CORSA IN MONTAGNA

Il Giir di Mont: una storia avventurosa e "mondiale", gli interrogativi del presente ed un futuro tutto da… correre

Un libro scritto da Filippo Fazzini ripercorre le alterne vicende di una prova nata come sfida paesana ed arrivata quattro anni fa alla validità iridata. 

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Basta dire “Giir”, non serve altro. Perché, con interruzioni anche lunghe, rinascite ed evoluzioni epocali il Giir di Mont che collega i dodici alpeggi (“Mont” appunto) di Premana, piccolo comune a mille metri di quota nella lecchese Valvarrone, è un evento unico nel suo genere. Ce lo ricorda “Giir di Mont - Oltre la corsa” (Bellavite Editore), il libro che Filippo Fazzini - storico team leader del suo comitato organizzatore - ha concepito come dono natalizio per pochi amici e che poi è cresciuto fino a diventare il testimone di un storia carica di suggestioni ma soprattutto varia e accidentata come un sentiero di montagna.

Ci sono gare che iniziano ben prima della scatto al via e che non finiscono sotto l’arco del traguardo. Ci sono gare che - in un certo senso - si corrono anche quando nemmeno vanno in scena, come nei ultimi due anni. Con i 32 chilometri, le tre salite di Chiarino, Bocchetta di Laréc e Premaniga/Solino/Deleguaggio (ed altrettante discese) ed i 2400 metri di dislivello positivo del suo itinerario classico, il Giir di Mont è una di queste. In un certo senso il Giir è… un caso, un caso ancora aperto. Da ben più di mezzo secolo, dalle prime pionieristiche ed avventurose edizioni dei primi anni Sessanta!

Nei giorni tradizionalmente dedicati allo svolgimento del Giir - nel cuore stesso dell’estate - ne vogliamo tenere viva la memoria (augurandoci al tempo stesso il suo ritorno nel 2022) attraverso una chiacchierata con Filippo Fazzini, vale a dire colui che per un intero ventennio (dal 1999 al 2019) è stato il frontman - come lui stesso si definisce - del comitato organizzatore, ruolo appena abbandonato. Al “Giir” (ed in particolare al “suo” Giir) l’appassionatissimo premanese ha dedicato quello che a noi, tenendolo tra le mani, sfogliandolo e leggendolo, più che un libro pare un atto d’amore verso un evento che fa parte della storia. Quella di Premana, innanzitutto. E poi quella della corsa in montagna e dello skyrunning. La precisazione non è superflua. Al contrario, basilare: perché ci parla di un’ambizione, di una missione, forse di un’utopia. E per certo di un sogno in buona sostanza realizzato. Del quale però non accontentarsi, dal quale “muovere” verso nuovi traguardi: un rinnovamento radicale o forse una ripresa all’insegna della tradizione. La differenza la fanno gli uomini: l’hanno sempre fatta. Questo sembra proprio essere - tra le righe e dietro la curva del sentiero - il messaggio che Filippo ci ha trasmesso.

 Filippo, partiamo... dalla fine, che è poi quasi sempre un po' un inizio...

Avevo bisogno di staccare. Non sarebbe stato così facile ma mi ha “aiutato” il Covid. L’anno scorso il “Giir” era saltato, quest’anno pure e questo mi ha dato la possibilità di farmi un po’ da parte ma di rimanere ancora, ascoltare i ragazzi che sono subentrati nell’organizzazione, le loro intenzioni, dare loro dei consigli. Quattro o cinque anni fa sarebbe stato difficile staccarsi. Per come mi ero legato alla gara, per quello che ci mettevo. Adesso è giusto lasciare spazio ai giovani: un po’ alla volta magari, non da un momento all’altro. Perché, non facendolo, noi diventiamo vecchi e si ferma tutto il meccanismo. Sarebbe un peccato! L’importante sarà da qui in avanti metterci ancora quella componente “folle” di passione per la corsa che ha portato me a trascurare tante altre cose della vita, pur di andare in giro alle gare per tenermi aggiornato ed ingaggiare top runners da portare tra queste montagne. Quest’anno, con un comitato organizzatore al debutto, si è dovuto anticipare i tempi e prendere una decisione già a gennaio. Purtroppo ad inizio anno la situazione dell’emergenza sanitaria era ancora molto incerta. E poi il Giir è una festa, con tanta gente sul percorso e queste due componenti imprescindibili sarebbero venute meno. Potendo decidere il da farsi più avanti, in primavera, forse le scelte sarebbero state diverse. Mah… chissà se riusciremo mai a superare questa… porcheria o se ne saremo ancora a lungo schiavi.

Come è nato il tuo libro? Ce ne racconti la genesi?

