VITTIMA DEL CORONAVIRUS

Atalanta, addio a Cometti: 38 anni in nerazzurro tra la Coppa Italia e l'epopea Percassi

Portiere silenzioso, gran lavoratore, amico dei giovani: la storia di un poco celebrato protagonista delle tappe che hanno reso il club una fucina di campioncini

  • A
  • A
  • A

A 83 anni è morto Zaccaria Cometti, stroncato da alcune complicazioni legate al Covid-19. Portiere e in seguito allenatore, ha lavorato all'Atalanta per ben 38 anni. Passando dalla vittoria della Coppa Italia 1963 (perdendo il posto a favore di Pizzaballa) agli anni di Percassi e Mino Favini. Entrambi due compagni di squadra e poi due dirigenti per cui lavorare, sempre all'insegna del fiore all'occhiello societario: i giovani.

Lutto a Bergamo e in casa Atalanta, dove nella città falcidiata dal Coronavirus si è spento Zaccaria Cometti. In silenzio, come decenni di vita professionale lo avevano reso un monumento della società nerazzurra. "In Prima Squadra per 11 stagioni, diventa poi allenatore del vivaio, quindi allenatore in seconda ed infine, dal 1975 al 1990, allenatore dei portieri. In totale sono 38 anni: è un assoluto esempio di fedeltà ai colori nerazzurri", con queste parole lo ricorda l'Atalanta nel comunicato con cui saluta per l'ultima volta un uomo che in punta di piedi tanti capitoli aveva scritto per la storia della Dea. Che in quest'anno disgraziato volava sulle ali dell'entusiasmo anche in Europa grazie alla vetrina della Champions League. Che 12 mesi fa si preparava a una storica finale di Coppa Italia, poi persa in finale con la Lazio.

Una Coppa Italia che avrebbe fatto compagnia a quella del 1963, unico trofeo nella bacheca atalantina. Un trofeo con il quale Cometti c'entra eccome. L'Atalanta del 1963 per certi versi ricorda molto quella di oggi. Il presidente Daniele Turani stava dando vita a un nuovo progetto societario, con il fondamentale aiuto di Luigi Tentorio, per tutti "l'Ingegnere" (entrambi bergamaschi, quest'ultimo ex calciatore nerazzurro di lungo corso): da circa un decennio i due avevano deciso di potenziare il settore giovanile della squadra, gestendolo in maniera separata dalla prima squadra e affidandosi a collaboratori i cui nomi sarebbero entrati nel mito cittadino. Giuseppe "Papà" Ciatto, Giuseppe Brolis, Raffaello Bonifaccio: furono loro a scoprire i migliori talenti della bergamasca, ma anche di Veneto e Friuli, farli crescere e poi venderli alle big. Nel frattempo si studiavano i campionati stranieri, specie del Nord Europa e del Sudamerica, da cui arrivavano campioncini e futuri fuoriclasse: da Gustavsson, che da atalantino avrebbe marcato Pelé nella finale mondiale del 1958 (subendo il sombrero più famoso della storia), a Humberto Maschio, terzo "Angelo dalla Faccia Sporca" insieme a Sivori e Angelillo e che nel 1962 fu venduto all'Inter.

Cometti entrò in squadra in questo clima, e trovare paragoni con l'Atalanta di Percassi è fin troppo semplice. Bergamasco tutto d'un pezzo (anche se veniva dalla Bassa), debuttò 19enne senza pestare i piedi al titolare Boccardi, poi progressivamente gli rosicchiò il posto e lo mantenne nelle stagioni successive. Fece intanto da chioccia a un certo Pier Luigi Pizzaballa (ancora inconsapevole del suo futuro da figurina introvabile Panini) e diresse una difesa completata dai terzini Roncoli e Titta Rota e dal capitano della squadra, lo stopper Gardoni: tutti e quattro bergamaschi, come bergamaschi erano i giovani che stavanno crescendo sulle loro orme. E infatti in quel 1963 la Coppa Italia fu vinta nella finale contro il Torino con in campo i tre eredi: Pizzaballa in porta, Pesenti e Nodari in difesa. Tre bergamaschi per tre bergamaschi. Come nostrani furono i gol che decisero il 3-1 finale, tutti segnati da quell'Angelo Domenghini che ben presto avrebbe vinto scudetti e coppe tra Inter e Cagliari. Per poi diventare protagonista assoluto con l'Italia di Valcareggi, sia nel trionfo degli Europei del 1968 che al Mondiale di Messico 1970: quello del 4-3 con la Germania.

E all'Atalanta il primo allenatore di Domenghini era stato, guarda caso, proprio Valcareggi. Che a Coverciano ci era arrivato dopo due esperienze tra gli scalpitanti giovani dell'Atalanta. L'esplosione di Pizzaballa, che rispetto a Cometti aveva due anni in meno e più dimestichezza con le luci dei riflettori, relegarono il più esperto compagno di nuovo in panchina. Ma Zaccaria non tradì la sua natura di uomo di poche parole e di nessuna polemica. Rimase infatti al suo posto, vedendo sbocciare altri futuri Azzurri come Anquilletti e Beppe Savoldi per poi riprendersi in maniera altrettanto silenziosa il posto da titolare nel 1966, quando un Pizzaballa pronto a partire per i Mondiali da vice Albertosi fu venduto alla Roma. Sarebbe rimasto in squadra fino al 1970, Cometti. Facendo in tempo a dividere lo spogliatoio con Marchetti e Adelio Moro, poi sfiorando Scirea e Cabrini.

Nel frattempo era già entrato nei quadri societari, mettendo a disposizione la sua serietà e la sua professionalità ai giovani del futuro. Tra cui, guarda caso, Antonio Percassi. Lo stesso Percassi che nel 1991 rilanciò il settore giovanile affidandolo a Mino Favini. Che nell'Atalanta aveva giocato, nel 1962, insieme proprio a Cometti. Un Cometti che nel 1991 ancora era all'Atalanta, come allenatore dei portieri, ormai vero e proprio monumento di una società che decennio dopo decennio ha fatto della sua politica un modello. Anche grazie a uomini come lui.

Leggi Anche

Commenta Disclaimer

I vostri messaggi 0 comments