Il corpo dell'alpinista italiano è stato individuato sulla parete nord della montagna simbolo della Patagonia.
di Stefano Gatti© Klaus Dell'Orto
Non ci sono più speranze per Corrado "Korra" Pesce, l'alpinista italiano individuato senza vita sul Cerro Torre, dove venerdì scorso era stato colpito da una scarica di bocchi di ghiaccio e pietre mentre - insieme al compagno di cordata argentino Tomás Aguiló, stava scendendo dalla parete nord dopo aver raggiunto la vetta insieme alla cordata formata dall'ex presidente dei "Ragni di Lecco" Matteo Della Bordella e dei suoi compagni David Bacci e Matteo De Zaiacomo, loro pure membri dello storico gruppo alpinistico lecchese. Ed è proprio a Della Bordella che ci affidiamo per una testimonianza diretta sulle ultime ore di vita di "Korra", subito aver riportato l'addio della sorella Lidia allo "Spiderman del ghiaccio".
"Il Tempo... Ti ha fregato... Non potevi prevedere il tempo di ore... per soccorrerti ed il maltempo che ti è venuto contro! E quella Maledetta Valanga... Io non riesco ancora a crederci. Con te hai portato via una parte di tutti noi... Tua Figlia, i tuoi nipoti, per loro eri e sei lo Spiderman sul ghiaccio... Sarà dura mandare giù tutto questo buio che hai creato. Mi piace ricordare che da piccola eri il mio tormento, ma lo facevi solo per proteggermi. Ed ora Sei il Mio Eroe... Ringrazio tutte le persone intervenute e che stanno tutt'ora intervenendo per recuperare mio fratello... Ringrazio gli amici e tutti per quello che avete fatto per lui e ringrazio Tomás Roy Aguiló per averti messo al sicuro nella sua difficoltà. Veglia su Leia principalmente. E Veglia su Mamma e Papà... Ho un nuovo Angelo in cielo. Ti voglio bene e te ne vorrò per sempre. Buon viaggio.... Arrivederci".
© Ulysse Lefebvre
Questo il messaggio con il quale Lidia Caccia Pesce ha voluto salutare il fratello: il 41enne alpinista novarese Corrado Pesce, conosciuto nell'ambiente alpinistico come "Korra", Guida Alpina a Chamonix, individuato ormai senza vita da un drone sulla parete nord del Cerro Torre, la montagna-simbolo della Patagonia. "Korra" ed il compagno di cordata Tomás Aguiló erano stati colpiti da una valanga di pietre nella notte tra giovedì 27 e venerdì 28 gennaio. Dopo aver ricoverato il compagno - in gravissime condizioni - nel cosiddetto "Box degli inglesi" - e lui pure ferito, l'argentino era riuscito a proseguire la discesa. Era poi stato raggiunto da MDB e compagni, messo in sicurezza e riportato alla base della parete. Per completezza di informazioni e per sgomberare il campo da dubbi ed insinuazioni sui soccorsi della primissima ora, pubblichiamo di seguito il report completo di Matteo Della Bordella sulla successione degli eventi nelle giornate centrali della scorsa settimana sul Torre.
Mercoledì 26 gennaio. Durante una faticosa e lunga giornata di scalata, saliamo lungo tutto il “diedro degli inglesi”, dove corre il tentativo di Burke e Proctor del 1981. Percorriamo alcune delle lunghezze estremamente faticose e difficili, la parete è sempre strapiombante e non c’è nemmeno una piccola cengia per appoggiare i piedi in sosta. Stremati dalla lunga giornata, montiamo nel vuoto alla fine del diedro. Durante la giornata vediamo Tomy e Korra salire lungo la loro linea e bivaccare su una piccola cengia all’altezza del box e circa 50 metri più a destra.
Giovedì 27 gennaio. Usciamo dal grande diedro e con un corto traverso raggiungiamo la parete Nord del Torre. Qui troviamo una piacevolissima sorpresa: incontriamo gli amici Tomy e Korra impegnati ad aprire la loro nuova via. Mancano circa trecento metri alla vetta e decidiamo di unire le forze per la parte finale. Korra è il più fresco e il più forte, si mette in testa alla cordata, Tomy lo segue e noi dietro di loro ripercorriamo i tiri appena aperti. Dal punto di vista mentale seguire una “macchina” come Korra è un vantaggio enorme. Alle 17 Tomy e Korra arrivano in cima al Cerro Torre, hanno aperto una via grandiosa sulla montagna più bella e del mondo. Mezz’ora più tardi David, Giga (Matteo De Zaiacomo, ndr) ed io li raggiungiamo sulla vetta. Anche noi abbiamo aperto una nuova via sul leggendario Cerro Torre. Non è solo un grande sogno questo, ma è sicuramente la via più bella, importante e difficile che abbiamo mai percorso nelle nostre vite. Pochi istanti dopo esserci congratulati gli uni con gli altri, le nostre strade si dividono. Tomy e Korra avevano pianificato la discesa notturna (per ridurre al minimo il pericolo di crolli e scariche) lungo la parete Nord. Noi invece abbiamo pianificato di bivaccare in cima e quindi scendere il giorno successivo lungo lo spigolo Sud Est, la cosiddetta “Via del compressore”. Loro provano a convincere noi a scendere insieme a loro, noi viceversa proviamo a convincere loro a scendere con noi, ma tutti decidono di rispettare le proprie originarie intenzioni.