Il nucleo iniziale del comitato organizzatore da me presieduto era formato da tre persone, poi salite a nove ed infine ad una dozzina. Il nostro lavoro è culminato nel Giir “mondiale” del 2017. A quel punto mi è sembrato il momento di mettere insieme pensieri, aneddoti e foto della nostra avventura ma il materiale raccolto con la collaborazione del periodico locale “Il Corno” (oggi non più pubblicato) alla fine era… una valanga! Così ne è venuto fuori un libro da 280 pagine, legato poi ad un’iniziativa benefica. Credo ci sia dentro tutto. Anche se poi, a posteriori, avremmo potuto aggiungere altri aneddoti, altre riflessioni o immagini. L’argomento è praticamente… sterminato. Come in tutte le cose però, ad un certo punto bisogna fare delle scelte. Mi sono fatto aiutare da Lorenzo Colombo per i testi e da Alberto Locatelli per foto, grafica ed archivio. Questa gara mi ha coinvolto a tal punto – lungo il corso degli anni - che la mia parte l’ho scritta in dieci giorni, perché il Giir per me è una sequenza precisa, fissa in testa. Spero che di “malati” di corsa come me non ce ne siano in giro molti…! Si ruba un po’ di tempo al sonno, un po’ alla famiglia e si riesce a fare tutto quello che va fatto. Solo ora me ne rendo conto e mi piange il cuore dover andare oltre (come in senso lato suggerisce il sottotitolo del libro, ndr) ma… non posso più permettermelo. Non voglio essere “martirizzato”. Io andavo alle gare a… copiare, a spiare e ad ingaggiare top runners per il Giir ma ero circondato da un piccolo team di sei-sette amici validissimi per competenza, disponibilità e dedizione con i quali – penso soprattutto all’anno dei Mondiali - avevamo formato una macchina da guerra, da grandi numeri, al punto che quella squadra – ne sono certo – ancora oggi non sfigurerebbe al timone di qualsiasi altra prova di livello internazionale.

Come si spiega il successo internazionale di una gara che si svolge in un valle appartata delle Prealpi Lecchesi, fuori dal grande giro alpino di località mondialmente conosciute?  È la cosa che più mi… interroga, davanti al successo ed alla storia del Giir…

Dal 2002 ho visto che si poteva combinare qualcosa di buono, che una squadra fatta di gente vogliosa e valida poteva crescere e migliorarsi come fa un atleta determinato. Finché nel 2015 è nata la scommessa del doppio Mondiale, perché il mio cruccio è sempre stato quello di “risolvere” la questione della possibile convivenza e delle differenze tra skyrunning, corsa in montagna e trailrunning. Così è nato il nostro Mondiale doppio, con la distanza classica e la lunga distanza, e non era mai accaduto prima! È stato il processo di crescita di un’intera comunità (quella di Premana) che è un paese lontano da tutto, un po’ fuori dal mondo. Siamo dei buoni montanari, facciamo fatica a mischiarci con gli altri ma, grazie anche a collaborazioni ed amicizie, il Giir da gara di paese è diventato… quello che è diventato. Non siamo Livigno, Cervinia o Canazei ma - da vent’anni a questa parte - l’ultimo fine settimana di luglio il paese si ferma, le strade sono bloccate, la piazza della chiesa pure, nemmeno il parroco si fa… pregare, cambiando persino l’orario delle messe! Quando si parla di cinquecento volontari su duemiladuecento abitanti, si parla di un evento spaventosamente sentito. E questa è la nostra fortuna rispetto ad altre località che sono sicuramente più rinomate e suggestive ma magari fanno fatica a trovare volontari e spazi perché di eventi in estate ne ospitano uno ogni fine settimana e quindi devono contenderseli. Il Giir invece è un evento unico nel suo genere.

Tra i tanti campioni che sono venuti (e che in molti casi proprio tu hai portato, andando personalmente a cercarli) a Premana, chi ricordi con maggior piacere?

Considerato il personaggio, Kilian (Jornet, come è conosciuto da tutti nell’ambiente) è impressionante per la sua umiltà ed io sono rimasto stupito dalla sua disponibilità ogni volta che gli chiedevo qualcosa, anche se poi nel tempo le cose sono un po’ cambiate e lui è diventato diciamo così un po’ lontano. Poi, per come sono io, per via del percorso che mi ha portato a “convertirmi” alla corsa in montagna, i campioni ai quali sono più legato sono i gemelli Martin e Bernard Dematteis che mi hanno dato veramente tanto, tanto, tanto. Certo è che Mario Poletti  (vincitore nel 1999, nel 2000 e nel 2002, ndr) è venuto qua in un’epoca ben diversa. Il Giir di Mont era un’altra cosa rispetto ad oggi e quindi Mario ha avuto un’incidenza diversa sulla sua storia. I gemelli sono venuti qui a mettersi in gioco in una gara dalla quale – lo si sapeva prima - sarebbero usciti… con le ossa rotte. Per i Mondiali si sono spesi esageratamente e mi sono rimasti amici veramente tanto. Sono sicuramente in cima alla mia lista, anche se poi siamo rimasti grandi amici anche con Marco De Gasperi, con lo stesso Kilian (autore della "manita" di successi dal 2008 al 2011 e poi 2014, ndr) e con tanti altri ancora, tra i quali Ricardo Mejia (primo nel 2007, ndr), anche se lui ora è dall’altra parte dell’Atlantico e anche per via dell’età che avanza diventa difficile trovarsi.

