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Atalanta, dieci giorni fa il poker di Ilicic: ultimo respiro di una città senza respiro

L'anno più luminoso della storia della Dea ha lasciato spazio a un incubo. Cui Bergamo vuole rispondere con le sue forze

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Da Valencia-Atalanta 3-4 sono passati appena dieci giorni: era il 10 marzo 2020 e la squadra orobica toccava il punto più alto della sua storia. Oggi la vita di Bergamo è stata stravolta: la città è in ginocchio a causa del Coronavirus, e l'anno più bello si è tramutato in un incubo. Ma anche se i balconi sono vuoti e la gente non ha più né la voglia né la forza di cantare, i bergamaschi da dietro le finestre chiuse intendono rialzarsi come sanno: con il silenzio e il lavoro.

Era il 10 marzo 2020 e una Bergamo già profondamente ferita si preparava ad assistere al picco più alto dell'ultracentenaria storia dell'amatissima squadra cittadina: Estadio de Mestalla, Valencia-Atalanta, ritorno degli ottavi di finale di Champions League. Novantasette minuti dopo (recupero incluso) la storia era compiuta: i nerazzurri erano tra le prime otto d'Europa, tra l'altro grazie alla quaterna di Josip Ilicic che riscriveva i libri di record della competizione. Quella notte sarebbe poi coincisa con l'ultima partita ufficiale a tutt'oggi giocata da una squadra italiana. E dieci giorni dopo (appena dieci giorni) l'orizzonte di tutti è tragicamente cambiato, rendendo quell'impresa continentale già ammantata dal velo del tempo. Come se appartenesse a un'epoca lontana.

Valencia-Atalanta è stata l'ultimo respiro di normalità per gli appassionati nostrani del pallone, e fa effetto pensare che i protagonisti sul campo furono i beniamini di una città nel frattempo rimasta senza respiro. Bergamo è divenuta suo malgrado il fulcro italiano della pandemia da Coronavirus, passando in pochi giorni dall'entusiasmo collettivo, dalla gioia di massa, dalla festa popolare a un assordante silenzio. Rotto dalle campane a lutto, dalle sirene delle ambulanze che rimbalzano da un angolo all'altro della città nel disperato ma determinato tentativo di salvare una vita in più. Sui balconi di Bergamo non si canta e non si suona, quei balconi sono vuoti perché la cittadinanza non ha più la forza di dissimulare la paura e il dolore: anche i balconi sono deserti, perché i bergamaschi sono al di qua di quelle finestre. Combattendo contro un nemico invisibile e letale con le armi di cui dispongono: la laboriosità, l'ostinazione, la caparbietà, la resilienza. E il silenzio.

Le immagini dei quattro gol di Ilicic hanno lasciato il posto alla funerea colonna di mezzi militari che si allontana da via Borgo Palazzo, una delle arterie pulsanti di una città dall'abusata fama di essere patria di lavoratori instancabili. Proseguendo per quella strada si arriverebbe a Seriate, per poi puntare verso Brescia: l'altra Leonessa più severamente ferita dall'emergenza che ha cambiato le vite di questa piccola fetta di mondo. L'immagine di quella strada, una delle più vitali di Bergamo, tramutata in una triste processione che fotografa il nostro presente, spiega meglio di ogni altra istantanea il silenzio in cui è piombata la città. Una città che nel 2020 stava già riscrivendo la storia grazie al calcio, ma che ora nella storia ci si ritrova in quanto nucleo principale di una disperazione che si è estesa a tutta l'Italia, poi all'Europa e a buona parte del mondo.

Il 2020 dell'Atalanta si era aperto come si era chiuso il 2019: con una vittoria al rinnovato Gewiss Stadium per 5-0 (Milan nell'anno vecchio, Parma nell'anno nuovo). La Dea si era guadagnata la sfida contro il Valencia grazie all'epica rimonta nel suo girone, al punticino contro il Manchester City che pure aveva lasciato un pizzico di amaro in bocca, e poi alle squillanti vittorie su Dinamo Zagabria e Shakhtar Donetsk. Ha interrotto il suo cammino in campionato occupando il quarto posto in classifica, con 70 reti all'attivo (20 più della Juventus capolista), le ultime 7 raccolte nella vittoria di Lecce. Immagini indelebili ma già lontanissime, a cui una città profondamente cambiata cerca di aggrapparsi. Nella consapevolezza che l'incubo prima o poi finirà, e che lavoro e senso di responsabilità ancora una volta avranno il sopravvento. Purché non si smetta di ricoprire il proprio ruolo e svolgere il proprio compito, sempre.

Il bergamasco è fatto così: fatica ad autoincensarsi quando ha portato a termine un progetto, ma allo stesso tempo non si ferma ad autocommiserarsi di fronte alle avversità. In entrambi i casi la reazione è la medesima: "Pota", una scrollata di spalle e si ricomincia. Bergamo sa che ne uscirà, come sempre, tutti insieme. Burbera ma bonaria, come la sua cittadinanza. Brusca nei modi quanto solidale nella sostanza: "Tutto il mondo è Val Brembana", si dice del resto da quelle parti. E più duro è il lavoro da fare, maggiore è la determinazione di portarlo a compimento.

Conservando nel cuore quella grande impresa, quei quattro gol di Ilicic a Valencia. Vecchi appena dieci giorni, già lontanissimi ma certamente non dimenticati.

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