I 16 mesi di Ventura e il suo sogno impossibile

Si temevano gli effetti del dopo-Conte senza Conte. Ventura paga per tutti, ma è sempre stato così

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"Emozionato? Ci mancherebbe altro, alla mia età". Non è la frase (storica) di uno qualunque. Sono le parole di Gian Piero Ventura, il 7 luglio 2016: la prima volta da ct azzurro, l'orizzonte i Mondiali di Russia 2018, il sogno e la sorpresa di un tecnico molto apprezzato che a 67 anni e mezzo (all'epoca) era stato scelto per occupare la panchina più affascinante e scomoda del calcio italiano, alle prese - è risaputo- con le esigenze e le certezze di 60 milioni di commissari tecnici.

"E' un  maestro di calcio", aveva spiegato il presidente Tavecchio, suo primo sponsor ed estimatore. "Ha insegnato calcio a tanti allenatori e giocatori, ha un'esperienza smisurata nella formazione dei Settori giovanili, e un sano concetto di appartenenza". E lui, Ventura: "Io alleno per libidine, per sentirmi dire dai miei calciatori che coi miei schemi si divertono".
Il dopo-Conte, che molti temevano in quanto tale (timori confernati da fatti, purtroppo), con la Spagna a sbarrarci la porta d'ingresso ai Mondiali (si sapeva, si sapeva...) e un play off da mettere in preventivo, scorreva così su quella scelta comunque rischiosa, ma dietro l'etichetta di un "maestro di calcio" che al grande calcio non era mai arrivato.
Era un passo indietro nella storia, almeno di 25 anni, quando la Federcalcio nominava i suoi ct "pescando" nella fucina di Coverciano, da dove erano arrivati Valcareggi, Bearzot e Vicini (bei tempi, di un meraviglioso azzurro), prima della svolta dell'autunno '91 con Sacchi ct: da allora -dopo le parentesi Maldini e Zoff solo e soltanto allenatori in arrivo dai club, peraltro i big, da Trapattoni a Lippi a Conte.

Ventura ha resistito 16 mesi, 16 partite (9 vinte, 4 pareggiate e 3 perse) e la sventura di un Mondiale svanito, che è il peggio potesse accadere al nostro calcio, lontani anni luce da quanto accaduto 60 anni fa con la disfatta di Belfast, trascinata senza sconquassi. Ha perso e paga con l'esonero, come è prassi calcistica passata e futura e non solo italiana. Non c'è motivo per farne una questione di principio o un punto d'orgoglio o per reclamare aiuti che non sono arrivati da parte dei club o che cos'altro. Valcareggi, Bearzot, Vicini, Sacchi, Maldini, Zoff, Donadoni, Lippi-Due e Prandelli sancirono il loro addio per molto meno di un Mondiale perduto prima di cominciarlo.
r.o.

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