Toccata e fuga a Valdengo (Alto Piemonte) per l’undicesima edizione di un suggestivo trail invernale ambientato sulle colline del Biellese.
di Stefano Gatti© Matteo Zin
Metti una notte di metà febbraio ad indagare - “en plein air” - la differenza tra “talucco” e “brich” sulle alture che delimitano a monte (appunto) l’abitato di Valdengo, in provincia di Biella. È iniziata così, lo scorso fine settimana, la fase operativa della nostra più recente avventura di trailrunning: un fugace blitz di poche ore (sedici, tutto compreso) che ci ha permesso di fare una piacevolissima scoperta: quella delle prime colline di questa zona del Piemonte. L’occasione ci è stata offerta da Winter Brich Trail, prova da oltre ventidue chilometri e quasi mille metri di dislivello positivo (nella sua versione più impegnativa), tornata in calendario dopo un anno di sosta forzata, facendo subito il pieno di iscritti: oltre ottocentocinquanta sulle tre distanze in programma.
Oltre che il nome del Bed and Breakfast che ci ha ospitato per la (brevissima…) notte prima della gara, “talucco” è un termine del dialetto locale, come d’altra parte “brich”. Ce lo ha spiegato - a notte fonda appunto - Marco Macchieraldo, voce narrante dell’evento stesso, nonché personaggio di incontenibile passione, condivisa dai suoi compagni nel team di ASD Winter Brich Valdengo, organizzatore dell’evento. Nato lo scorso autunno, il contatto è via via cresciuto a livello di feeling e… condivisione di intenti, sfociando nella nostra esperienza sui sentieri di Winter Brich venti-ventidue. È stato proprio Marco a venirmi incontro pochi chilometri dopo aver lasciato l’autostrada, facendomi da staffetta ed apripista verso l’ex convento… convertito in B&B dall’atmosfera particolarmente suggestiva, dandomi l’appuntamento per l’indomani mattina al village di Winter Brich, presso il centro sportivo di Valdengo. Rendez-vous molto ravvicinato perché - causa Formula E in Messico e relative sette ore di ritardo sull’Italia… - riesco ad abbandonare la redazione solo pochi minuti dopo l’una. Prendo sonno intorno alle tre ma salto su come una molla alla sveglia delle sei e zero zero. Vestizione di tutto punto e poi colazione light (una più sostanziosa la seguirà di un’oretta…) nella penombra della sala da pranzo del “Talucco”. Divido i primi pensieri della giornata (ed una panoramica sui rispettivi programmi agonistici) con Enrica Gouthier, che ho conosciuto lo scorso mese di dicembre a Milano ai Garmin Beat Yesterday Awards, dove lei è stata premiata per la performance all’ultima edizione del prestigioso UTMB (Ultra Trail du Mont-Blanc) di Chamonix e per la sua storia di trailrunner-mamma-imprenditrice.
© Winter Brich Trail
Completo con studiata calma e crescente tensione i preparativi pre-gara ed il riscaldamento sul pratone retrostante il centro sportivo che - alla vigilia - ha ospitato la prima edizione del Cross di Valdengo, riservato ai giovanissimi. Mi adatto volentieri a quei pochi minuti di corsetta, sollevato dalla consapevolezza che quel tipo di fondo (che non digerisco…) lo calpesterò solo per i primi trecento metri di gara e per gli ultimi trecento.
Sono trascorse esattamente due settimane esatte dal precedente impegno agonistico al Winter Trail della Val di Mello. Ormai una vera e propria disciplina, questa del Winter Trail, che ha finito per sdoganare la corsa invernale sui sentieri (con la… complicità della penuria di neve anche in pieno inverno). Rispetto all’ultima domenica di gennaio la distanza è praticamente doppia, mentre il dislivello da coprire sfiora il triplo. In più, sono pure un po’ fuori dalla mia “comfort zone”. O per meglio dire distante. Perché, anche se queste zone non le conosco proprio, sono già molto a mio agio nel contesto e tra gli appassionati locali. Impegno da non prendere sottogamba, insomma, ma con atteggiamento molto positivo e ottima predisposizione mentale.
