TRAILRUNNING

Quel ramo del lago di Como: Colico-Milano “non stop” per i diritti della gioventù del Nepal    

Dall’Alto Lario alla metropoli lombarda alle soglie dell'inverno per contribuire alla causa etica della top runner nepalese Mira Rai.

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La deformazione professionale è automatica ed immediata. Pochi secondi dopo aver appreso del progetto di Guendalina Sibona di sostenere l’Empower Challenge (una gara virtuale, ma solo fino ad un certo punto) organizzata da Mira Rai, ho chiamato la ultrarunner milanese protagonista di diverse ultramaratone (il Tor des Géants su tutte) per farle il classico in bocca al lupo e - a stretto giro... social - chiederle di scriverne un resoconto per sportmediaset.it. Prendendosi tutto il tempo necessario per smaltire la fatica, lasciar sedimentare le emozioni e poi… trasmetterle liberamente ai nostri lettori.

Prima di lasciare la parola a Guendalina, occorre però volgere brevemente lo sguardo all'indietro.

Ho incontrato una sola volta Mira Rai di persona. Incontrato per modo di dire: lei correva, io stavo a guardare. Trofeo Kima 2018, il più recente, a causa dell'emergenza sanitaria che ha provocato la cancellazione dell’edizione 2020 della grande classica (biennale, appunto) sul Sentiero Roma della Valmasino. Da qualche parte lungo il percorso. Anzi no, appena giù dal Passo Qualido. Mira passa leggera e concentrata, padrona del gesto. Apparentemente senza fare fatica, ma non è sicuramente così: sono io che… trasfiguro gli skyrunners.

Sono già passate la statunitense Hillary Gerardi (che vincerà), la sudafricana Robyn Owen (che sarà seconda) ed ecco sfilare Mira: chiuderà sul terzo gradino del podio. A poco meno di tre minuti da Robyn, a poco più di quattro da Hillary: dopo oltre sette ore di gara, 52 chilometri a fil di cielo ed oltre ottomila metri di dislivello in salita ed in discesa.

A proposito, Guendalina, a quando il tuo esordio al Kima...?

Intanto, gustatevi il suo racconto che inizia alle porte della Valtellina e termina nel centro di Milano. È il nostro pensiero natalizio per il lettori di sportmediaset.it. Ed è anche la speranza che al ridondante buonismo di questi giorni faccia seguito la virtù quotidiana e che i buoni propositi di fine anno cedano il passo… ai passi sul sentiero: insomma i fatti, le azioni. Come ha fatto Mira, come ha fatto Guendalina. Non basta progettare, bisogna poi fare. Banale, certo. Però è così.

Da Colico a Milano per Mira Rai Initiative

di Guendalina Sibona

Ho ascoltato i racconti di corse sulla catena himalayana prima ancora di sapere che esistesse uno sport chiamato trail running. Ho immaginato i sentieri polverosi del Mustang prima ancora di andarci, in Nepal. Ho sentito parlare di una ragazza dai polpacci muscolosi che sfrecciava con una grinta ed una falcata fuori dal comune prima ancora di aver sentito nominare Kilian Jornet.

Poi ho cominciato a correre per monti anch'io. Ho viaggiato in Nepal e mi sono innamorata di questo sport e di quella terra. Nel 2015 ho ospitato Mira Rai a Milano. Era la prima volta che veniva in Europa. Sapeva due parole d'inglese ma la capacità con cui comunicava era pazzesca. Mangiava con gran gusto la pizza, ma bisognava tagliargliela perché non aveva mai visto le posate e non sapeva come usare la forchetta. In un attimo mi sono affezionata a quella ragazza dagli occhi brillanti e dal sorriso enorme, la cui risata cristallina inondava d'allegria tutto il mondo intorno a lei. Marco, il mio compagno, l’ha accompagnata per la prima volta ad Annecy, dove la Salomon aveva una proposta per lei.

Da allora Mira è diventata l’atleta formidabile che tutti conoscono, anche se probabilmente lo era già quando - ancora bambina - trasportava i sacchi di riso sugli irti pendii fino al suo remoto villaggio. Col marchio Salomon che firmava i suoi primi indumenti tecnici è volata ai vertici delle classifiche: il suo punteggio ITRA tra i più alti, il suo nome è risuonato da un capo all'altro del mondo, insieme alla sua incredibile storia.

La vita da outsider di Mira non inizia con il trailrunning: a quattordici anni scappa di casa e si unisce all'esercito maoista, spinta dalla promessa di due pasti al giorno e lunghe ore di sport. Quando fa ritorno a Bhojpur, il suo villaggio, due anni più tardi, ha in mente solo una cosa: fuggire alla vita di obblighi e costrizioni che attende le donne nepalesi. La corsa le ha regalato quest'opportunità.

