Scelte iniziali, manovra e cambi: gli errori di Gattuso condannano il Milan

Il tecnico parla di squadra che ha paura ma è il primo ad alzare bandiera bianca. Ecco perché...

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Sembra quella storia dell'uovo e la gallina, solo che la gallina non è dalle uova d'oro e una risposta al dilemma questa volta c'è: chi ha più paura, il Milan o Gattuso? All'indomani di una notte un po' folle finita con i fuochi d'artificio di Zielinski e Mertens, il tema della questione - la paura appunto - l'ha suggerito stranamente il tecnico milanista senza riuscire però a individuare, se non all'interno di parole di circostanza ("Sono il primo responsabile", ha detto), il vero colpevole della sconfitta di Napoli. Spiace dirlo, perché Gattuso si porta dentro e addosso una bella fetta di rinnovato e imprescindibile "milanismo", ma una parte non irrilevante della rimonta subita al San Paolo va addebitata proprio al tecnico. Cerchiamo di spiegare perché.

Le sensazioni della vigilia facevano pensare a un Milan con almeno due elementi nuovi rispetto alla scorsa stagione. L'assenza forzata di Calhanoglu, squalificato, sembrava portare verso un 4-3-3 con Bonaventura esterno alto al posto del turco e Bakayoko nel ruolo di mezzala sinistra e con il compito di coprire le spalle, insieme a Kessie, a Biglia, mai come oggi irrinunciabile fonte di gioco. Gattuso ha invece scelto una squadra più accorta, inserendo Borini a sinistra e abbassando Jack in modo da avere maggior copertura in fase difensiva e una fonte di gioco alternativa a Biglia in mezzo al campo. In linea teorica, pur rinunciando di fatto alla spinta sulla catena sinistra - da cui è nato il primo bellissimo gol, va detto -, la soluzione poteva anche starci. In una squadra che il tecnico continua a considerare e definire impaurita, questo è stato però il primo segnale di "resa" all'avversario. Qualcosa come: dato che la palla l'avranno loro, noi ci copriamo e proviamo a vedere come va in ripartenza.

Questa idea di gioco, sublimata nei tre passaggi che hanno portato al gol dell'1-0 (cambio campo di Suso, sponda di Borini e forbice di Bonaventura), avrebbe potuto essere tanto più efficace una volta passati in vantaggio. Il Milan ha invece preso a gestire pallone e gioco come se mancassero da subito una decina di minuti al gong (invece si era al 15'!), optando per un giro-palla basso e molto pericoloso in parte condizionato dal pressing offensivo del Napoli, in parte dall'incapacità di saltare il centrocampo azzurro cercando gli esterni alti o, in alternativa, Higuain, peraltro particolarmente bravo, anche in una gara almeno difficile come quella del San Paolo, a gestire il pallone facendo salire la squadra.

I primi errori sono quindi nella formazione iniziale: scelte più conservative che offensive, scarsa protezione di Biglia - molto spesso, infatti, in grande difficoltà anche per la pressione costante di Zielinski, Hamsik e Allan su di lui -, rinuncia al gioco verticale quasi totale in favore di un possesso palla sterile e molto lento.

In tutto questo, al termine di un'azione di una ventina di passaggi - bella, per carità, ma per andare in porta ne dovrebbero bastare tre... -, il Milan si è ritrovato sul 2-0 al secondo tiro in porta e a inizio ripresa. Il gol di Calabria, che avrebbe dovuto essere la pietra tombale sul match, è incredibilmente diventato il trampolino di lancio per la rimonta del Napoli. Come si vede chiaramente dalla foto qui a fianco, la prima rete di Zielinski nasce da un errore clamoroso - scarico folle di Musacchio su un Biglia preventivamente aggredito dal polacco del Napoli - e conduce poi a un altro errore altrettanto grave. Spieghiamo: l'argentino non era evidentemente in giornata, anche se poco sostenuto dai compagni, ma sostituirlo subito dopo aver perso la sanguinosa palla dell'1-2 ha portato a tre effetti tutti negativi. Gattuso gli ha praticamente - anche se involontariamente, tanto da aver sottolineato poi nel post-partita le responsabilità di Musacchio - gettato la croce addosso, ha tolto uno dei due conduttori di palla dal campo preferendogli un interditore puro (Bakayoko) e ha insinuato nella squadra tutta la sua paura di essere rimontato. Paura che si è poi trasformata in realtà. Il tutto mentre Ancelotti dava una scossa opposta alla sua squadra inserendo Mertens al posto di Hamsik. Al messaggio di Ancelotti "ti aggredisco e ti costringo nei tuoi 20 metri", Gattuso ha insomma risposto "mi difendo e rinuncio ad attaccarti". Ha abbassato la testa invece di rialzarla. E ha rinunciato di fatto provare ad aggredire gli spazi che l'inserimento di una punta per quello che era il regista in quel momento (Hamsik) avrebbe necessariamente aperto nel centrocampo del Napoli.

Errore psicologico che ha ripetuto immediatamente dopo il 2-2, inserendo un esterno conservativo, Laxalt, invece di un giocatore in grado di costringere il Napoli a difendersi come, almeno sulla carta, avrebbe potuto essere Castillejo, preso tutto sommato per la capacità di aggredire gli spazi, per la sua velocità nelle ripartenze e per la sua facilità di creare superiorità numerica con i dribbling. L'inserimento di Cutrone nel finale, comunque a discapito di Bonaventura, unico centrocampista di manovra e inserimento rimasto in campo, è solo frutto della disperazione di trovarsi sotto a una manciata di minuti dalla fine.

Rispondendo quindi alla prima domanda, ha avuto più paura il Milan o Gattuso, viene da pensare che il tecnico abbia in qualche modo aiutato la sua squadra a non essere coraggiosa. E questa condizione è sia mentale che tecnica. Il Milan sapeva di avere un calendario complicato - Napoli al San Paolo e Roma venerdì prossimo a San Siro - e Rino ha forse temuto di ripartire con un pesante nulla di fatto sulle spalle. Ma la corsa Champions il suo Milan non la deve costruire con punti strappati con i denti, la deve invece inseguire dentro una mentalità da squadra che si sente forte e in grado di giocarsela con tutti. Il problema non è perdere a Napoli. Il problema è non permettere a un Napoli sotto di due gol di immaginarsi anche soltanto la possibilità di riprendere una partita persa. Si è letto in queste ore, specie sui social, che un Milan con dieci giocatori sotto la linea del pallone sembrava il Chievo. Non è vero: il Milan, come anche la Juve spesso e volentieri, deve saper giocare con dieci giocatori sotto la linea del pallone e difendere di squadra. Ma deve poi saper ripartire. Essere rapido di testa e di gambe. Aggressivo, convinto e guidato da giocate mandate a memoria. Biglia che non sa dove scaricare il pallone e lo perde spesso e volentieri sull'aggressione degli avversari non è solo un giocatore in evidente difficoltà. È, soprattutto - e al netto di una campagna acquisti che ha avuto il grande difetto di non inserire in mediana un altro centrocampista di qualità -, un regista senza giocate "predefinite". Non ha nei piedi e nella testa palloni "telecomandati" da ore di allenamento. E non ha, tra l'altro, quasi nessuna giocata facile che non sia laterale o, più spesso, indietro. È su questo che Gattuso dovrà lavorare, è questo il "salto di qualità" di cui ha parlato Sacchi riferendosi proprio a Rino. Il Milan ha bisogno di imparare calcio, di averlo dentro. Altrimenti gli resterà sempre addosso la paura di non avere alternative a un posto da attore non protagonista del campionato.

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