Trail Grigne Sud, un ottovolante a picco sul lago

Pioggia, fango, nebbia e poi tanto sole per una trail “estremo” sulle montagne lecchesi

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La prima sorpresa della giornata arriva all’uscita del traforo del Monte Barro, alle porte di Lecco: pioggia battente! Il temporale della notte per fortuna si sta esaurendo ma, visto che mi sto recando a Mandello del Lario per correre il Trail delle Grigne Sud, la reazione è scontata: bene, oggi “fratello fango” non mancherà di farci compagnia. Delle insidie legate al terreno scivoloso mi parla subito l’organizzatore Alessandro Gilardoni quando ci incontriamo al centro sportivo della località lariana. So già che poi la frenesia della gara “rimuoverà” questo come tutti gli altri inviti alla prudenza, invece così preziosi, ma intanto mi impegno a farne tesoro. Anche perché viene da una persona che un paio di settimane fa ha affrontato (e completato) per la quinta volta il Tor des Geants. Chapeau!

Dopo aver messo le tende nella palestra della Polisportiva di Mandello e fatto un’abbondante colazione al bar, percorriamo alla spicciolata il chilometro scarso tra il centro sportivo e la più scenografica Piazza Garibaldi che, da questa terza edizione, ospita partenza ed arrivo della nostra “Extreme” e della versione light (anzi ufficialmente “Sprint”) della TGS, sulla distanza della mezza maratona. Non c’è stato tempo di fare il riscaldamento, quindi i primi chilometri di gara sono anche più duri del solito. Per non restare intruppato al via, mi sono posizionato fin troppo avanti nella griglia di partenza: scatto con i migliori ma è un’ebbrezza parecchio fugace. Nel senso che i top runners vanno in fuga subito …

Nelle prime svolte di sentiero nel bosco mi supera a destra Laura Neuberger from Austria. Ancora non lo so ma con lei sarà tira e molla per le prossime otto ore e mezza. Ora si sale con decisione verso lo Zucco di Sileggio. Neanche il tempo di respirare e siamo di nuovo con la lingua di fuori verso il GPM del Monte Pilastro, passando per una breve paretina attrezzata. Mentre sono in bagarre con un avversario, Laura-di-cui-sopra mi stoppa senza tanti complimenti chiedendomi di scattarle una foto. Accidenti, ma proprio ora? Quello là poi scappa ... E poi con 'sta nebbia non si vede neanche il lago …! Arrivati sulla vetta del Pilastro, la vista si apre su tutta la parte centrale del percorso, in pratica fino al Rifugio Bietti-Buzzi ... and beyond. Il discesone dal Pilastro (che ricordo terribile un anno e mezzo va alla Esino Skyrace, anche perché lo avevo affrontato ... in salita e sotto una pioggia torrenziale e gelata) si esaurisce alla Bocchetta di Prada, un piccolo angolo di paradiso. Una salita leggera e corribile ci porta a sfilare a fianco dello spettacolare arco di pietra della Porta di Prada.



Doppiata la quale inizia un traverso di nuovo tutto o quasi da correre fino alla massiccia costruzione del Bietti-Buzzi. Dove afferro e butto giù un bicchiere d’acqua dopo l’altro (i sali mi danno già noia) ma soprattutto tanta, tanta uva bianca: che non mi è mai sembrata tanto gustosa … Appena sotto il rifugio, ancora stanco, per un attimo perdo di vista i nastri azzurri che indicano la rotta. Due escursionisti appena oltre la valletta riescono a sentirmi e mi gridano : vieni, vieni da questa parte. A me (lo devo proprio scrivere) queste cose piacciono un sacco. Il nastro successivo lo avevo in realtà già individuato ma la solidarietà dei compagni di sentiero “non agonisti” mi riempie sempre il cuore, mi trasmette energie più di qualsiasi barretta o dell'ennesima bevanda energetica al gusto di ... detersivo per i piatti o giù di lì.

Ti incoraggiano, si fanno da parte per non intralciarti, ti indicano la strada, appunto. Li raggiungi, li oltrepassi, li ringrazi. Magari con un filo di voce ed il respiro affannato. Ma li ringrazi sempre. Chissà, forse ero immerso proprio in pensieri del genere quando, poco sotto, perdo per un attimo concentrazione ed equilibrio e, per parare la caduta, appoggio a terra il braccio destro, nel quale reggevo i bastoncini (non citerò la marca ...) a metà lunghezza ed in posizione di riposo. Crack! Uno dei due si spezza di netto nello spazio libero tra due massi … Me lo porto dietro (ormai inutilizzabile) fino al ristoro di fondovalle a Era Bassa, dove lo abbandono al suo destino, o meglio lo consegno ai volontari … in cambio dell’ennesimo grappolone d’uva! La risalita verso il Rifugio Elisa è una mezza tortura. Sentiero nel fitto del bosco … Non riesco proprio a farmelo piacere. Io adoro le prateria d’alta quota, le roccette, cose così. In più il fango abbonda e, passando sul percorso nella seconda metà del gruppo, in certi punti è tutto uno slittone. Per fortuna le mie Scott Supertrac RC Ultra sono una vera e propria garanzia di tenuta e sicurezza. Ad un certo punto guardo verso l’alto e, tra la vegetazione, filtrano raggi di sole che bucano la nebbiolina. Uno spettacolo impagabile. Di breve durata, ma impagabile. Il peggio è alle spalle, l’Elisa è in vista. Così diverso dal Bietti-Buzzi.

