TRAILRUNNING

Italia-Svizzera... solo andata: conto aperto con la DoppiaW Ultra a cavallo di Valtellina e Val Poschiavo

Rimane un miraggio il traguardo della prova valtellinese di fine primavera, giunta alla terza edizione: ma gli insegnamenti superano i rimpianti.

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L’ultimo weekend di primavera ha offerto una rosa di appuntamenti competitivi di trailrunning da… perdere la testa: buon segno, ormai alle porte di un’estate da grandi sfide, anche e soprattutto con sé stessi. Solo l’imbarazzo della scelta! Per quanto ci riguarda… nemmeno quello, perché da mesi l’appuntamento cerchiato di rosso per il secondo sabato di giugno era quello della DoppiaW Ultra di Villa di Tirano ed in particolare della sua prova clou: la “ultra” da settantuno chilometri, appunto. Scelta coraggiosa, azzardata? No, molto di più!

Affrontare l’ultradistanza alla metà del mese di giugno con una fascite in corso ed alle spalle (meglio: nei muscoli e nei polmoni) “solo” tre gare trail da nemmeno venti chilometri a testa nel mese di maggio si configura - senza mezzi termini - come atto di fede in sé stessi oppure come atto di incoscienza bella e buona. Così insomma abbiamo già fatto le… presentazioni e possiamo passare oltre.

“Forte” (oh, Gesù…!) del precedente del 2019 - gara da 56K abbondanti chiusa in dieci ore e mezza - torno in Valtellina in compagnia dell’amico e compagno di squadra Andrea Manes, con il quale formiamo il duo “diversamente malenco” della Sportiva Lanzada. La nostra meta è il Centro Polifunzionale di Villa di Tirano, il comune che fa da “antipasto” alla cittadina che si trova proprio nel punto in cui la valle percorsa dall’Adda svolta decisamente verso nordest. Noi invece mettiamo la freccia a sinistra e puntiamo il muso di Maya verso il parcheggio della struttura che... si prende una breve pausa dal suo attuale ruolo di hub vaccinale per fare da base all’evento messo in piedi con competenza e passione da un comitato organizzatore al cui vertice spiccano - per dedizione alla causa - Elena Soltoggio e Christian Bellesini. Alle consuete (persino piacevoli, quando ti sono mancate a lungo) procedure pre-gara si aggiunge - a proposito di emergenza sanitaria - l’indigesto tampone rapido obbligatorio per noi che abbiamo scelto di dormire nella palestra che sorge subito alle spalle del villaggio-gara. Dormire… si fa per dire, visto che tra una cosa e l’altra ci infiliamo nei sacchi a pelo o ci stendiamo sui materassini alle ventidue abbondanti e la sveglia dello smartphone è puntata alle due e 15 della notte… Non si tratta insomma di dormire veramente ma di ingannare la testa e di convincerla che comunque in qualche modo ci si è coricati. Un gioco mentale il cui esito lascia inevitabilmente a desiderare. Allo scoccare dell’ora fatidica annaspo disordinatamente cercando di arrestare la suoneria. Tensione e adrenalina mi “vestono” di tutto punto nel giro di pochissimi minuti. Tanto da ritrovarmi “bello sveglio” ed in posa sui gradoni della palestra per uno scatto vagamente... motivazionale:

“Andrea, mi fai per favore una foto?”

L’idea è quella di utilizzarla per illustrare questo racconto (eccola qui sotto, infatti) e per dare intanto un senso alla levataccia ad un’ora alla quale di solito a malapena vado a dormire. Per darlo (il senso) al resto della giornata, serviranno ben altri scatti. O meglio, sarebbero serviti!

 

Per fortuna il clima è già praticamente estivo e la notte tiepida pure ai quattrocento metri “esse-elle-emme” (sul livello del mare) della media Valtellina. Alle tre e mezza siamo già stipati sull’autobus di linea che ci sposta (modello “tradotta”) da Villa a Lovero, il primo comune a nord di Tirano, nel cui Parco dell’Adda la gara avrà inizio. Infilo la prima “perla” di una collezione - di errori - che nel giro di qualche ora dipingerà il quadro della disfatta. Il contesto vegetale del parco e la vicinanza del fiume riempiono l’aria di umidità. Inizio a tremare ma non ascolto i consigli della mia guida “spirituale” nella corsa sui sentieri Maurizio Torri (sono un pessimo allievo, e zuccone). Non mi copro, insomma. E quando me ne rendo conto... è già tardi!

