TOR DES GEANTS

Stephanie Case: "Per le donne dell'Afghanistan e per le ragazze che non sono libere di correre"

La vincitrice della prova più estrema dell'evento-TORX rivive i momenti più significativi della sua avventura ai piedi dei quattromila valdostani.

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Tra le mille storie raccontate dal Tor des Geants 2021 svetta - a nostro avviso più in alto di tutte - quella di Stephanie Case, prima donna e terza assoluta nella prova più estrema dell'evento valdostano: il Tor des Glaciers. Canadese di nascita ma cittadina del mondo e delle sue aree più disagiate, la 38enne attivista per i diritti umani - e quelli delle donne  in particolare - ha consegnato (inevitabilmente) ai social il testamento etico della sua avventura al limite dei ghiacciai della Valle d'Aosta. E le sue immagini più sofferte e vissute.

A due settimane dal via del Tor des Glaciers (e ad una dalla sua conclusione) la donna che ha fatto storia al Tor ha di fatto voluto dividere merito ed esito della sua performance con le donne e le ragazze di tutto il mondo ed in particolare quelle che vivono (ed in molti casi sopravvivono) nelle molte aree di crisi del pianeta, alle quali Stephanie presta assistenza direttamente partecipando alle missioni ONU ed attraverso Free To Run, l'associazione da lei fondata e che - attraverso lo sport e la corsa in particolare - promuove la presenza femminile nella vita pubblica e nella società. Delle donne e delle ragazze, sottolinea a più riprese Stephanie: l'attenzione al presente, quindi, a non lasciare indietro nessuno, ma soprattutto lo sguardo rivolto al futuro. Le lasciamo spazio, qui e ora. Alle parole di Stephanie ed ai suoi pensieri, alla sua avventura come si dice oggi multitasking. Più semplicemente: indispensabile.

 

Non esiste spiegazione logica al modo in cui sono arrivata alla linea del traguardo dei 450 chilometri (e dei 32mila metri di dislivello positivo) del Tor des Glaciers, in totale autosufficienza. Gambe forti possono aiutare, ma da sole non bastano a trascinarti su e giù tra le montagne della Valle d’Aosta per sette giorni consecutivi.

Ho corso per 155 ore, con sole quattro-cinque ore di sonno. Ho danzato nello spazio tra il mondo reale e quello dei sogni. Realtà ed allucinazioni si sono mescolate, dando forma ad un nuovo stato, del quale solo io potevo avere consapevolezza. Volti sono apparsi e scomparsi sulle pareti rocciose mentre mi avvicinavo, occhi di animali hanno brillato nella notte all’unisono con le stelle e le nuvole hanno vorticato sopra di me in sincronia con i miei passi. Ho rivolto la faccia verso il cielo quando pioveva, alla ricerca di un aiuto dalle gocce di pioggia per restare sveglia e lucida. Ho abbracciato le montagne nella mia mente, ogni volta che mi sono sentita sola, traendo sollievo dal dolore ai miei piedi nella ricerca di sprazzi di luce solare.

Sono stata guidata - non ho dubbi su questo - dall’idea di arrivare terza assoluta. Sapevo che finire ai vertici sarebbe servito a fornire un nuovo esempio di come le donne possano competere allo stesso livello degli uomini e di come siamo perfettamente in grado di cavarcela là fuori nel più difficile dei contesti ambientali. Una volta sulla montagna però mi sono ritrovata da sola con i miei passi, il mio respiro affannoso ed i battiti del cuore a scandire il ritmo.

Riuscire a portare a termine questa prova ha rappresentato un immenso privilegio, accessibile a pochi. Ad ogni passo mi sono venute in mente le donne e le ragazze di Free To Run. Piuttosto che permettere ai recenti eventi in Afghanistan di abbattermi, li ho usati come carburante per spingermi in avanti. Le recenti restrizioni inflitte alle donne e alle ragazze mi hanno fatto infuriare nel profondo, ma la battaglia non è finita. Verremo fuori da tutto questo: giorno dopo giorno, notte dopo notte, e non ci arrenderemo.

Con riconoscenza e in solidarietà con le donne e le ragazze che non sono libere di correre… e per tutti quelli che non pensano di avere un posto nella natura. Lo avete. Tutti lo abbiamo.

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