Dentro uno degli inverni alpini più nevosi degli ultimi anni ma in montagna riservato al godimento di pochi, una particolarissima performance sportiva può ispirare ottimismo e generare qualche opportuna riflessione personale, che proviamo a lanciare con il racconto scritto e le spettacolari immagini del “duathlon alpino” (così lo ribattezziamo) realizzato da Marco Liprandi sulla scorta di una precedente esperienza: simile ma... estiva!
Ventiduenne studente universitario di Frabosa Soprana, nel Cuneese, Marco Liprandi normalmente d’inverno fa il maestro di sci ma, in un inverno come questo, con le stazioni sciistiche “chiuse per pandemia”, lui è uno dei tanti professionisti della montagna rimasti di questi tempi appunto disoccupati. Con tanto tempo a disposizione, Marco ha rispolverato (fuori tempo massimo o… in netto anticipo, fate voi) le sue passioni estive e, adattandole all’ambientazione ”bianca” ha rincominciato a correre in salita, verso le cime delle sue montagne, per poi ridiscenderle… con il monociclo.
Lo avevamo appunto conosciuto, Marco, all’inizio della scorsa estate, grazie ai buoni uffici dell’amico Dino Bonelli, fotoreporter di lungo corso (sue le immagini di questo servizio), "guru" di Prato Nevoso ed instancabile promoter delle sue montagne di casa. Lunedì 22 giugno, una delle giornate più lunghe dell’anno, Marco Liprandi aveva iniziato la sua singolare performance up&down: corsa a piedi in salita e discesa a cavallo del suo monociclo. Quindici chilometri e 1500 metri di dislivello (prima positivo e poi negativo, andata e ritorno) con “turning point” sulla vetta del Monte Mondolè, elevazione delle Alpi Marittime che sfiora i 2400 metri sul livello del mare, per poi appunto invertire la rotta , giù verso gli 890 metri sul livello del mare della partenza di Frabosa Soprana.
Chiusa la parentesi “calda”, torniamo all’aria frizzante e pulita della montagna nella sua veste invernale, al presente anomalo di un inverno indimenticabile ma… da dimenticare presto. Senza dare giudizi, sollo esprimendo una speranza. A differenza dell’estate, quando il terreno è uniforme e sempre “leggibile”, per riuscire a praticare questa doppia attività sulla neve Marco deve pazientemente attendere che il manto bianco sia nelle condizioni ideali: quelle che si verificano quando la neve gela e si compatta a causa dell’escursione termica tra il giorno e la notte.
Prato Nevoso (di nome e di fatto!), stazione sciistica del basso Piemonte altrettanto godibile in estate ma ora malinconicamente deserta nonostante l’innevamento a dir poco ideale. Ideale… da fare male! Con così tanta neve al suolo, le condizioni perfette arrivano solo a qualche giorno di distanza dalla nevicata (soprattutto per il monociclo) ma poi rimangono a lungo e stabilmente quelle giuste, fino alla nevicata successiva. In queste prime settimane del nuovo anno Marco si allena - seguendo ogni giorno un percorso differente - muovendosi ancora prima che i raggi del sole raggiungano la superficie delle piste. Per evitare di scivolare, in salita monta appositi ramponcini con dentatura metallica sotto le scarpette da trail running, come si fa anche in piena estate ad alta quota, nei rari passaggi su nevaio che si incontrano nei percorsi delle gare sky e trail più tecniche ed impegnative. Zaino e monociclo in spalla, la sua ascesa può iniziare.
Qualche pedalata d’assetto, con una mano davanti alla sella, dov’è posizionato l’unico freno - a disco - del mezzo meccanico e l’altra a volteggiare nel cielo alla ricerca dell’equilibrio. Un costone esposto alla bellezza della catena alpina, poi giù per la pista normalmente riservata agli sciatori. Ma non questa volta, non questo inverno. Un primo cambio di pendenza, la neve che regge discretamente bene, poi è la volta di una seconda gobba che immette in una sezione più ripida e quindi nel piano. Ogni tanto un tratto di neve riportata dal vento blocca la ruota chiodata e Marco deve saltare giù con i riflessi di un gatto, pronti, quelli di chi quella situazione l’ha già sperimentata più volte. Poi di nuovo in sella, con la solita mano destra a frenare e la sinistra “stabilizzatrice” a mulinare nell’aria come in un rodeo western. Altro muretto, questa volta nell’ombra della montagna, mentre tutt’intorno le vette brillano di una luce riflessa, seguito dal ritorno in pieno sole: quello che si sta godendo un gruppo di ciaspolatori che, incrociando il cammino del nostro “performer”, gli urlano il loro stupore e la loro ammirazione. Siamo ormai al traguardo. Là dove partono – una a fianco dell’altra - la telecabina dalla cui stazione d’arrivo Marco era partito, ed una seggiovia esaposto, entrambi “spente”. Un ultimo sguardo verso la montagna appena scesa e via, monociclo in spalla, con i pensieri già proiettati verso la prossima avventura.
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