Passaggio "obbligato" di fine primavera alla quattordicesima edizione della popolarissima classica lecchese
di Stefano Gatti© ResegUp Ufficio Stampa
E adesso, finalmente, a tutta birra verso il traguardo! Dopo tanta (tantissima) acqua in gola e un po’ dappertutto lungo il corpo, dopo poco tè e sali minerali quanto basta, il penultimo punto di rifornimento (leggermente alcoolico) della ResegUp nella località di Acquate è uno dei miei obiettivi. Oltre al green carpet di Piazza Garibaldi, s’intende. Nelle mie quattro precedenti partecipazioni alla classica del primo sabato di giugno che parte da Lecco, scala il Resegone e fa ritorno nel capoluogo lariano dopo milleottocento metri in su e poi in giù, il mezzo bicchiere di birra “di lancio” verso lo sprint finale lo avevo prudenzialmente saltato ma stavolta… stavolta no, non se ne parla proprio. La "manita" va festeggiata come si deve! Afferro al volo il suddetto bicchiere (opportunamente riempito solo a metà) e butto giù la bionda bevanda non senza qualche pensiero volante: o mi taglia definitivamente le gambe e raddoppia la strada ancora da fare oppure invece mi spara giù con la fionda. E poi ancora: curiosa questa cosa, Acquate smentisce... il proprio stesso toponimo e si riscatta con la birra! Questa la devo proprio scrivere. Ecco fatto!
© Stefano Gatti
La ResegUp è una corsa, una classica, una liturgia tardo-primaverile che teme pochissimi confronti. È un appuntamento… di precetto: non si può mancare! “Oggi Lecco è la ResegUp”, dirà nel video ufficiale una concorrente, interpellata nelle ore che precedono il via. Tutto, almeno per quanto mi riguarda, segue una procedura collaudata che mi trasmette utilissime certezze. Quanto mai necessarie, visto che devo porre rimedio al DMF di Mont Zerbion Skyrace, dove l’influenza mi aveva mandato fuorigiri dopo una manciata di chilometri o poco più. Punto subito sul mio solito parcheggio alle Meridiane, poi scendo in centro per il ritiro di pettorale e pacco-gara. Ne approfitto per salutare Silvano Gadin che è al debutto in questo appuntamento ma di Lecco e del Lecchese è quasi un figlio adottivo, tra UTLAC e Giir di Mont.
© Stefano Gatti
Come pranzo pre-gara (la ResegUp scatta alla 14.30, fino a qualche anno fa alle 15.30) scelgo con la solita dose di incoscienza un passaggio da McDonald’s ma oggi qui è ultimo giorno di scuola e il locale è sold-out di adolescenti, quindi del menu hamburger, patatine fritte e Coca-Cola salvo solo quest’ultima ad accompagnare una bella pizza margherita da Rosso Pomodoro che - curiosamente - oggi occupa la vecchia sede del McDonald’s lecchese. Una mezz’ora di relax sul lungolago pullulante di trailrunners, poi via in Piazza Affari a cambiarmi. Il sole picchia duro sulle nostre milleduecento teste, quindi il segnale di partenza è quantomai il benvenuto, ponendo oltretutto fine a dubbi e timori circa l’impegno che abbiamo davanti.
© ResegUp Ufficio Stampa
Duecento metri dopo il via sfiliamo sotto il termometro di un esercizio commerciale di Via Cavour: segna ventisette gradi ma alzando lo sguardo verso la vetta del Resegone (quota 1877 metri) la nebbia che la ricopre è se non altro una promessa di frescura. Il tratto cittadino introduce gradualmente alle difficoltà che ci attendono più avanti, con un’alternanza di salite, tratti in piano e discese che (non bastasse il clima afoso) permette di scaldarsi per bene, pure troppo appunto. La traccia-gara della salita dei primi chilometri (e in buona sostanza fino al Rifugio Stoppani) è per buona parte identica a quella del finale. La conosco bene ma cerco di fare mente locale e di memorizzarla per il ritorno a valle, dal quale mi separano a buon conto poco meno di quattro ore. Il tifo da stadio al via e nel tratto cittadino si spegne brevemente: dopo Malnago in agguato per tutti noi - dai toprunners all’ultimo degli amatori - c’è però già la scatenata torcida di Costa. Tra le case del borgo, i muretti a secco del sentiero e i prati già sfalciati il tifo è assordante ed estremamente motivazionale. Dura pochi minuti ma… quasi non senti più la fatica. Poi si rientra nel bosco.
