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Accadde oggi: 2014, ultima partita per l'Inter di Javier Zanetti

Il commovente saluto a San Siro dell'argentino, alla partita numero 858 in nerazzurro. E i motivi per cui è divenuto così amato dalla sua gente

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Dopo 858 partite e 19 stagioni in nerazzurro, il 10 maggio 2014 Javier Zanetti giocò per l'ultima volta a San Siro con la maglia dell'Inter. Era la penultima di campionato, e al Meazza si presentò la Lazio. Fu il capitolo finale di una storia partita in sordina e terminata con un intero popolo in lacrime. Perché l'argentino era riuscito a diventare l'idolo e il portavoce di ognuno di loro. Con i record personali, i titoli in bacheca, ma non solo.

Esistono giorni che entrano nell'immaginario del calcio, e che segnano profondamente le storia di una tifoseria. Che si ritrova a vivere sulla propria pelle delle emozioni che non pensava sarebbero realmente arrivate mai. Perché mettono la parola fine su qualcosa che sembrava eterno. Per chi ama il Milan quel giorno è arrivato il 1° giugno 1997, quando Franco Baresi ha indossato per l'ultima volta la maglia rossonera (l'amichevole del successivo 28 ottobre è stata poi la definitiva passerella). Per chi ama la Juventus quel giorno è arrivato il 20, ma soprattutto il 13 maggio 2012: ultima partita a Torino e in campionato per Alex Del Piero. Per chi ama la Roma è arrivato il 28 maggio 2017, con l'addio al calcio di Francesco Totti. Per chi ama il calcio in generale è indelebile il 16 maggio 2004, quando si fermò Roberto Baggio. E poi c'è il 10 maggio 2014.

Quel giorno, a San Siro, per l'ultima volta Javier Zanetti scese in campo da giocatore dell'Inter. Chiudendo un ideale cerchio aperto 19 anni prima, in una giornata che ben pochi tifosi nerazzurri avrebbero pensato che fosse in procinto di cambiare la storia della loro società. La vicenda è oggi nota: il 5 giugno 1995 la nuova ambiziosa Inter di Massimo Moratti (che già si era assicurata i vari Ince, Shalimov, Benny Carbone, Pedroni, Fresi e soprattutto Roberto Carlos) presentò alla stampa due giovani argentini. In mezzo a loro c'era il sempre statuario Facchetti. Questo, unito alla moda anni '90 di indossare abiti un po' più larghi del necessario (anche quelli eleganti), faceva sembrare quei due giovani argentini ancora più giovani. Quasi dei bambini. Uno era il promettente attaccante Rambert, che in serie A nemmeno ci avrebbe mai esordito, l'altro proprio Zanetti, già titolare sin dal primo anno in Italia.

Zanetti è l'uomo che ha vissuto tutte le fasi della gestione Moratti, l'anello di congiunzione delle quattro anime di quei vent'anni: la speranza, l'ostinata rincorsa al successo, l'apoteosi, il declino. L'unico a esserci sempre stato fu proprio quello sconosciuto ragazzo che già nel 1995 presentava il ciuffo che decenni dopo sarebbe diventato argomento dei suoi meme: "Zanetti non invecchia mai, ha sempre la stessa faccia e gli stessi capelli", sorridono gli appassionati di calcio. Non solo di Inter, perché un giocatore così, anche se non tifi per la sua squadra, non puoi che apprezzarlo.

Zanetti è entrato nella leggenda nerazzurra non solo per la sua bacheca (cinque scudetti vinti, quattro Coppe Italia, quattro Supercoppe italiane, una Coppa Uefa, una Champions League, un Mondiale per club). Non solo per i suoi tantissimi record individuali, legati soprattutto alla longevità agonistica, al numero di partite giocate in totale e anche consecutivamente (dal 28 ottobre 2006 al 31 marzo 2010 non se ne perse una). Ma perché in qualche modo rappresenta l'anima dell'Inter come pochi sono riusciti a fare quanto lui. Gentile e determinato, irriducibile ed emotivo, educato e carismatico: Zanetti ha portato in campo per quasi vent'anni le migliori caratteristiche dell'Inter. E chi ama l'Inter, in fondo in fondo, vorrebbe somigliare a questo eterno ragazzo che viene da Buenos Aires e nelle vene ha sangue friulano. Ma che per tre generazioni di tifosi è stato il più milanese di tutti.

E quel 10 maggio 2014 tutti se ne resero conto: per Zanetti si trattava solo del tredicesimo gettone in campo in quell'Inter allenata da Mazzarri, la prima in tutta la storia della quale lui era un rincalzo di lusso e non un punto di forza. Il match designato fu Inter-Lazio, penultima di campionato poi finita 4-1 con tre gol argentini (due di Palacio e uno di Icardi). L'ultimo atto di Zanetti iniziò dalla panchina, e si concretizzò al 52' quando Mazzarri lo mandò in campo al posto di Jonathan. E Zanetti riserva di Jonathan è l'immagine più plastica di cosa non funzionava al Biscione in quegli anni di metà decennio.

Il pubblico però capì, e con il trascorrere dei minuti si rese conto di essere finito tra le pieghe di una pagina di storia. Zanetti era diventato una sorta di sinonimo di Inter, ne aveva indossato la maglia 858 volte del resto. Eppure quelli sarebbero stati i suoi ultimi minuti in campo, e per sempre. La serata era iniziata con striscioni, numeri 4, cori: un intero popolo unito per il suo capitano. Finì con Zanetti sul prato di San Siro, quello che aveva onorato dai 21 ai 40 anni. Con lui la moglie, i figli, gli amici di una vita, i compagni di squadra, l'allora presidente Thohir. E Moratti, colui che sarebbe rimasto nell'immaginario di tutti il "suo" presidente. Quindi le lacrime, il braccio proteso verso la gente, il dito a indicare tutti i tifosi, e dietro di loro il cielo. Perché quella sera tutti erano stati testimoni di un'emozione a lungo evitata ma inevitabile: la conclusione di una storia che a tutti sembrava eterna.

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