Addio ad Andrea de Adamich: pilota e volto tv di Mediaset
© Centro Internazionale Guida Sicura
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Una carriera nel motorsport lunga tredici anni, dalle gare in salita ai Gran Premi della massima formula
di Stefano GattiFerrari e Alfa Romeo ma anche gli assemblatori inglesi. Formula Uno ma soprattutto Prototipi e, prima ancora, turismo. Pilota di gran classe, poi giornalista, conduttore televisivo e telecronista ma soprattutto imprenditore: di se stesso ma non solo. Andrea de Adamich ha incarnato nelle corse e poi nelle sue altre e numerose esperienze professionali lo spirito eclettico di un'epoca che ha poi lasciato spazio alla specializzazione, accoppiandolo però ad una coerenza personale e professionale fatta di valori incrollabili, principi rigidi e una logica di fondo che ne hanno fatto prima un pilota e affidabile (oltre che di grande talento), un collaudatore finissimo e poi un personaggio (anche pubblico) puntuale e credibile. Ragionamento e coraggio, rischio (a tutto campo) e strategia.
Nato a Trieste il 3 ottobre del 1941, la sua famiglia costretta alla fine della Seconda Guerra Mondiale a lasciare Fiume a causa dell'occupazione jugoslava dell'Istria e della Venezia Giulia, Andrea Lodovico de Adamich iniziò la sua carriera sportiva come... cronometrista nelle gare di autosciatoria (una disciplina molto in voga all'epoca), per poi esordire al volante all'età di ventuno anni, nel 1962, al volante di una Triumph TR3 della Scuderia Trivellato nel campionato italiano di velocità in montagna. Si era dedicato molto presto alla pista, per i primi passi di una progressione che - grazie anche a fortunato sodalizio con la scuderia milanese Jolly Club - lo avrebbe portato alla Formula Uno nel giro di sei soli anni, passando per Formula Junior, Formula 3 (campione italiano nel 1966) e Campionato Europeo Turismo con Alfa Romeo e con le "muscolose" ma agilissime Giulia GTA, laureandosi campione continentale della seconda divisione nello stesso '66 e poi ancora nel 1967: una doppietta che lo avrebbe rivelato agli occhi di Enzo Ferrari.
Il 1967 è l'anno-chiave della carriera di Andrea però anche per il suo arruolamento da parte dell'Alfa Romeo per il programma nel Mondiale Marche (che all'epoca rivaleggiava con la Formula Uno per importanza e prestigio, dividendosene i protagonisti) con la barchetta Tipo 33, gestito dall'Autodelta guidata dall'ingegner Carlo Chiti, il reparto corse della Casa del Biscione.
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Gareggiando in coppia con altri piloti ugualmente eclettici come Piers Courage, Henri Pescarolo, Rolf Stommelen e gli altri due italiani Ninni Vaccarella e Nanni Galli, Andrea colse nei primi anni Settanta alcune affermazioni di prestigio in gare di durata come la 200 Miglia di Buenos Aires nel 1970 e la 1000 KM di Brands Hatch (Inghilterra) e la 6 Ore di Watkins Glen (USA) nel 1971, mentre nel 1974 (la stagione del suo addio alle corse) riuscì a saoire sul podio di tutte e quattro le 1000KM alle quali prese parte: Monza, Nürburgring, Imola e Österreichring (Zeltweg, oggi Spielberg).
La sua carriera in Formula Uno (parallela a quella con i prototipi Alfa Romeo) si era invece drammaticamente interrotta a causa delle gravi fratture agli arti inferiori nella carambola delle battute iniziali del Gran Premio d'Inghilterra del 1973 a Silverstone, capolinea di un'esperienza nei Gran Premi per un certo periodo di tempo parallela ma per certi verso secondaria a quella nel Mondiale Marche, scattata nel 1968 con il debutto iridato al volante della Ferrari 312 nel Gran Premio del Sudafrica a Kyalami (settimo in prova, ritirato per incidente in gara) come terzo pilota a fianco di Chris Amon e Jacky Ickx. Con la Rossa però de Adamich (all'epoca una delle grandi promesse dell'automobilismo di casa nostra insieme al romano Ignazio Giunti) aveva disputato l'anno prima in Spagna la sua prima gara di Formula Uno, priva però della validità iridata, chiudendola al quarto posto.
Lo stesso piazzamento ai piedi dei gradini del podio, ottenuto altre due volte ma nel contesto ben più impegnativo del Mondiale, sarebbe poi restato il risultato di maggior prestigio di una carriera nel Gran Premi purtroppo priva della necessaria continuità (a parte il 1972, durata dall'esordio con la Ferrari sul finire degli anni Sessanta di cui sopra fino al fatidico 1973, per un totale di trentasei apparizioni e trenta presenze effettive sullo schieramento di partenza.
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Valutato appunto da Enzo Ferrari ma legato a filo doppio all'Alfa Romeo, Andrea avrebbe mantenuto il suo rapporto con la Casa milanese anche nei suoi impegni iridati del 1970 con la McLaren (spinta appunto da un motore Alfa Romeo) e del 1971 con una March-Alfa Romeo, per poi come detto sopra sfiorare due volte il podio al volante di monoposto accoppiate all'otto cilindri Ford Cosworth montato all'epoca da tutte le squadre inglesi: quarto posto al Gran Premio di Spagna del 1972 sul circuito madrileno di Jarama con una Surtees e poi ancora l'anno dopo nel Gran Premio del Belgio a Zolder, poco meno di due mesi prima dell'incidente di Silverstone.
Appeso l'anno dopo l'inconfondibile casco nero casco al chiodo dopo le ultime quattro 1000 km del Mondiale Marche al volante dell'Alfa 33, de Adamich avrebbe dato corso ad una seconda carriera che lo avrebbe visto prima uomo-immagine (ma non solo) di uno dei grandi sponsor del Mondiale nel mercato sudamericano, poi giornalista e in particolare talent (conduttore) del magazine di Italia 1 "Grand Prix" e telecronista del Mondiale di Formula per le reti Finivest dal 1991 al 1996, fino alla creazione del Centro Internazionale di Guida Sicura basato all'Autodromo di Varano de' Melegari, da lui rilevato e trasformato in un centro di eccellenza del mondo automotive e in particolare della sicurezza stradale, rinnovando anche in questo ambito professionale lo storico vincolo con Alfa Romeo.
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