© Ulysse Lefebvre
Venerdì 28 gennaio. Tomy e Korra scendono al buio lungo la parete Nord e quando raggiungono il luogo dove avevano lasciato sacchi a pelo e materiale da bivacco decidono di riposarsi un paio di ore, prima di continuare la lunga discesa. In quelle due ore, mentre stavano riposando vengono travolti da un’enorme scarica di ghiaccio e sassi che ferisce gravemente Tomy e ancor più gravemente Korra, il quale rimane completamente paralizzato, impossibile a muoversi, per i traumi riportati. La montagna è enorme e noi dalla cima del Torre, dove stiamo passando la notte siamo assolutamente ignari dell’accaduto. La mattina iniziamo la lunga discesa a corde doppie per la via del compressore. Dopo circa 30 corde doppie, alle 17 raggiungiamo, al limite delle nostre forze, il ghiacciaio alla base del Cerro Torre. In quel preciso momento, capiamo che è successo qualcosa. Incontriamo sul ghiacciaio un team di alpinisti che ci comunica di un incidente avvenuto a Tomy e Korra. Dalle informazioni a nostra disposizione ci viene comunicato che Tomy è riuscito a scendere fino a circa 300 metri da terra, mentre Korra è ferito in maniera grave, non ha dato nessun segnale e non si hanno notizie certe sulla posizione in cui si trova. Grazie al nostro drone, individuiamo la posizione precisa di Tomy, ma purtroppo non siamo in grado di localizzare Korra. Quindi iniziamo le operazioni di soccorso a Tomy circa alle diciotto. Conoscendo bene quella parete e pur essendo estremamente provato dalla nostra salita, mi metto al comando della cordata di soccorso. Dietro a me l’alpinista svizzero Roger Schali, quindi il tedesco Thomas Huber, infine l’argentino Roberto Treu. In circa tre ore ripercorriamo i sette tiri della nostra via fino a nevaio triangolare, quindi con una traversata di sessanta metri raggiungiamo Tomy. Quando finiamo di mettere in sicurezza Tomy e farlo scendere, accompagnato da Thomas Huber e Roberto, è già passata la mezzanotte. Si è alzato un vento fortissimo, la temperatura è precipitata. Io e Roger siamo soli sulla montagna con una sola corda a disposizione, cerchiamo di chiamare o avere notizie su Korra, ma non riceviamo alcun segnale. Tomy ci aveva comunicato che si trovava trecento metri sopra di lui e in condizioni estremamente gravi, tuttavia né tramite droni, né tramite i binocoli, nessuno durante la giornata è stato in grado di localizzarlo. Roger ed io, aspettiamo fino alle 3 di notte al freddo e al vento sul nevaio triangolare in attesa di qualche risvolto positivo, che tuttavia non arriva. Quando, inizio ad avere alcuni svarioni, non sentire più i piedi dal freddo e sentire una musica nella mia testa, capisco che è il momento di scendere, perché a malapena potrei badare a me stesso in quelle condizioni. La decisione è amara, ma purtroppo siamo già ben oltre i nostri limiti fisici e psicologici, capiamo che Korra resterà per sempre su quella montagna. A posteriori ci verrà comunicato dall’equipe medica del soccorso che nelle condizioni di Korra, ogni speranza di trovarlo vivo sarebbe stata vana.
Un enorme ringraziamento va a tutti gli alpinisti coinvolti nel soccorso, in particolare a Thomas Huber, che con la sua visione lucida è stato in grado di coordinare le operazioni in parete. Ed anche a tutte le persone che hanno partecipato nel soccorso a Tomy, per trasportarlo dai piedi della parete fino all’accampamento Nipo Nino. È stato un lavoro di squadra incredibile con più di quaranta persone coinvolte, sia argentine che di altre nazionalità, che per tutta la notte e a discapito di rischi personali, si sono mobilitate dal paese di El Chalten, stando per quaranta ore di fila senza dormire, per portare Tomy in salvo. Una ennesima grandissima dimostrazione di solidarietà nel mondo alpinistico.
Chiamiamo la via appena salita da David, Giga ed io, “Brothers in arms” in onore di Matteo Bernasconi, Matteo Pasquetto, Korra Pesce e tutti i nostri fratelli che sono mancati sulle montagne che tanto amiamo.