Il medico di famiglia e lo stress da mercato

Da Bernardeschi e Keita fino a Niang: l'estate folle degli ammutinati del pallone

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Il punto è che c'è stato anche un tempo in cui i contratti si firmavano in bianco, perché si riconosceva il beneficio di essere dei privilegiati e perché esisteva un senso di appartenza che andava perfino al di là dei soldi (comunque moltissimi) che si guadagnavano. Boniperti, ad esempio, raccontava spesso che Valentino Mazzola "autografava" le sue stagioni con il Torino lasciando al presidente granata l'onere di mettere la cifra. Quale che fosse, andava benone.

Lo stesso fece, smenandoci, Arrigo Sacchi al suo primo ingaggio rossonero: "Alla fine firmai per il Milan - raccontò una volta -: contratto in bianco, dissi, mettete voi la cifra. E loro mi diedero meno di quel che prendevo al Parma. Ma a ogni stagione chiusa con una vittoria importante, lo stipendio raddoppiava".

E lo stesso faceva, sempre, Billy Costacurta: "Vi posso dire che Billy in 30 anni di Milan è stato l'unico calciatore a firmare sempre il contratto in bianco, gli altri facevano finta, lui metteva la firma e aspettava che fossi io ad inserire l'importo". Firmato, Adriano Galliani. Cose di un altro mondo a pensarci oggi. Già, perché qualcosa è evidentemente cambiato. Non solo non esiste più l'attaccamento a una maglia. In qualche modo non esistono più nemmeno i contratti. Si firmano, ci si stringe la mano sorridenti in favore di telecamera, e poi si calpestano. Carta straccia o poco più.

Il punto di rottura è la deriva di questa estate folle. Un'estate di ammutinati e malati immaginari, scenette buone al massimo per una pièce teatrale, per attori consumati sulla scena del pallone moderno. Vuoi cambiare squadra e non te lo permettono solo perché hai firmato un contratto? Ma come si permettono! E allora basta che si ribelli uno e lo fanno tutti. Ma tutti davvero. La lista è nota e si allunga di giorno in giorno: Keita (certificato medico), Bernardeschi (certificato medico e niente ritiro a Moena con la Fiorentina), Kalinic (certificato medico), Spinazzola (convocazione rifiutata), Dembelé (fuga e assenza ingiustificata all'allenamento del Dortmund) e, infine, Niang (certificato medico). Tutti travolti dal ciclone mercato, stressati, perché questa è quasi sempre la diagnosi ufficiale, dall'impossibilità di potersi trasferire nella squadra preferita. Il resto, i contratti, i rapporti con la società e con i tifosi, si fottano allegramente. Professionisti sì, ma della fuga.

Sia chiaro: se la tua società ti vuole cedere, come nel caso di Niang, hai anche il diritto di sceglierti la destinazione. Ma sia chiaro anche che la destinazione si sceglie insieme. Insomma, a ciascuno il proprio pezzo di torta, ma la fetta avvelenata non può far parte del piatto. Per capirci: un conto sono i 20 milioni che il Milan avrebbe incassato dallo Spartak Mosca (lecito, più che lecito, che Niang non voglia andare in Russia). Altro sono i 12 offerti dal Torino. Ecco, in quegli otto milioni, oggi, si infila come niente il medico di base. E se poi sui social i tifosi non ci vedono più dalla rabbia - e se la prendono con giocatore e medico -, se poi tutto sembra una mera questione morale tra chi ha tutto e chi si ammazza di lavoro per guadagnarsi una pagnotta che nemmeno sempre si riesce a portare a tavola, beh, se questo accade è solo un numero dello stesso circo. Lo show, manco a dirlo, va avanti.

Resta da capire, sarebbe curioso capire, come ci si possa difendere e se è questo quello che dobbiamo e dovremo aspettarci in futuro. Oppure se la Figc e la Lega decideranno prima o dopo che è arrivato il momento (subito, oggi, adesso) di dire basta e trovare una soluzione. Perché si può anche scivolare via dall'eleganza di un contratto firmato in bianco, ma non si può sempre scappare dalle proprie responsabilità. Scripta, quando si mette nero su bianco, manent. Se l'inchiostro usato non è simpatico e il comportamento, ahinoi, non troppo.

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