© ResegUp Ufficio Stampa
Neanche il tempo che le urla di Costa si attutiscano alle nostre spalle, ed ecco che a dare loro il cambio iniziamo a sentire quelle in arrivo dal Rifugio Stoppani, "quotato" novecento metri sul livello del mare (o del lago?). Sei chilometri e mezzo di ventiquattro ufficiali (il mio Garmin però ne conterà alla fine ventiquattro e settecento metri) sono "già" alle spalle. Sarà per questo che chiuderò la mia prova nei bassifondi della classifica? No, direi di no...!
Una decina di gradini di cemento sono tutto ciò che ci separa dalla veranda del rifugio, imbandita di ogni ben di Dio. Si beve più che si può, si mangia qualcosa, ci si bagna senza risparmio alcuno. Siamo attesi dalle svolte continue del Sentiero della Sponda. Non danno tregua ma “almeno ero all’ombra”, penso mentre esco allo scoperto al Piano del Fieno e affronto il traverso che porta al traverso e al successivo ristoro di Pian Serada (metri 1600, che tirata dallo Stoppani!), dove - di punto in bianco - inizia il tratto “sky” della ResegUp. Nove chilometri nello zainetto. Uno sguardo verso il basso: le mie fiammanti Rossignol Vezor mordono terra e roccia con la necessaria sicurezza: oggi completo il test lasciato in sospeso tre settimane fa alla Monte Zerbion Skyrace (vedi sopra) di Châtillon, in Valle d'Aosta.
© Fabrizio Conti
Cambia tutto o quasi: il terreno ma anche l’aria. La “caldazza” umida che ci lasciamo alle spalle lascia il posto ad un crescente frescolino. Finalmente oltre ai piedi mettiamo a terra anche le mani. Il sentiero è solo più una traccia tra le rocce. Rifletto che ho fatto bene a lasciare i bastoncini nel bagagliaio della Kona. Più sotto mi sarebbero serviti poco, qui mi sarebbero solo stati d’impaccio, anche solo fermarmi a ripiegarli. Nell’arrampicata verso il GPM del Rifugio Azzoni mi accompagna (di più meglio non dire) il continuo chiacchiericcio delle due colleghe che mi seguono. Con tono simpatico e nondimeno esplicito, uno più indietro rompe gli indugi: “Ragazze, ma risparmiare fiato ogni tanto no?”
Nel tratto più duro, uno spettatore-coach ci dà una bella spinta morale: “Dai che mancano cento metri di dislivello. Cento metri è solo questione di testa, le gambe stanno bene. Daidaidaiiiii!”. Poco sopra ci appare - di bianco vestito - un sosia di papa Leone XIVesimo che ci impartisce una benedizione laica ma va bene uguale. Come allo Stoppani, anche qui la veranda del rifugio è introdotta da una rampa di gradini di cemento.
© Alberto Locatelli
Tifo assordante ed emozionante anche qui. Smarcato il ristoro, bastano pochi passi per scavalcare la cresta e (con undici chilometri nelle gambe) iniziare il rientro verso Lecco. Calma, calma! Prima bisogna abbassarsi brevemente sul selvaggio versante della bergamasca Valle Imagna e - raggiunta la quota del bosco - attraversare in salita verso l’intaglio del Passo del Giuff (quota 1531), dieci chilometri suppergiù (più giù che su per fortuna) al traguardo, dopo aver brevemente sostato al punto di ristoro delle Forbesette (metri 1378) che geograficamente è il più remoto di tutta la gara, almeno rispetto al campo-base di Lecco.
