Una società, tre anime ben distinte e una scelta mai realmente condivisa: così il tecnico croato non poteva che fallire
di Alessandro Franchetti© Getty Images
E' una specie di triangolo delle Bermuda in cui, come da leggenda, l'aereo alla fine è venuto giù con a bordo tutti i protagonisti di questa storia. Da una parte la famiglia Percassi, da Antonio a Luca, dall'altra Pagliuca, il rappresentante del fondo americano che gestisce l'Atalanta, in mezzo una scelta accettata con riserva già dall'estate che ha portato fino al più prevedibile dei naufragi, pronto a concretizzarsi oggi con l'esonero di Ivan Juric e l'approdo sulla panchina nerazzurra di Raffaele Palladino.
Per capire come si sia passati da Gasperini a Palladino bisogna fare un passo indietro e ripartire proprio dall'addio dell'attuale tecnico della Roma. Per quanto nell'aria da un paio di stagioni, con malesseri vari e assortiti esternati urbi et orbi, in realtà la famiglia Percassi avrebbe voluto continuare con l'uomo che, nei fatti, aveva creato il miracolo Atalanta. Certo, trattare con Gasperini non era stato semplice nemmeno per loro, ma più o meno il rapporto era filato via quasi liscio con la proprietà che si era schierata dalla sua parte anche in occasione di casi decisamente spinosi. Ma Gasperini parlava chiaro, davanti alle telecamere e senza misurare opinioni e sentimenti. Una cosa che poteva andare bene per una proprietà, diciamo così, casalinga, come quella dei Percassi, ma che era molto mal digerita dall'anima americana del club, Pagliuca in testa.
Il quale, dunque, per essere chiari, si è preso la responsabilità di chiudere il rapporto con Gasp e aprire la gara alla successione. Qui si inseriscono di nuovo i Percassi, e in particolare l'ad Luca. La scelta di Ivan Juric, questa volta, è quasi tutta sua. Sua era l'idea che bastasse continuare sulla stessa linea tracciata da Gasperini e sua la convinzione che, per questo, servisse un allenatore in certo senso nato dalle sue ceneri e in grado di riproporne dettami tattici e senso dell'ordine all'interno del gruppo. Non solo: Juric non metteva becco sul mercato. Quello aveva e con quello lavorava, al netto di una rosa che ha poi evidenziato qualche limite importante soprattutto in attacco.
C'erano alternative? Certo. Ma sarebbero state tutte scelte in discontinuità che, Luca Percassi, considerava per questo rischiose. Da Thiago Motta a Palladino a chissà chi altro. Discretamente giovani, discretamente emergenti (anche se l'ex Juve veniva in realtà da una stagione disastrosa), sicuramente innovatori. Il contrario di quanto sembrava necessario.
Ivan Juric era la scelta e su di lui, fino a prova contraria, bisognava puntare. Ma Juric, che si trattasse di squadra, tifosi o parte della società, in realtà non era mai stato digerito. Arrivava da due esoneri (Roma e Southampton), caratterialmente non era mai stato un uomo semplice e, questo certamente in continuità, esternava come Gasperini. Anzi, in maniera ancora più chiara e possibilmente dura. Pagliuca, che non gradiva prima, gradiva ancor meno adesso. Solo che mentre per Gasperini aveva dovuto scegliere in autonomia, sul fronte Juric poteva contare su quella parte della famiglia Percassi, e in particolare il presidente Antonio, che di Juric, mettiamola così, avrebbe fatto volentieri a meno. Il che, a fari spenti, ha tradotto l'esperienza del tecnico croato in una specie di countdown in cui si aspettavano i passi falsi per arrivare al game over. Il tutto tenendo sempre d'occhio la situazione di Raffaele Palladino, a un certo punto contattato anche dalla Juve, e da tempo individuato come sostituto ideale.
E Juric? Juric ha fatto del suo. Ricorda il collega Alex Frosio: 33 partite di campionato tra Roma, Southampton e Atalanta e sei misere vittorie. Troppo poco per salvare la panchina ed evitare l'ennesimo esonero. Davvero troppo poco.