 

Alle cinque in punto il via tra i fuochi artificiali: albeggia appena. Il tempo di superare l’Adda e la strada si impenna, lascia l’asfalto, diventa sentiero e poi bosco. Più che altro salita. Si viaggia con il fresco, ci si scalda con lo sforzo, non si parla quasi più. Il distanziamento qui non è un’imposizione ma un dato di fatto. Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso, direbbe Vasco. Non però "ognuno perso dentro fatti suoi": qui la missione è comune a tutti noi centododici ultrarunners o presunti tali: raggiungere senza troppo danni il GPM del Rifugio Schiazzera. E lì "ragionare" su come gestirla e soprattutto gestirsi da lì in avanti. Per quanto mi riguarda, farlo in un paio d’ore, per tenerne una almeno di margine sul “cancello orario” che prevede un tempo massimo di tre, in modo da giocarmi l’anticipo sulla successiva sezione dell’itinerario. Ne impiego invece due e mezza, di ore. Già tempo di rifare i calcoli, quindi, ed automaticamente realizzare che sarà più dura del previsto. Nell’ulteriore strappettino appena oltre il rifugio punto dritto sull’onnipresente Maurizio e cerco di ricompormi in qualche modo per la foto qui sotto, nascondendo in qualche modo l’affanno già evidente ed i cattivi presagi sulle prossime ore di gara. Mi raggiungono il collega giornalista Luca Trapani (che sarà “finisher”: bravo!) e Bruno Cogliati, che mi avvisa che l’amica Lucia Agosti sarà di lì a poco in gara sulla “sky” da 33K. Li sento un po' esitanti e decido di farmi da parte perché - diversamente - finirei per rallentarli: si adeguerebbero al mio passo sempre più lento, con conseguenze negative sui loro piani. Li perdo di vista subito nella discesa che in altri tempi avrei fatto ad un ritmo al quale invece le fitte della fascite plantare al piede destro mi costringono a rinunciare punto e basta. La stramaledetta fascite, appunto, seconda perla della collana di errori e leggerezze che mi stringe sempre di più il collo.

 

Ormai è giorno fatto e la temperatura sale rapidamente: cielo limpido, meteo stabile: ideale per una gita al lago, per una tranquilla escursione, perfino per un’uscita alpinistica ma… non proprio l’ideale per correre una “ultra”. Già che ci sono, infilo la terza perla: il tracciato di gara non è quello originale, che prevede un anello d’alta quota (da aprire e chiudere proprio a Schiazzera) con un primo sconfinamento in Svizzera e poi uno in Val Grosina (di nuovo in Italia) ed il passaggio su tre valichi resi però impraticabili dalla copertura nevosa ancora troppo consistente. Gli organizzatori hanno fatto il massimo per mantenere distanza e dislivello ma questo ha comportato il varo di un itinerario di riserva: inedito e non privo di una sua "perversa" bellezza ma per forza di cose più a bassa quota e molto più corribile, lungo stradine agrosilvopastorali che in pratica riportano quasi fino alla quota della partenza, "doppiando" alcune frazioni alte di Tirano. Il lungo giro finisce per fiaccare le mie convinzioni, insieme al dubbio che - tra caldo, dolori e mancanza di convinzione - finirò per alzare bandiera bianca proprio quando il tracciato entrerà nel vivo. Ma non è colpa di nessuno, forse nemmeno mia! Sfuma soprattutto il transito al Passo di Malghera, dove la neve sul versante della Val Grosina ci aveva costretto a fare dietrofront due anni fa e dove “in origine” avrei dovuto trovare ad attendermi Elisa: sarebbe stata una bella spinta a proseguire… o forse a chiuderla lì!

All’altezza di Baruffini la discesa finisce ed al punto di ristoro noto che il team di “scope” che darà il cambio a quello che sta attualmente seguendo l’ultimo concorrente in gara si sta già preparando. Ergo, sono quasi in coda al gruppo: andiamo bene…! Gli addetti al ristoro devono accorgersi del mio stato non proprio brillante, perché mi invitano a rifocillarmi come si deve. Riparto e nel giro di pochi metri arrivo al bivio fatidico: via dritto ed in piano chi è in gara (dalle nove del mattino) sulla distanza dei trentatré chilometri. A destra sulla strada che si impenna subito noi della prova ultra. Il cambio di pendenza mi mette subito alla prova. Non ho forza nelle gambe, non riesco a spingere come dovrei e mi accorgo di usare i bastoncini come stampelle, invece che come “stabilizzatori” del passo. C’è chi sta peggio: a mezzacosta sulla montagna, praticamente nel nulla di una mulattiera in mezzo al bosco ("in mezzo all'Oceano Indiano", direbbe Aldo del trio Aldo Giovanni e Giacomo), raggiungo lo sfinito Devis Guidi, un ragazzone grande e grosso ma piegato in due dal mal di stomaco su una panchina panoramica. Non ha nessuna voglia né modo di godersi il paesaggio. Guarda molto più vicino: il numero di emergenza stampato sul cellulare, e si appresta a chiamare i soccorsi:

“Torno indietro, a Baruffini. Ora sto meglio ma ho vomitato fino a poco fa e non riesco a proseguire. Mi ritiro: potete venire a prendermi?”

