Giocava con Neymar nel Santos, ora a 29 anni fa il panettiere a Rio

La storia di Jefferson Cafè, che poteva diventare un campione e che invece è diventato un proletario del calcio

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Giocava con Neymar nel Santos, adesso è diventato "il panettiere di Rio". Niente a che fare con Diego Abatantuono e con una delle sue interpretazioni-capolavoro: la storia è vera ed è quella di Jefferson Cafè, che a soli 29 anni ha smesso di usare i piedi ed è passato a usare le mani, ma solo per impastare e infornare. Lavora nel panificio di un amico a Sao Pedro da Aldeia, poco fuori Rio de Janeiro, nella cosiddetta Regione dei Laghi. Negli ultimi anni la sua vita è stata quella di un precario del calcio, tesserato per varie società di livello medio-basso, facendo costantemente i conti con stipendi bassi e pagati in ritardo, con organizzazione precaria e con mancanza di fiducia nei suoi confronti. "Mi sono stancato di subire umiliazioni. L'ultima esperienza è stata la peggiore. L'anno scorso sono andato a giocare in una squadra dello Stato del Tocantins (uno dei più poveri del Brasile, ndr), non ho preso un centesimo e sono tornato a casa infortunato. Certe squadre ti offrono poco e ti danno niente, è una vita molto complicata". 

La carriera di Cafè è iniziata nelle giovanili della Cabofriense, squadra dello Stato di Rio de Janeiro. Notato dal Santos, si è trasferito alla squadra che fu di Pelè e ha iniziato a vincere titoli a partire da un doppio titolo paulista Under 20. Ha condiviso lo spogliatoio con NeymarGansoFelipe Anderson e altri giocatori conosciuti in Brasile come Alan Patrick e Rafael Cabral. Nel 2008 si è addirittura trasformato in talent scout, portando al Santos l'attaccante Andrè, suo vecchio amico e quasi compaesano (Cafè è nato a Sao Pedro e Andrè a Cabo Frio, che sono vicini). In quella generazione di fenomeni, però, Cafè ha finito per essere oscurato e nel 2011 è andato in prestito al Santo Andrè. "La peggiore decisione nella mia vita è stata proprio questa, andare al Santo Andrè anziché giocarmi le mie possibilità al Santos. Dovevo aspettare, invece ero un ragazzo e avevo voglia di giocare. Se fossi rimasto lì, avrei avuto sicuramente le mie possibilità. Ho lasciato spazio ad altri che poi mi hanno spazzato via". 

Da lì in poi solo sofferenza. Finito il contratto con il Santos, ha infilato una serie di avventure minori con le maglie della Cabofriense, poi dei Tigres di Rio de Janeiro e dell'Anapolina di Goias. Troppo poco per vivere: in quel periodo è stato costretto anche a trovarsi dei secondi lavori, per arrivare a uno stipendio decente. Ha cercato tutti i vecchi amici, compreso Andrè (che oggi gioca nel Gremio), senza successo."Tutto molto difficile. Quando chiami qualcuno per chiedere un aiuto o un consiglio, nessuno ti considera. Solo chi vuole aiutarti ti aiuta, c'è poco da fare. Io l'ho sempre fatto senza chiedere nulla in cambio, ma quando hai bisogno anche solo di un'indicazione, di una parola, spariscono tutti. E io non ho mai chiesto soldi, solo aiuto". 

Il calcio è e resterà per lui un bel ricordo, pieno di successi e di allegria. "Adesso mi rimane la frustrazione, ho inseguito un sogno ma ora ho capito che era il momento di smettere. Molti miei amici che hanno cominciato nel Santos con me hanno preso la stessa decisione. Si arriva a un limite oltre il quale non si può andare. Quando hai moglie e figli, non puoi permetterti di fare il professionista del calcio per tre mesi e rimanere a casa inattivo per i nove mesi successivi. Adesso faccio il panettiere, lo faccio per davvero. Ho imparato, adesso preparo il pane e lo vendo. Ringraziando sempre il mio amico che è proprietario del panificio e mi ha dato questa opportunità". In realtà il datore di lavoro oltre a essere un amico è anche imparentato con la moglie di Jefferson. Così resta tutto in famiglia. In fondo questa storia poteva anche finire peggio.

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