Una serie di problemi fisici, in particolare un ginocchio malmesso, ha frenato bruscamente una carriera agonistica che sembrava avrebbe scritto le prossime pagine di questo sport, ma Mira non si è persa d'animo, affrontando la situazione nell'unico modo che conosce: con il sorriso. E decidendo che avrebbe aiutato altre ragazze come lei. È nata così l'associazione “Mira Rai Initiative”, il cui programma Exchange and Empower” segue ogni anno un gruppo di giovani provenienti dai più sperduti villaggi e permette loro di studiare, imparare l'inglese, fare sport, correre. Di cambiar strada insomma, alzare lo sguardo sul mondo, scoprire cosa potrebbe essere al di là di quello che dovrebbe. Grazie all'aiuto di Keilem, da Hong Kong, è il secondo anno che viene organizzato l'Empower Challenge. Una gara virtuale che ha lo scopo di raccogliere fondi per l'associazione di Mira. Cinquanta oppure cento chilometri da percorrere (anche in più sessioni) dal 1° al 31 dicembre. Ad ogni allenamento caricato, il segnaposto si muove su una mappa del Nepal simulando una competizione i cui partecipanti sono sparsi in realtà per tutto il mondo.

Ho deciso di fare pubblicità tra gli amici e invitarli ad iscriversi. E poiché sono un po' sbruffona di natura, ho scritto un messaggio a Mira assicurandole che avrei coinvolto trenta persone. Quanto a me, volevo correrli tutti in una volta, quei cento chilometri, ma avevo bisogno di una buona idea. Così sono andata a fare una sgambata sui sentieri del Monte Barro dove già altre volte ho messo in ordine i pensieri, salendo e scendendo sui pendii conosciuti. Il problema principale era trovare un percorso fattibile nel mese di dicembre. Sono arrivata in cima e ho guardato il lago, verso nord. Poi mi sono girata ed ho visto i colli che increspano l'alta Brianza. La lampadina si è accesa, ma ero in ritardo per andare al lavoro, dovevo sospendere le elucubrazioni e precipitarmi a Milano. A Milano...

Il primo dicembre, al via dell'Empower Challenge, trentuno amici avevano comprato il pettorale di Mira. Michele, che di entusiasmo ne ha da vendere, si era trascinato dietro altre venti persone, i December Runners. Qualcuno aveva iscritto anche i figli, qualcun altro addirittura i suoi cani. Pure mio zio, ad ottant'anni suonati, si era unito al gruppo. Visto che di chilometri al Parco delle Cave ne fa in abbondanza, perché non finalizzarli in una buona causa? Stando così le cose, non potevo non coinvolgerli tutti nell'idea che ormai avevo messo a punto e disegnato sulla carta: correre da Colico a Milano, una linea di 120 chilometri dal vertice di quel ramo del Lago di Como, al cospetto delle montagne su cui di solito mi alleno, passando nel cuore della Brianza, dove oggi abito, fino al centro del capoluogo lombardo, in cui sono cresciuta. Il punto d'arrivo sarebbe stato il cinema dove lavoro: l'Anteo, proprio accanto a Porta Garibaldi. Ho chiesto dunque compagnia per aiutarmi a portare i colori del Nepal e la storia delle ragazze di Mira sui nostri sentieri. Non c'è voluto molto a raccogliere un coro di sostegni. Marco, la cui generosità è ancora più grande del suo amore smisurato per il trail, ha scelto di non correre, per farmi assistenza lungo il percorso. Non avrei avuto basi vita, ma la sua presenza costante ogni 10-15 chilometri.

La prospettiva di avere con me tanti amici non lasciava spazio ai dubbi sulla fattibilità del piano. Anche se mercoledì 8 dicembre era nevicato fino in pianura e la neve è l'elemento su cui sono meno a mio agio - eufemisticamente parlando - anche se mi aspettavano con grande probabilità sentieri ghiacciati e con assoluta certezza chilometri di fango e pantano. Ero carica, anche se dopo Montevecchia sarebbe stato un gran piattume (e io in piano non sono mai andata oltra la distanza della mezza maratona.

