"Il calcio all'italiana esiste ancora?" La lezione di Gianni Brera, 25 anni dopo

Il 19 dicembre 1992 moriva in un incidente stradale il giornalista che come nessuno, prima e dopo, ha raccontato il calcio

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A 73 anni, il 19 dicembre 1992, moriva Gianni Brera. Un incidente d'auto, alle 3 del mattino, sulla strada che collega Codogno a Casalupusterlengo, le zone della Bassa Lodigiana. Le sue zone. Aveva trascorso una serata tra amici, in un ristorante che gli piaceva frequentare. Erano in tre sull'auto che si scontrò frontalmente con una vettura che sbandò, condotta da un 26enne. Per Brera e i suoi amici non ci fu scampo. Il giovane se la cavò, e patteggiò la pena di un anno e dieci mesi.

Un incidente stradale, la tragica banalità di un momento distante anni luce dal suo modo di essere, di scrivere e di vivere la passione per lo sport. I funerali nella chiesa di San Zenone Po, il paese della famiglia Brera, I presenti, tanti; gli assenti, un paio di illustri (Gianni Rivera, fra questi), le parole di Oreste Del Buono che su Repubblica scrisse: "E' la fine della fantasia e dell'estro. Ora resta solo il calcio: normalizzato".

Brera aveva cambiato il calcio, il modo di viverlo e -soprattutto- di raccontarlo. Il suo gergo era come la Treccani del Pallone: libero, contropiede, melina, rifinitura, ala, goleador -ne citiamo alcuni, il minimo- sì, li aveva coniati lui, invenzioni lessicali diventate patrimonio comune, a uso e consumo di tutti: calciatori e allenatori, presidenti e giornalisti, tifosi e manager. Venticinque anni dopo, quel gergo è un preziosissimo cimelio del passato. Il contropiede oggi è ripartenza, la melina è finita sotto il guardiolismo, alias tiki taka, l'ala (destra o sinistra che sia) è il tornante di riferimento, il libero fu spazzato via dal sacchismo e Franco Baresi ne fu l'artefice (Brera adorava Baresi, non gli piaceva il calcio di Arrigo, di esagerato atletismo, diceva), la rifinitura oggi è tradotta in assist.

Il "calcio all'italiana" poi. Era la sua apoteosi critica unita alla consapevolezza che per vincere, noialtri italiani, si doveva giocare così. Per garcilità congenita, rispetto ai panzer tedeschi, per capire, o ai colossi nordici. Difesa e contropiede, con le tre regole del calcio in cima alle quali aveva posto il "primo non prenderle". Un po' portando avanti il concetto di "partita perfetta" che secondo Annibale Frossi, grande calciatore e poi anche giornalista, era quella che "finisce 0-0". Perfetta perché priva di errori.
Nel 1982, sulla Nazionale del suo amatissimo ct Bearzot, magnifico interprete di quel calcio all'italiana, Brera si era lasciato andare al pessimismo imperante, non certo ai quasi-insulti che verso i Mondiali di Spagna si erano moltiplicati: se questa Italia fa qualcosa di buono, disse, faccio a piedi da casa al santuario. L'11 luglio 1982 celebrò entusiasta il trionfo azzurro, e qualche giorno dopo si fece fotografare al punto d'arrivo della sua camminata di penitenza.

"Rombo di Tuono" era il suo calciatore prediletto: Gigi Riva. "Abatino" era il suo bersaglio preferito, nel bene e nel male, Gianni Rivera. Gli antipodi del suo estro creativo, del suo modo di raccontare e di far vivere il calcio a chi lo leggeva, come le cronache delle partite di Inter e Milan che pubblicava il martedì, per un certo periodo, lunghissimi racconti di quel che era accaduto in campo e che erano immagini e suggestioni, fantastiche digressioni su gioco e giocatori: c'era pochissima tivu, e quella tivu scritta era -per i lettori- il modo per poter dire "c'ero anch'io, a San Siro".
Accaccone e Accacchino, nomignoli appioppati ad Helenio Herrera ed Heriberto Herrera, Conileone alias José Altafini, il Deltaplano Zenga sul quale poi irruppe l'Uomo Ragno. Fra le cento e più etichette, se ne possono scovare a volontà  

Ricordare oggi Gianni Brera è un semplice modo di onorare la sua straordinaria unicità. Un immenso giornalista, un grande polemista, ha scritto di calcio come nessuno, di atletica e di ciclismo come pochi (forse nessuno), e quel calcio all'italiana che a fine Anni Ottanta fu come messo in un angolo dall'onda sacchiana dicono l'abbia fatto allontanare dalla magica passione per il Pallone. O forse era per via dell'età che si avvicinava al 70 anni e lui diceva: "La vecchiaia è molto bella. Peccato duri poco". Brera dura ancora. Anche perché il "calcio all'italiana" , in fondo, esiste ancora. C'è da esserne fieri. O meglio: fate voi.

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