Tornati su versante lecchese, lo sguardo “corre” (beato lui) verso i Piani d’Erna (sedici chilometri, 1329 metri). Il ritmo però è tutto sommato buono (okay, decente). Si viaggia abbastanza veloci, ma si torna a camminare (anche se spediti) sulla breve mulattiera che porta ai Piani stessi e al relativo ristoro. Da qui la discesa si fa decisamente pronunciata e lo sguardo punta dritto verso il traguardo, ma solo dove le insidie del sentiero lo permettono. Dalla Sponda si raggiungono in rapida sequenza lo Stoppani (dove c’è ancora gente ad accoglierci) e le case di Costa, dove invece il silenzio calmo del tardo pomeriggio contrasta con gli echi del tifo di un paio d’ore fa. Non so cosa preferire tra le due diverse atmosfere: posso solo dire di avere assaporato entrambe fino in fondo.
© Stefano Gatti
La mulattiera è sempre più dritta, implacabile e a tratti scivolosa. Ci si abbassa verso i tetti della città ma… fin troppo gradualmente. Non passa mai. La fatica inizia a fasi sentire. Ne vengo per fortuna risparmiato, ma i crampi azzoppano molti di noi, per la verità fin dal tratto più in quota. Iniziamo "finalmente" a pestare asfalto. Non è il massimo per le membra affaticate: rimbomba tutto dalla pianta dei piedi alla punta dei capelli madidi di sudore, ma il cervello collega la dolorosa pratica-bitume al traguardo che si avvicina. Non è ancora finita: risalito poche ore fa sbuffando, il tratto dritto per dritto dal fondo lastricato di ciottoli richiede in discesa la massima attenzione. Manco a farlo apposta, ogni tre o quattro metri c’è un gradino e non è semplice trovare il passo giusto e il ritmo senza perdere le staffe: il flow faticava ad arrivare, insomma. Me la faccio andare bene (“lo sapevi già”) e finalmente sbuco sulla piazzetta di Acquate dove afferro e trangugio lo “shottino” di birra di cui all’inizio, pensando alle sorsate ben più lunghe e rilassate del dopogara.
© Lecco Notizie
Il mini-ristoro finale offerto dai bambini (in cambio “pretendono” solo un bel “cinque” sonoro) nel breve attraversamento del Parco Belgiojoso introduce alla picchiata finale lungo via San Nicolò e lo stretto budello finale che sbocca in Piazza Cermenati (fino a qualche anno fa sede del traguardo) e poi alle ultime centinaia di metri sul Lungolario Isonzo, via Nazario Sauro e l’ingresso in Piazza Garibaldi per lo sprint finale verso l’arco d’arrivo. Gimme five, via di “cinque" anche qui! Ultima svolta a destra: attraverso la linea del traguardo e mi “accomodo” a terra a riordinare le idee. Ok no, volevo solo godermi la soddisfazione di avere completato la mia “manita” di ResegUp: cinque volte su cinque finisher nello spazio di otto anni, comprese le cancellazioni-covid del 2020 e del 2021: tutte quante per i colori di ASD Sportiva Lanzada, il mio "buen retiro" nella amatissima Valmalenco. Dalla sua postazione di commento dietro le transenne, Gadin mi vede “distrutto”: confermo, Silvano! Nelle mie scaramantiche intenzioni, questa potrebbe essere stata la mia ultima ResegUp ma mi sa che non è proprio il caso di fare piani a lunga gittata, da un anno all'altro. Come in gara (e in genere in montagna) testa alta e sguardo in avanti ma un occhio al prossimo passo (leggi: alla prossima gara) davanti alle scarpe, che è meglio!
© Stefano Gatti