Domenica 12 dicembre 2021. Appunto le bandierine nepalesi comprate proprio a Kathmandu sullo zaino, spillo il pettorale numero 109 ed alle cinque in punto del mattino sono a Colico. Con me c'è Luca (Dalmasso, "gemello diverso" di Guendalina sui sentieri del Tor des Géants, ndr), il primo ad aver accolto con entusiasmo il progetto e, benché abiti a 250 chilometri da qui, è venuto per fare tutto il Sentiero del Viandante e completare i suoi 50 chilometri per Mira. Pettorale numero 119 e tanta voglia di battere traccia sui venti centimetri di neve che ci accompagnano per la prima ora e mezza di strada. Meno male che ho portato i ramponcini altrimenti, con la mia destrezza, sarei rimasta qui tutta la mattinata! Frontali accese, corriamo insieme verso la fine della notte, mentre davanti a noi è un viavai di occhietti luminosi che scheggiano veloci sparendo nel bosco. Alle prime luci, Stefano ci aspetta a Bellano. Lui di pettorali ne ha stampati addirittura due, uno per sé e uno per lo zaino, come negli ultra più seri. La traversata fino a Varenna è stupenda. La balconata che si affaccia sul lago offre scorci da urlo e il tepore dei primi raggi ci dà la carica. Saliamo nel bosco e sprofondiamo di nuovo nella neve. Rallentiamo un po' ma non mi perdo d'animo, calco le impronte di Luca e poi inizia la discesa. All'improvviso sento un vociare scomposto un po' più in basso e non ci metto molto ad indovinare a chi appartenga. Alessandro from Mandello (pettorale 198) e Marco from Abbadia (216), ci stanno venendo incontro filmando con la GoPro. Arriviamo a Lierna tra scherzi e risate. Marco ci attende con il bagagliaio aperto, il caffè fumante e la focaccia alle zucchine.

Da Lierna a Mandello sul sentiero è una sorpresa via l'altra perché alcuni amici dello Staff del Trail Grigne Sud, la gara che qui organizza Alessandro (Gilardoni, ndr), ci aspettano con striscioni e incitamenti. Corro felice sul tratto del Viandante che conosco meglio e - alzando la testa verso Rongio - scorgo alcune persone che si sbracciano, sento urla festose e campanacci che risuonano, il mio cane che abbaia. Dalla Dina, ci aspettano Stefania e Dawa, la famiglia “lecco-nepalese” che spesso ha ospitato Mira. Hanno anche uno striscione con caratteri devanagari, che solo Dawa sa leggere. Thé caldo, grana e cioccolata, qualche foto ricordo, tanti abbracci. E vuoi non prendere un'altra fetta di panettone? L'umore è alto, tanto che avanzo felice senza curarmi del ghiaccio che ricopre la via. I campi innevati a picco sul lago increspato sono una cornice fantastica, le voci degli amici sono la migliore compagnia per questa giornata. Ad Abbadia non ci sogniamo nemmeno di saltare il pit stop a casa di Marco e non rifiutiamo certo i baci di dama che sua moglie ci offre. Giriamo l'angolo ed ecco Cesare ad attenderci. Un anno fa avrebbe detto che lui in montagna cammina soltanto, ma oggi è qui in tenuta da corsa, il pettorale 121 spillato alla maglia e scalpita per partire. Le bandierine colorate che svolazzano dagli zaini ammiccano a tutti. Quelli che incrociamo sul sentiero si girano a guardarci sfilare.

A Lecco ho una sorpresa inaspettata: Dina, una volontaria del Tor des Géants, conosciuta durante la  gara valdostana, saputo cosa avrei fatto oggi, è arrivata da Salò per farmi il tifo e un messaggio, se ne avessi avuto bisogno. Sono grata e commossa, ma i polpacci sono a posto perché il morale è alto e la testa vola. Attraversiamo il Ponte Vecchio che segna il cinquantesimo chilometro: metà distanza ormai alle spalle. Qui si fermano i miei primi compagni che - facendo le somme - hanno percorso 138 chilometri. Io invece proseguo. Al mio fianco - con il numero 268 – c’è ora Vittorio. Come direbbe qualcuno: un altro milanese atipico.

Saliamo a Pian Sciresa e corriamo sul Sentiero di Mezzo del Monte Barro. A Galbiate siamo talmente... in benzina che "manchiamo" Marco e lo costringiamo Ad inseguirci in macchina. Alla formazione si aggiungono Nino (grande maestro di corsa) col 277 e Domenico, che con il pettorale 135 i suoi cento chilometri li ha chiusi nei primi quattro giorni. A loro l'onere di guidarmi nelle terre collinari della Brianza che conoscono come le loro tasche. In questi posti puoi vedere di tutto, persino una festa pagana con tanto di falò e pacchetti infiocchettati da ardere. La scena meriterebbe una sosta più lunga, ma mi fermo giusto il tempo per calzare di nuovo i ramponcini. Alle 16 e 30 siamo a San Genesio, il punto più alto del percorso. Neanche a dirlo, con i piedi nella neve. Qui ad attenderci, oltre alla famiglia di Nino che tifa e scatta foto, c'è Ivano sul cui zaino spicca il pettorale 171.

