suo disagio: "Si doveva ripartire il 15 marzo, poi il 29 marzo, quindi il 6 maggio, ora il 9 maggio. Ma chi lo sa? E questo in un Paese che è un modello di gestione della pandemia, uno in cui, per fortuna la situazione sembra essere sotto controllo". Figurarsi cosa può accadere altrove, non dice Iniesta, ma lo pensa.

Da quando è scoppiata la pandemia il campione spagnolo vive rinchiuso nella sua casa di Kobe con la moglie e i quattro figli, l'ultimo dei quali di appena pochi mesi. Non esce quasi mai, anche se potrebbe: le notizie dalla Spagna "ci condizionano", dice. Così fa ginnastica in casa e aspetta. "Ci sarà un prima e un dopo il coronavirus", commenta, sognando il giorno in cui si potrà giocare di nuovo.

Se davvero la Japan League riprenderà nella prima metà di maggio, Iniesta avrà già festeggiato 36 anni (li compie l'11 maggio). Potrebbe essere uno spartiacque, forse il momento di guardare da vicino alla pensione e cominciare a pensare al futuro da tecnico. A lui non dispiace pensarsi allenatore un domani, ma di lasciare il calcio giocato non ha nessuna voglia. Anzi, "tutto questo tempo senza giocare mi dà l'energia per durare ancora a lungo", dice, ricordando che ha un contratto con il Vissel Kobe fino a tutto il 2021. Che intende onorare. "Mi sento bene, sono motivato, voglio continuare a giocare, sono contento di essere qui".

"Dall'inizio della pandemia - osserva Iniesta - le scuole sono state chiuse, gli eventi di massa cancellati. L'uso della mascherina e le precauzioni igieniche qui sono cose normali e ciò ha contribuito a ridurre la diffusione del virus. Ora stiamo solo aspettando, restando a casa, uscendo il meno possibile. Nel breve e medio termine, il virus è destinato ad avere un impatto sociale ed economico a tutti i livelli. Il calcio fa parte della società, non può sfuggire. Ciò avrà un impatto; ci saranno misure che rimarranno sempre, cambiamenti, un prima e un dopo. Dobbiamo cercare di trarre il meglio da una situazione terribile. Nulla sarà più come prima".

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