Non è l’unico, a quanto ho sentito dai commissari di gara di un altro punto di passaggio. Colleghi dallo stomaco talmente compromesso da non riuscire a tener più giù neanche un sorso d'acqua fresca senza... spiacevoli conseguenze. Confesso a Devis il mio stato fisico (e mentale) ugualmente precario. Mi invita sommessamente a  scendere insieme. Decido invece di insistere, di provare ad andare avanti. Almeno qualche chilometro. Saranno solo tre ma interminabili, infiniti, una pena... 

 

Il confine di stato non è lontano ma di fatto irraggiungibile. Mi piacerebbe almeno entrare nella Confederazione ed affacciarmi al balcone rossocrociato e panoramico di San Romerio dal quale (prima di scendere a prendere la navetta per il rientro “anticipato”) consolarmi con la vista - da prospettiva insolita - delle montagne della "mia" Valmalenco, al di là del solco della Val Poschiavo. Per farlo, dovrò superare il dorso della montagna all’altezza di Pian Cavallino e - prima ancora - raggiungere la base-vita di Pra Campo. Ne intravedo già la baita e l’animazione quando mi accorgo che sulle mie tracce c’è Antonia Rinaldi, ultimo concorrente in gara. Ne ho la certezza quando - lasciata passare avanti lei - le due persone che ugualmente invito a sfilarmi se ne escono con un per me "scomodissimo":

“No, noi dobbiamo seguirti: siamo le scope”.

 

Ecco, appunto. La coda della DoppiaW Ultra mi ha raggiunto. Anzi, adesso la coda sono proprio io. Potrei riposarmi un po’ lì alla base-vita e poi ripartire con Antonia, almeno fino a San Romerio. Potremmo aiutarci a vicenda ma il dilemma ha breve durata, prevalgono altri pensieri. Ad iniziare dai danni che proseguire potrebbe produrre ai piani estivi, alle gare sky e trail (anche ultra) che ho messo in programma per il mese di luglio e poi per quello di settembre. Anche se un po’ a malincuore chiamo quindi la “cabina di regia” di Villa di Tirano e comunico il mio ritiro. Auguro in bocca al lupo ad Antonia, che riuscirà a tagliare il traguardo alle nove di sera, dopo oltre diciassette ore di gara: bravissima! Per inciso, sette ragazze su nove al traguardo. Poche, anzi pochissime ma buone, molto buone: siete proprie forti, coraggiose, determinate! E ce la farà - in meno di tredici ore, anche il mio socio Andrea Manes, che anche questa volta ha tenuto alto l'onore della Sportiva Lanzada. Già ripulito e rinfrancato (da un piattone di pasta!) lo aspetterò insieme alla sua famiglia al traguardo di Villa di Tirano. Per salutarlo ed applaudirlo. Credo di non averlo mai visto tanto "provato" e soddisfatto. Gli occhi, soprattutto gli occhi. Stanchi, lucidi e felici. Lo invidio moltissimo. Ed è esattamente per provare quelle sensazioni che voglio ad ogni costo tentare ancora di correre l'ultradistanza.

Quanto a me, in attesa di imparare dai finishers, di loro occhi e dal loro sguardo perso nell'infinito, mi siedo a tavola con gli addetti della base-vita che - prima di darmi un passaggio in auto verso l’arrivo - mi invitano appunto a pranzo. Mica Sali minerali, biscotti e frutta. Carne alla griglia, invece! E poi formaggi d’alpeggio, birra e liquori alle erbe aromatiche! L’ideale per mettere almeno per mettere da parte gli inevitabili, cari, vecchi sensi di colpa: almeno per una mezz’ora. Ma poi non bisogna perdersi nei rimpianti. Guardiamo avanti. All’orizzonte ottico già si stagliano i profili della Grignetta e del Grignone. Una settimana esatta e sarà ora di UTLAC40 Gran Trail delle Grigne, appunto: da Lecco a Esino Lario, oh sì!

 

  

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