"E adesso, ragazzi, giù a tutta!" Tra neve e fango, con i miei quattro amici intorno, mi godo un tramonto infuocato con vista fino al Monviso. A Santa Maria Hoè Marco ha l'acqua calda già pronta e - mentre mi faccio una ciotola di noodles ed una palla di riso giapponese con tanto di alga e salmone - il gruppo saluta Nino e dà il benvenuto a Gianluca. Gian ha un piede rotto: è escluso che possa correre, ma ha scoperto che, se lo appoggia storto sul pedale, può usare la bici! Eccolo quindi al nostro fianco a spingere verso Montevecchia tra scalini e tanto fango, sotto una luna con un alone che pare magico. La piazza, col maestoso albero di Natale che brilla, è suggestiva. Mai però quanto lo spettacolo di luci nella distesa buia davanti a noi. I nostri sguardi si perdono in quel mondo notturno: da Bergamo fino agli Appennini, con le torri più alte di CityLife a Milano che si stagliano scintillanti, che sembra un attimo raggiungerle. Giù a tutta di nuovo!

Lomagna, ottantesimo chilometro. Domenico gira a destra e torna a casa: per lui fanno 34 chilometri. Ivano gira a sinistra e torna a casa:  30 chilometri il suo contributo alla causa di Mira. Io proseguo dritto e Vittorio con me. Si accodano Andrea (pettorale 152), Marcocirla (242) e Carolina (255). Gianluca, una mano sul manubrio e un'occhio alla traccia, trascina il gruppo pedalando scanzonato. Siamo nel cuore della Brianza più sconfinata, tra campi che non ho mai percorso e paesi che si susseguono senza soluzione di continuità. Vittorio, noto per il suo scarso senso dell'orientamento, continua a chiedere "Dove siamo?". Lo rassicuro io: "Non ne ho idea". Maciniamo chilometri. Nel fango. Alla luce delle frontali. Le gambe stanche ma il cuore leggero. Il progetto condiviso, l'energia degli amici, il pensiero a Mira.

Si staccano Carolina e Marcocirla e si aggiunge l'ultimo partecipante, Enrico, che ama la neve, ma ha deciso di venire nel tratto più duro, dove la neve non c'è. Dove c'è solo da correre. A Monza ho una crisi di fame. Lungo il Canale Villoresi, in attesa che gli zuccheri entrino in circolo, sono in piena crisi e basta. Inizio a straparlare. Passo vicino a uno sfasciacarrozze con tanto di macchina rossa sospesa in alto sopra il cancello. Sembra di essere dentro un romanzo di Lansdale e naturalmente gli altri mi assicurano che non c'è nessuna auto rossa volante (simil-allucinazioni da… Tor des Géants, Guendalina? Ndr). Mi riprometto di tornare a indagare e poi vado in ipnosi tra le mille luci di Natale che adornano le  case. Anche i nani da giardino chiedono pietà. Oppure sono io? Andrea mi ricorda allora che quando fai fatica e ti sembra di non farcela, quello è il momento di ridere. Lo faccio. E funziona. Tornano le forze e torna l'allegria. Procedo spedita fino al Parco Nord: il mio parco, quello dove ho imparato a correre. Mancano più di dieci chilometri, ma ormai la testa è arrivata. Mi sembra talmente bello qui - con la luce dei lampioni che si disperde nella nebbia meneghina - che tento di convincere gli altri che la discesa dal ponte sopra la Valassina sia un'esperienza indimenticabile.

Marco ci prepara l'ultimo ristoro alla fine del parco e il mio cane mi corre incontro abbaiando. Dopo aver collezionato 67 chilometri, Vittorio si ferma, massacrato dalle vesciche. Lo abbraccio e seguo la pista ciclabile dietro a Gianluca. Andrea ed Enrico ancora al mio fianco. Le bandierine che continuano a svolazzare oltre le nostre schiene.

Poco dopo la mezzanotte sono a Porta Garibaldi. L'ultimo film al cinema è terminato e i miei colleghi di turno, tra cui Cesare - sempre lui ma vestito… normale - mi stanno aspettando e mi hanno preparato un arrivo con striscioni e la musica di Rocky Balboa sparata nella via. Mio zio, pettorale 274, è lì ad accogliermi. Con lui Marco, pettorale 165, occhi stanchi e felici almeno quanto i miei.

Fermo l'orologio a 120 chilometri,  dopo 19 ore e 16 minuti dalla partenza di questo viaggio stupendo. La miglior "gara" della mia vita.

Tra tutti, oggi di chilometri per l'Empower Challenge ne abbiamo fatti 400.

Il giorno prima - dall'altra parte del mondo - Sunmaya Budha, una delle ragazze di Mira, arrivava prima alla Thailand By UTMB con un certo anticipo sulla seconda: proprio lei, Mira Rai.

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