"Mi sono salvato grazie al pallone"

Lo juventino: "Se gioco così dipende anche dall'essere cresciuto a Fuerte Apache" 

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"La mia infanzia è stata difficile, ho vissuto in un posto dove droghe e omicidi facevano parte della vita di ogni giorno. Vivere in quel modo, anche se sei un ragazzino, ti fa crescere in fretta e ti mette nelle condizioni di scegliere da solo la tua strada". La sua strada, la strada di Carlitos Tevez, è stata quella dettata dal pallone: scelta che lo ha salvato e, come raccontato nell'intervista a FIfa.com, lo ha poi portato a vincere tutto.

La lunga confessione di Carlitos parte dai ricordi di infanzia. Dal suo barrio, l'Ejercito de Los Andes, meglio conosciuto come Fuerte Apache. Miseria, delinquenza. Amicizie. Come quella con Dario Coronel: compagno, fratello, morto suicida a 17 anni. Il pallone a unirli, la delinquenza a dividerli. Assieme, sul campo ai tempo dell'All Boys, erano "dinamite pura". Per Dario, soprannominato Cabanas per la somiglianza col giocatore del Boca, arrivò poi la chiamata del Velez Sarfield: il sogno di una luminosa e felice carriera si infranse contro la realtà di una vita rovinata da droga e rapine, consumata nella frequentazione delle gang locali. Fino al tragico epilogo quando, braccato dalla polizia Coronel, decise di togliersi la vita.

"È dura far capire alla gente cosa sia vivere a Fuerte Apache - ha raccontato Tevez nella lunga confessione a Fifa.com - se non hanno provato le stesse cose che ho provato io. Non puoi entrare nella testa della gente e spiegare loro cosa mi ha insegnato la strada. E mi ha insegnato tanto: la mia infanzia è stata difficile, ho vissuto in un posto dove droghe e omicidi facevano parte della vita di ogni giorno. Vivere in quel modo, anche se sei un ragazzino, ti fa crescere in fretta e ti mette nelle condizioni di scegliere da solo la tua strada. Io l'ho fatto, non ho mai tollerato le droghe o gli omicidi e fortunatamente ho potuto fare la mia scelta. Coronel aveva tutto per avere successo ma ha scelto una strada diversa, quella della criminalità. Ha fatto la scelta più facile, non è stata una questione di sfortuna. Penso spesso a lui, era il mio migliore amico, stavamo insieme 24 ore al giorno".

Una realtà che non è cambiata. Anzi, se possibile è peggiorata: "Una volta ti derubavano ma ti lasciavano andare via. Ora gli dai tutto quello che hai e ti uccidono pure. Pensano solo alle proprie vite e non a quelle degli altri. Dobbiamo però mostrare alla gente che ci sono anche bravi ragazzi a Fuerte Apache e nella Ciudad Oculta come in tutte le città argentine. Io ne sono venuto fuori e come me anche altri. Non è facile ma ognuno ha il proprio destino nelle sue mani. Non so se essere cresciuto in quell'ambiente ha fatto di me un calciatore più battagliero, ho sempre giocato a modo mio ma è possibile".

L'Argentina però è sempre lì, fissa nei pensieri di Carlitos: "Mi manca, mi manca tanto. Mi sono sempre mancati amici e famiglia, sin dall'inizio. Per fortuna ricevo tante visite per cui non sono sempre solo". Per fortuna a Torino ha trovato un ambiente che mitiga la nostalgia: "Dopo otto anni a Manchester ho ricevuto un caldo benvenuto a Torino, la gente è molto alla mano, anche se meno passionale rispetto a posti come Roma o Napoli. Si vive bene qui ed è il posto dove è stato più facile per me ambientarmi, anche per la lingua, che capisco un po' meglio, mentre in Inghilterra è stata più dura.". Tevez sta bene a Torino, benissimo alla Juve, dove si è messo sulle spalle il 10 di miti come Platini e Del Piero: "Non ne sento il peso. Anche se è importante per me, non mi metto addosso altra pressione per sentirmi degno di questa maglia, altrimenti diventerei matto e non potrei fare il mio lavoro nel modo giusto".

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