Una casetta nel bosco, laddove il BB è un edificio imponente in un ambiente molto più arioso ed “alpino”, appena sotto le pareti rocciose delle Grigne. Il ristoro dell’Elisa praticamente lo salto perché, poco prima, l’itinerario tocca il “mitico” Casello della Spaola, dove i locali, in occasione del passaggio della TGS, mettono su un punto di ristoro “alternativo” a base di costine, bresaola e … birra! Assaggio un po’ di tutto tranne la birra che mi concederò nel dopogara. Adesso mi taglierebbe le gambe, che al momento mi servono … L’ennesima discesa verso il fondo della conca che si apre alle spalle di Mandello fila via veloce veloce, il più possibile. Doppiato il rifornimento di Gardata, uno dei punti che amo di più lungo questo itinerario, un altro traverso nel bosco ci proietta nella rapida calata verso il fondo della Val Meria. Lo sognavo da un paio d’ore perché sapevo che, prima dell’ennesima risalita nel bosco, non avrei guadato il torrente Meria senza essermi rinfrescato abbondantemente con le sue acque freddissime e ristoratrici. Sollievo incredibile. Mentre sono lì a fare il sirenetto, mi passano in due o tre. Tra di loro anche Laura l’austriaca che, dopo avermi preso un paio di volte e poi essere stata di me di nuovo raggiunta e staccata, prosegue la sua performance a corrente alternata (come la mia, d’altra parte). Al ristoro di Versarico la sento dire: “What an adventure!” Eh si, ha proprio ragione. Mi sa anche che è poliglotta: risponde in italiano ai saluti, chiede informazioni sul percorso in inglese e … direi che (pur conoscendo io la sua lingua madre) caccia qualche accidente nel dialetto di casa sua (che non afferro ma del quale intuisco il senso ...) quando la vedo finire un in un paio di occasioni lunga e distesa in mezzo alla fanghiglia. Il pomeriggio è ormai inoltrato, il sole pieno ha preso il posto delle nuvole, la temperatura si innalza ed il sentiero pure. Siamo all’ultima rampa, quella che porta allo Zucco di Manavello. Come a volte mi capita, nel finale mi sento ringalluzzito: sarà l’aria del traguardo che si avvicina. Stacco Laura e qualche altro inseguitore, oltrepasso il ristoro “di vetta” (dove mi contano P 76) e mi lancio a capofitto nella discesa verso Mandello. Dietro l’ennesima curva mi imbatto in Rocco, il compagno di Tatiana, l’amica e collega alla quale ho chiesto di darmi una mano nel raccontare – da un altro punto di vista - questa bellissima ed impegnativa giornata. Lui le sta andando incontro, insieme al loro border collie Indie. Mi fermo volentieri a scambiare quattro chiacchiere, abbandonando temporaneamente l’inseguimento a Monica (vai, vai che poi vengo a prenderti). Riparto con i migliori propositi di fare attenzione perché so per esperienza che nel finale le caviglie sono fortemente a rischio. Ma niente da fare: come si diceva all’inizio, qualsiasi invito alla prudenza (anche autoinflitto) sparisce nel nulla nel momento in cui subentra il “furore” agonistico.

Si chiude la vena, si riapre la caccia a Monica che riacchiappo nel giro di pochi minuti: P75. Ci prendo gusto e alle porte di Mandello sfilo Marco e Nicola: P73. In pieno centro mi trovo davanti all’improvviso Antonio che sta ormai camminando, godendosi il finale, evidentemente convinto di aver messo in cassaforte il suo piazzamento. Lo faccio spesso anch'io ma solo quando lo sguardo spazia lontano, non tra le viuzze di un centro storico, dalle quali un runner assatanato può sbucare fuori all'improvviso. Preso in contropiede, l'Antonio prova a ripartire ma ormai è tardi: si rimette al passo e, arrivati a Piazza Italia, mi fa: “vai tu” e mi manda avanti con una pacca sulla spalla. Okay, P72 fino al gonfiabile del traguardo, in otto ore e 50 minuti. Fanno otto posizioni meglio del 2018. Ma soprattutto dodici minuti in meno rispetto ad un anno fa. Di solito avviene il contrario … Mi siedo per terra, ansimante, fissato a lungo da un ragazzino lì ad un metro, che non apre bocca ma sembra dire: perché lo fai? Ripassa tra una decina d’anni e ti spiego che: “L’uomo è ben più di una macchina: è uno spirito, un dio nel mondo, ma lo è in una relazione con le cose che lo circondano ben più vitale e superiore a quella motivata dai soli bisogni”. (Friedrich Hoelderlin) Poi aspetto Tatiana, Rocco e Indie: quattro chiacchiere, ci scambiamo le rispettive impressioni, una meritata birra e un po' di relax sul prato prima di prendere la strada del ritorno ma … da queste parti, si torna tra un paio di settimane per una prova come minimo altrettanto impegnativa.

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