TRAILRUNNING

Madeira, tutti i colori dell'avventura

La prova conclusiva del circuito MaXi Race World ha offerto l'occasione di affrontare un trail decisamente inusuale per itinerario, terreno, contesto. Un'avventura da vivere, prima ancora che da correre

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Correre un trail da sessanta chilometri ... in mezzo all’Atlantico. Servono tanta fantasia e immaginazione? No, servono spirito d’iniziativa, voglia d’avventura, sete di conoscenza. L’occasione per esplorare, incuriosirsi e - in fin dei conti - crescere mettendosi ancora una volta alla prova è arrivata dalla possibilità di raggiungere (non senza qualche difficoltà) l’isola di Madeira, territorio portoghese a quasi mille chilometri dalla capitale Lisbona, per prendere parte alla tappa conclusiva del circuito MaXi Race World. Questo “esperimento” lo abbiamo affidato alla collega Tatiana Bertera Manzoni che da Madeira è tornata con questo racconto di viaggio.

Solitamente è nel bel mezzo della crisi, quando le gambe si fanno troppo pesanti e la vista comincia ad annebbiarsi, che ti chiedi se ne valga davvero la pena. Succede sempre, in ogni gara che superi i trenta chilometri ed i duemila metri di dislivello … e ogni volta è la stessa storia. Un clichè che puntualmente si ripete: l’esaltazione della partenza, la felicità dei primi chilometri, l’illusione di essere in gran forma ... e infine la crisi! Che arriva inaspettata ma che arriva sempre e ti getta nel buco nero. Con la conseguente arrabbiatura nel vedere tutti quelli che ti eri lasciata alle spalle riprenderti e sorpassarti senza fatica apparente. Alla CCC (Courmayeur-Champex-Chamonix) era accaduto negli ultimi venti chilometri, alla VUT (Valmalenco Ultradistance Trail) durante la notte, ad un paio di ore dal via, nel bel mezzo del temporale e con i fulmini che mi scoppiavano sulla testa! A Madeira è successo intorno al chilometro 35. Penso che partecipare ad una "ultra" consapevoli di non essere dei campioni, richieda una grande dose di coraggio. E qui, all'ultima tappa del circuito MaXi Race 2019, i coraggiosi sono stati circa trecento.

Che non sarebbe stato facile lo avevo intuito fin dall’inizio. A partire dal volo  cancellato a causa del forte vento che impediva l’atterraggio a Funchal, dalla giornata d’attesa all’aeroporto di Lisbona, dall’arrivo a destinazione con oltre ventiquattro ore di ritardo. È iniziata così la mia esperienza a Madeira, terra capace di affascinare persino con il cattivo tempo. Che poi a Madeira il brutto non è mai così brutto e la pioggerella tropicale, spesso amalgamata ad una nebbia fitta e sottile, si alterna al sole senza soluzione di continuità. Immancabile poi il vento. Atterriamo nel piccolo aeroporto "Cristiano Ronaldo", la cui pista in parte sul mare – sostenuta da 180 pilastri di cemento armato alti una settantina di metri e posati direttamente sul fondale - non permette errori. Pochissimi i taxi posteggiati fuori dall’aerostazione: ecco perché l’organizzazione ci ha caldamente consigliato il noleggio di un’auto. Non appena esci dalla capitale le case si diradano e la vegetazione, verdissima e rigogliosa, prende il sopravvento. In una cinquantina di minuti, lungo una superstrada nuovissima, arriviamo al Club Naval di Seixal, dove il presidente del club e l’organizzatore della gara Patricio Fernandes, ci danno il benvenuto. Ritiriamo il pettorale e, prima di raggiungere l’hotel, facciamo due passi sulla spiaggia . Il contrasto tra il nero della sabbia vulcanica, il piombo dell’oceano - oggi agitato - e il verde scintillante della vegetazione che lambisce le acque, ripaga a colpo d’occhio di tutta la fatica fatta per arrivare fino qui. Anche l’hotel Aqua Natura di Porto Muniz, con le sue bellissime vasche di acqua marina, non delude affatto ed è una finestra a picco sul mare, con tanto di albero di Natale e presepe! Il ristorante è ricchissimo di varietà di pesce, alcune delle quali - soprattutto molluschi - sconosciute in Italia. Non riusciamo a resistere e (nonostante la sera prima della gara sia preferibile una dieta a base di carboidrati) finiamo per ordinare di tutto, compresa una buonissima mousse al passion fruit.

Non faccio quasi in tempo ad appoggiare la testa sul guanciale che la sveglia mi fa sobbalzare - impietosa! - alle quattro e trenta del mattino. Lo zaino è già pronto dalla sera prima, cosiccome l’abbigliamento, ben disposto sulla poltrona davanti al letto. Faccio scorrere verso la mia destra la grande vetrata che dà sul mare: il suono delle onde dell’oceano, l’odore forte della salsedine, il clima mite. Penso che è la prima volta che corro un trail "vista oceano" e che questa è un’occasione preziosa per scoprire luoghi lontani dai centri abitati e dalle strade che si snodano lungo la costa. Guardando il cellulare trovo un messaggio dell’amica Marta Poretti che mi informa che la gara clou del weekend, la 115K alla quale lei era iscritta, è stata cancellata per le cattive condizioni del tracciato e che tutti gli atleti della "lunghissima" sono stati dirottati sulla 60K. Nella stessa gara anche la fortissima Denise Zimmermann e Antoine Guillon, vincitore della prima edizione di questa prova, nel 2018.

