Allegri, la solitudine del numero uno

Vince ma resta poco amato da parte del popolo juventino. Eppure in Europa nessuno è bravo come lui

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Non lo ameranno mai. Non tutti almeno. E non importa se nessuno vince come lui, se ha dimostrato di saper valorizzare al meglio, sempre, una rosa che nel corso degli ultimi tre anni è stata letteralmente stravolta e non per forza rafforzata. E' il destino di Max Allegri, uno che una (buona) parte del popolo juventino non smetterà mai di criticare. Uno che "non fa giocare bene" la sua Juve. Anche se vince. Anche se arriva sempre fino in fondo in ogni competizione. Sempre.

Eppure i numeri delle sue Juventus fanno impressione: tre scudetti consecutivi, tre Coppe Italia consecutive, due finali di Champions. Una quantità di vittorie, in Italia, imbarazzante: 84 in tre stagioni contro 17 pareggi e 13 sconfitte, una media di quasi 90 punti a stagione. Il tutto dopo aver preso una squadra che il suo amatissimo predecessore, Antonio Conte, aveva dato per morta. Defunta. Quindi risorta, evidentemente.

Come si fa a pensare che giochi male? E poi davvero la Juve gioca male? Allegri non è e non sarà mai un tecnico alla Sarri. Non è maniacale come Sarri e non ricerca la qualità di Sarri. Ma è senza ombra di dubbio il tecnico più duttile che la Serie A possa produrre e, forse, il più duttile a livello europeo. Per chiarirci: Guardiola, il migliore di tutti, è l'allenatore più evoluto del pallone mondiale, ma gioca in quel modo lì. In quel modo lì e basta. Conte gioca alla Conte come Mourinho gioca alla Mourinho. Il loro marchio di fabbrica è chiaro e, con qualche piccola variazione, si ripete sempre identico a se stesso.

Allegri è invece un camaleonte e, in certe scelte, qualcosa di molto vicino a un genio. Basta pensare al ruolo che si è inventato per Mandzukic e che gli ha permesso di infilare scudetto e finale di Champions. O alla capacità sua - e della sua squadra ovviamente - di passare dalla difesa a quattro a quella a tre come se non ci fossero le differenze, evidenti, che invece ci sono. Di schierarsi con un centrocampo a due o a tre se non addirittura a cinque. Di allineare tre uomini alle spalle di una punta come di pensare un Douglas Costa sotto punta. Basta? No.

E allora forse bisognerebbe aggiungere un altro pensiero: quale allenatore ha perso, in tre anni, Pirlo - il miglior regista della storia del calcio -, Vidal, Pogba, Tevez, Morata, Dani Alves, Bonucci, Evra e Llorente? Quale altro allenatore sarebbe capace di vincere con la stessa, imbarazzante, serenità dopo aver "perso" una squadra intera. E' vero, la Juve ha lavorato benissimo in entrata. Ha acquistato e speso tanto. Ma ogni volta è stato quasi un ricominciare. E non un banale ricominciare.

Però Allegri non è simpatico. Però non ha la juventinità dentro. Però non spende parole a vuoto. Però la Juve non regala lo spettacolo del Barcellona o del City. E non importa se vincerà anche quest'anno. Non importa se riuscirà a portarsi a casa di nuovo uno scudetto (che noia, pensano forse), una Coppa Italia (conterà mica qualcosa, diranno) e, magari, arriverà ancora tra le prime in Champions. E' arrivato tra gli insulti e c'è una parte di Juve, di popolo bianconero, che non smetterà mai di fischiare. Mai, nemmeno di fronte all'evidenza di un allenatore unico e, forse, irripetibile.

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