Paolo Maldini, i 50 anni di un fenomeno: di calcio e di stile

"Volevo fare il portiere... ero juventino...". Da papà Cesare a Liedholm, fino a Sacchi, Capello e Ancelotti: la sua meravigliosa vita milanista nel Grande Milan di Silvio Berlusconi

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"Volevo fare il portiere...". "E da bambino, tifavo Juventus". I 50 anni di Paolo Maldini possono (anche) cominciare così: col racconto dei sogni da adolescente che sono diventati -a rovescio- la meravigliosa vita del "difensore più forte del Mondo" (cit. Fabio Capello) e del milanista più milanista e vincente di sempre (leggi carriera e trofei). Quanto si dice: la vocazione... Ma non poteva essere altrimenti, per "il figlio di Cesare", che è stato il primo calciatore italiano -nonché milanista- a sollevare al cielo -era il 22 maggio 1963- la Coppa dei campioni
Il "figlio di Cesare", oggi, festeggia a modo suo -semplicemente- questo traguardo di mezza età. Si definisce un ex atleta, un papà, un marito, un uomo felice. Felice anche di sentirsi addosso "la pelle rossonera" per dire che è tutta una famiglia, la sua e quella del Milan, senza badare a incarichi o ingressi mancati in ruoli dirigenziali e promesse per il futuro. Non c'è fretta, non ci potrà mai essere rancore: del resto, l'eleganza, dentro e fuori dal campo, nelle parole e soprattutto nei fatti è un suo segno distintivo. Da sempre.
Ecco, Paolo Maldini è così: un campione che un giorno, in un confronto Napoli-Milan, rifilò un paio di colpi proibiti a Maradona, "che era immarcabile, e sinceramente dopo me ne vergognai", tanto da voler chiedergli scusa. Una questione di stile e la correttezza com'è l'immagine di un altro milanista inarrivabile, Gianni Rivera.
Quella vocazione da portiere e quell'altro "vizio" giovanile di tifare Juventus furono spazzati via in un lampo, sui campi di calcio di Linate, dove papà Cesare lo portò -a 10 anni, settembre '78- per un provino. Dove vuoi giocare? Voleva dire in porta, non ne aveva il coraggio, e in mezzo al campo era una spanna sopra i suoi coetanei. A chi il merito di aver scoperto il talento di Paolo? Banalità: papà Cesare, lo aveva capito dalla postura, dal suo modo di correre, di guardare il pallone e il campo. Bastò quel lampo, a Linate: non più un portiere, non più tifoso juventino, bensì un milanista. E che milanista. Per sempre.
La nuova vita comincia così, cavalcando l'onda rossonera a velocità talmente folle che a 16 anni e sette mesi è già l'ora del debutto, Udinese-Milan con il mitico Nils Liedholm "che mi ha insegnato che il calcio è soprattutto un gioco". E' anche l'alba di Silvio Berlusconi al comando del club rossonero e dei 25 anni che Paolo si gode in quel Milan padrone del calcio euromondiale: 902 presenze e 26 trofei nazionali (fra i quali 7 scudetti) e internazionali (fra i quali 5 Coppe Campioni-Champions League, con 8 finali disputate, primato assoluto che condivide con Gento del Real Madrid).
Così, Maldini si gode per un quarto di secolo il miglior Milan della storia, e il Milan può tenersi stretto il difensore italiano più forte di sempre, per qualità e longevità, per lo stile e l'efficienza passando dagli uomini simbolo della panchina. Sacchi: quello che lo ha fatto più soffrire, per gli allenamenti fatti e i meravigliosi frutti raccolti, che sono serviti poi anche ai tecnici arrivati dopo. Capello: "E' il tecnico che mi fatto diventare un vero calciatore". Ancelotti, prima compagno poi in panchina: "Gli anni più belli li ho vissuti con lui".
E' LA Storia del calcio, suggerisce qualcuno a proposito di Paolo: LA rigorosamente maiuscole. Ognuno, poi, ha la sua da raccontare nella vita da tifoso: quel Sartiburgnichfacchetti... per citare l'immensa Inter Anni Sessanta, quel Zoffgentilecabrini per dire la grandezza della Juve del Trap poi arrivata in cima al mondo vestendo la maglia azzurra, e quel Tassottibaresicostacurtamaldini, ovvero il quartetto di difensori (forse) più forte di ogni tempo (c'era anche Filippo Galli), dentro il quale Maldini era il più giovane. E il più forte? "Baresi era una macchina da guerra".
Una macchina da guerra che Maldini si è visto inceppare in maglia azzurra e sul più bello, a cavallo di due titoli mondiali che gli sono rimasti qui: Italia '90 e Usa '94, semifinale e finale perdute, poi Francia '98 con papà Cesare ct e l'ultimo mondiale 2002 col Trap. Ci poteva stare anche il 2006, ma Paolo ha il suo orgoglio e il stile e dopo la Corea 2002 e le critiche mossegli decise di dire addio alla Nazionale. Consolandosi, e non poco, col ritorno di un Milan fuoco e fiamme, capace di rivincere di tutto e di più con Ancelotti.
Il 31 maggio 2009, a Firenze, la sua ultima in rossonero e la maglia numero 3 ritirata dalla lista delle accessibili, dopo la numero 6 che era di Franco Baresi. Il gesto simbolico e dovuto da parte del Milan, e senza le lacrime di un addio al calcio che di fatto non esiste per ragazzi così, capaci di vivere da campioni (da fenomeni) anche dopo, senza obiezione alcuna da parte di amici e avversari, e anzi con l'ammirazione che gli si deve ancora, in ogni angolo del Mondo dove il calcio è un gioco, una professione, una immensa passione e uno stile di vita.

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