Alle sei in punto la gara ha inizio. Tutti al buio, con la luce delle frontali come fari nella notte, iniziamo una scalata che da quota zero sul livello del mare ci porterà nel giro di soli quattro chilometri a quota 1400-1500. Un vertical a tutti gli effetti, che non lascia un attimo di tregua e che termina su un vastissimo altipiano in mezzo alle montagne.  Nel giro di un’altra ora di marcia arriviamo al ristoro del decimo chilometro. Quattro in tutto, i ristori non sono molti ed è quindi meglio tenere nello zaino una buona scorta di barrette e di liquidi. I volontari sono allegri e sorridenti, oltre che estremamente gentili, come tutte le persone con le quali ho avuto modo di parlare nelle due giornate trascorse sull’isola. La luce del giorno arriva solo un paio di ore dopo il via e sembra squarciare il cielo. Lungo il percorso la vegetazione si trasforma in continuazione ed è forse questo uno degli aspetti più belli, caratteristici ed interessanti di questo trail. La foresta pluviale si mescola alla macchia mediterranea, dando vita a un mosaico di colori e forme. La roccia delle alte scogliere sembra in continua lotta con la forza dirompente dell’Atlantico. Il MaXi Race di Madeira è una gara che offre la possibilità di vivere una gran varietà di paesaggi: dall’altopiano ricco di arbusti alla foresta sempreverde, dalla  vegetazione pluviale fino al mare. Tutto nel giro di pochissime decine di chilometri.

Anche il meteo è quello tropicale e, a differenza della scorsa edizione, regala pioggia, nebbia, sole e vento. E poi paesaggi sterminati, come l’altopiano che si estende nella prima parte di gara  e che, sebbene un po’ noioso per correre, riporta alla mente la vastità del deserto. Un deserto disseminato di gigantesche turbine eoliche, generosamente mosse dalla forza di un vento potente, che ti viene addosso e che rallenta la corsa, rendendola a tratti impossibile. Ti metti allora a camminare, con il naso all’insù, perché una turbina del genere, da così vicino, non l’hai mai vista.

Intorno al trentesimo chilometro (metà distanza) una violentissima discesa mi mette in crisi: inizio ad accusare qualche dolore a un ginocchio, mi accorgo poi di non essere più tanto lucida. Mi fermo più volte, imbambolata a scrutare la discesa che si trova sotto di me e che sembra interminabile. Impiego quasi un’ora a percorrere la distanza di un chilometro, sempre in preda a quel leggero senso di stordimento. Alla fine raggiungo un provvidenziale ristoro. O la va o la spacca. Mi butto su un piatto di pasta con sugo di carne: provvidenziale perché riparto con una nuova energia.

Mi aspetta un altro vertical, più o meno dello stesso tenore di quello iniziale. Penso a Marta, che mi precede di chissà quanti chilometri oppure, chissà  … è già arrivata. Mi ha promesso che, comunque sarebbe andata, questa sera avremmo festeggiato insieme … ed allora mi devo dare una mossa: non sia mai che per colpa mia non si possa festeggiare!

Se decidete di correre questa gara, sappiate che dovrete affrontare un gran numero di gradini: di tutte le forme, altezze e dimensioni. Gradini in salita e gradini in discesa, quest’anno molto scivolosi e infangati. E lentamente, tra tutte queste meraviglie che non manco di fotografare, scorgo in lontananza Seixal, partenza e arrivo della gara. Obiettivo finale: non riaccendere la frontale. Arriveremo sì al buio … ma con la frontale spenta: perché ormai siamo in prossimità del centro abitato, illuminato dalla luce dei lampioni e dalle decorazioni natalizie.

 

L’arrivo al traguardo, dopo dodici ore di fatica, è il momento più atteso ed appagante. Poco importa il tempo  finale: sei arrivata e basta. Poco importano le ginocchia e le caviglie doloranti. Poco importa non essere in testa alla classifica. Sei arrivata e basta. È il momento di festeggiare, come ci siamo dette dodici ore fa con Marta, che invece la gara l’ha vinta per davvero, tenendo alto il nome dell’Italia che corre. Lo ha fatto quo come lo ha fatto anche in Alaska all’Idita Sport. Questa sera si festeggia, insieme, allo stesso tavolo. A ridere degli stessi “maledetti” e scivolosi gradini. Con la testa un po’ qua e un po’ (ancora) là: tra le foreste, la giungla e le pale eoliche,. Consapevoli di aver messo la nostra firma su questo trail nell’oceano.

 

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