© Edoardo Valsania
Bastano i suddetti trecento metri di prato e poche altre centinaia di strada asfaltata per lasciarci alle spalle il centro abitato ed iniziare ad inerpicarci sulle prime, “simpatiche” rampette e poi giù per altrettante discese a slalom nei boschi che ammantano le colline lungo le quali si snoda per intero l’itinerario: parecchio selvaggio ed a tratti dantesco (soprattutto per via della stagione), con pochi sbocchi nei piccoli centri abitati di Valsera, Ternengo, Zumaglia e Ronco Biellese. Dove riceviamo molto volentieri l’incoraggiamento e (ricambiandolo!) il saluto della gente del posto. Calore umano prima di arrampicarci sulla prossima collina, disegnare rapide svolte su sentierini single-track che corrono tra i boschi, sbuffare (le mani appoggiate appena sopra le ginocchia) su ripide mulattiere dal fondo acciottolato: li ho sentiti tutti, quei ciottoli, uno per uno! Sul caratteristico prato alle spalle dell’imponente Castello di Valdengo (una sorta di cittadella appollaiata su un altura immediatamente a monte del paese ed a sua difesa), oltrepasso l’amico videomaker Eodardo Valsania che si è piazzato in uno dei punti da “photo opportunity” più classici e gettonati di Winter Brich. Sta pilotando il suo drone e - osservandoci produrre il nostro sforzo domenicale - si lascia sfuggire un “Guardandovi, sono sempre più convinto di aver fatto la scelta giusta!” che lì per lì mi pare fin condivisibile. Ma poi passa…!
© Matteo Zin
Molto più di quanto ascoltato nel briefing pre-gara, l’itinerario è “infestato” da brevi tratti ghiacciati che non costituiscono però un pericolo vero e proprio: sono molto evidenti, poco estesi e consistenti, facilmente aggirabili. D’altra parte, un tracciato “on the rocks”, con un po’ di ghiaccio, è pur sempre preferibile ad un mare di fango. Quello che (mi dice chi ha fato una ricognizione del percorso), abbondava la settimana prima della gara. Passando dopo un centinaio abbondante di persone (e duecento piedi) mi sarei trovato a slittare inesorabilmente su rampe verticali (up an down) praticamente… impraticabili. Basta invece fare un po’ di attenzione. Soprattutto negli appoggi sulle pietre che permettono di superare qualche breve guado: quelle sì piuttosto infide, perché in qualche caso ricoperte da un semplice velo di ghiaccio, praticamente invisibile. Nessuno si farà male e, per quanto mi riguarda, metterò solo una volta le mani a terra. Questo, insieme alle buone sensazioni provate nelle discese a rotta di collo (ma anche no!) mi porta a pensare all’utilità del lavoro (di fisioterapia prima e di rientro corsa poi) svolto nei mesi scorsi con il Metodo Punzo. Prima in studio, appunto. Poi a casa ed al Centro Saletti di Nembro. Un lavoro che dura ancora, bello impegnativo, mirato a raggiungere un grado più alto di esperienza: in termini di livello tecnico, di equilibrio e coordinazione. E naturalmente di piacere di correre ancora a lungo, limitando al massimo il rischio di infortuni. La potenza è nulla senza controllo, recitava un claim pubblicitario di tanti anni fa!
© Matteo Zin
Inizialmente diretto ad est, l’anello di Winter Brich cambia decisamente rotta proprio alle spalle del castello di Valdengo, puntando verso occidente e addentrandosi - con saliscendi piuttosto frequenti - in una serie di vallette e controvallette che richiedono un innalzamento della soglia d’impegno e - a tratti - mi ricordano il tracciato della a me più familiare Sky del Canto, sui sentieri dell’omonimo monte isolato alle spalle di Carvico, pochi chilometri ad est di Bergamo. Puntiamo ora in direzione di quella che - osservando a posteriori la traccia GPS - sembra la testa di un “drago” solo in apparenza addormentato tra le colline. Che poi coincide con il tratto più impegnativo in termini di dislivello da superare: a giochi fatti (e conti, soprattutto) il mio Garmin Forerunner mi restituirà un impegno da ventidue chilometri ed un centinaio di metri, per un dislivello positivo di 750 metri circa. Riuscirò a completare il “compitino” con trentasette soli secondi di anticipo sulle due ore e trenta di gara. Performance largamente trascurabile, rispetto a quella dei top runners.