Voglio però ricordare due altre persone, anche se non si tratta di atleti: prima di tutto Paolo Germanetto (attuale  responsabile tecnico nazionale corsa in montagna, trail e lunghe distanze alla WMRA - World Mountain Running Association - la Federazione Internazionale Corsa in Montagna, ndr), che è stato l’artefice del Giir mondiale: tutti ci abbiamo lavorato tanto ma lui ci ha messo la faccia, ed era quello la chiave perché il nostro sogno si avverasse. E poi Marco Rampi che nel 2014 mi ha fatto conoscere l’Africa e questa è un cosa che mi porto dentro e che - da appassionato della corsa - un po’ mi ha cambiato dentro, mi ha fatto capire il sacrificio, la fatica, l’essenzialità. L’ho notato al rientro da quel viaggio, anche in famiglia, nel rapporto con i miei figli. L’Africa da me conosciuta grazie all’esperienza con il team austrokeniano Run2gether è tutta diversa da come viene abitualmente descritta.

Il tuo libro racconta una storia che affonda le sue radici addirittura all’inizio degli anni Sessanta, che ha conosciuto accelerazioni e frenate, interruzioni e rinascite e che ora affida ad una nuova generazione un “nodo” particolarmente complesso, che ha a che fare con il suo stesso avvenire. Tu come lo vedi o almeno immagini, al di là di quello che tu stesso definisci il tuo carattere pessimista…?

Secondo me, da appassionato quale sono, sarebbero da seguire un po’ le mode perché il Giir (ed è stato alternativamente una fortuna ed una sfortuna) non è una gara di skyrunning ma ha cavalcato l’onda dello skyrunning e non è una corsa in montagna ma ha fatto credere che si poteva fare una corsa in montagna lunga tipo la Sierre-Zinal, che per me resta l’esempio da seguire, anche se in Svizzera è tutto più facile. Non si può negare che la tendenza sia quella di andare verso il trail, quindi bisogna capire che strada prendere. Secondo me serve un cambio di rotta: fare più eventi (uno corto, uno lungo ed uno lunghissimo) oppure utilizzare il brand ma cambiare il percorso. Questa è la mia idea. Dopo ventidue anni nel segno della continuità, un restyling ci potrebbe anche stare. Viceversa, noi siamo sempre stati legati alla tradizione e chissà che la mossa vincente non sia proprio continuare a restarlo.

Come facciamo spesso avvicinandoci al termine delle nostre conversazioni, ti lascio la parola senza farti un domanda specifica: uno spazio di libertà, per dire quello che ti senti di dire sul Giir di Mont. Uno spazio di libertà che ti sei meritato e da parte nostra - ma sono sicuro di parlare a nome di tanti - uno spazio di riconoscenza per te, il tuo team, il Giir e Premana.

Questo libro l’ho fatto mio, però non vuole essere un’autocelebrazione di quello che ho fatto o non ho fatto ma una storia particolare, di un evento particolare, in un luogo particolare. Un riassunto di bei ricordi, di vent’anni di cose belle, di emozioni. Sostanzialmente un cammino, certo il mio. Un cammino a partire dall’intuizione che il Giir potesse diventare qualcosa di grande e poi negli anni l’ambizione di voler mettere insieme ad ogni costo corsa in montagna e skyrunning, fino al sogno della rassegna iridata. Una volta arrivati lì, al Mondiale, più di così era difficile fare…! Anche se qualche sogno nel cassetto - sogno proibito! - ci potrebbe essere ancora ma… per ora lasciamolo nel cassetto! Insomma, un percorso che è arrivato al capolinea dopo aver fatto il pieno di successi. “Giir di Mont - Oltre la corsa” non vuole essere un testamento ma un passaggio di testimone e - come ho avuto occasione di scrivere - spero che il Giir possa dare a qualcuno dei ragazzi che formano il nuovo comitato organizzatore quel “qualcosa in più” e poi tutto quello che ha dato a me: qualcosa da poter raccontare e trasmettere ai propri figli.

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