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Si è spento oggi, a 83 anni, nella sua Castenedolo, dove era nato l'8 maggio 1942, Michele Dancelli, uno dei volti più amati del ciclismo italiano. Il suo nome è legato, oltre che alle numerose imprese sportive tra cui tre Giri dell'Appennino e due Trofei Laigueglia, soprattutto alla vittoria nella Milano-Sanremo del 1970. Un successo colto al termine di una fuga solitaria di 70 chilometri e che riportò la Classicissima di Primavera in Italia a distanza di ben diciassette anni, dopo Loretto Petrucci nel 1953. Una vittoria epica, colta "a modo suo", irresponsabile e garibaldino, 'anarchico' come ha avuto modo di definirla Marco Pastonesi nel bel ricordo scritto oggi su Tuttobiciweb.it. Fu anche, quella affermazione, il ritorno ai vertici del ciclismo romantico e operaio, che lo stesso Dancelli ha interpretato in quegli anni al cospetto di campioni eterni del calibro di Merckx, Gimondi, De Vlaeminck. Come lui stesso ha raccontato più volte, iniziò con il ciclismo in età tarda, scoprendosi corridore nel 1963 con la conquista del titolo italiano dilettanti. Pochi giorni dopo passò professionista e lo fu fino al 1974 (costretto a lasciare più per i postumi di un incidente nel 1971 che per anzianità "di servizio"), non prima di aver conquistato anche due medaglie di bronzo, ai Mondiali di Imola nel 1968 e di Zolder nel 1969. Il presidente Cordiano Dagnoni "a nome di tutta la grande famiglia del ciclismo, nel ricordarne le imprese e l'impatto che ebbe sul ciclismo italiano, esprime i sensi del più profondo cordoglio ai familiari e agli amici".