© Rudy Ceria
Daniel Borgesa e Nicola Francesco vincono ex-aequo la prova: un’ora, 33 minuti e 22 secondi il finish time dell’atleta del team Tornado e di quello di ASD Climb Runners, tallonati a soli quattro secondi da Mattia Bertoncini (Sport Project VCO-Team Salomon), che completa il podio. ASD Climb Runners completa la propria doppietta aggiudicandosi con Margherita De Giuli la prova femminile (un’ora, 56 minuti e 27 secondi). La seguono al traguardo e la accompagnano sul podio Silvia Guenzani (GS Fulgor Prato Sesia) che contiene il distacco in poco meno di un minuto e Chiara Bertino (ASD Podistica Torino), staccata invece di undici minuti abbondanti.
© Rudy Ceria
Da parte sua, Luisa Rocchia (ASD Polisportiva Valmalone) si aggiudica al femminile la prova breve da tredici chilometri, chiudendo la sua fatica vincente una manciata di secondi sotto l’ora di gara. Tra gli uomini, anche in questo caso la sfida per la vittoria si risolve solo sul filo di lana. Anzi, non si risolve proprio. Come nella gara lunga infatti, a tagliare mano nella mano la linea d’arrivo simultaneamente sono in due: Lorenzo Facelli (Atletica Monterosa Fogu Arnad) e Gabriele Gazzetto (ASD Climb Runners), con il finish time di 51 minuti e 16 secondi.
© Edoardo Valsania
Per il gran finale (si fa per dire) torniamo a noi, giù al nord… nelle retrovie. Superato la testa del drago… ed il Brich di Zumaglia con il suo castello, una divertentissima discesa ci porta nel tratto conclusivo della prova. Oltrepassato Ronco Biellese, la volata finale verso il traguardo è ormai tutta in falsopiano e sostanzialmente rettilinea. Verrebbe da dire: fine dei giochi e delle difficoltà. Invece… mica tanto! Non interviene più la… forza di gravità a trascinarci giù nella discesa. Di conseguenza ogni passo richiede una spinta. Infatti, nonostante la gestione di gara sia stata… decente, mi vedo sfilare nel finale da cinque o sei colleghi.
Respirate a pieni polmoni… le “sgasate” provenienti dal campo da motocross poco distante, un ultimo tratto campagnolo ci porta tra le prime case di Valdengo e poi a rimettere piede sul pratone dal quale eravamo partiti. Mentre eravamo tra le colline però il percorso è stato modificato e leggermente allungato con un paio di curve ad angolo retto che - in un ultimo rigurgito di agonismo - mi permettono con la visione... periferica (insomma, sbirciando di traverso cercando di non dare nell'occhio) di controllare il risicato vantaggio sul mio più diretto inseguitore (si accontenta di poco…) e di regolarlo sulla rampetta finale del traguardo, che taglio con postura al solito contratta ed espressione sofferente, per non dire stremata. Il resto, anche questo è risaputo, è tutto un tuffo nella nostalgia per la giornata che volge al termine. Mi vengono però un paio di “conati” (scusate il termine) di magone post-gara. Buon segno, se non altro. Significa che… ce n’è ancora. Di voglia, intendo. Di fiato mica tanto!
A proposito: “talucco” sta per frazione, piccola porzione di un particolare territorio. Nel dialetto di queste zone (ma non solo) “brich” - ma lo si era già intuito - significa invece altura, colle o collina. Adesso lo sappiamo ma sarà il caso di tornare da queste il prossimo inverno (o magari anche prima) per approfondire la conoscenza con le atmosfere suadenti e le suggestioni dantesche di questi luoghi. Borghi e castelli, boschi e prati, fuoco e ghiaccio.
© Daniele Chiodi