L'ESCLUSIVA

Francesca Canepa, correre per crescere

La nostra intervista con la prima e unica atleta italiana capace di vincere – l'anno scorso – l'UTMB, il mitico Ultra Trail du Mont-Blanc. Per scoprire, oltre alla campionessa, una donna dalla personalità ricchissima e magnetica

di
  • A
  • A
  • A

Quando cerchi un titolo per il servizio che hai appena terminato di scrivere, e lo cerchi al suo interno, e capisci di avere solo l’imbarazzo della scelta, beh questo significa che la sostanza è tanta, gli spunti numerosi. Mi è capitato proprio questo rileggendo l’intervista realizzata con Francesca Canepa alla prima edizione del Lecco Mountain Festival. Dove la campionessa valdostana, vincitrice dell’UTMB 2018, ci ha raccontato molto della sua avventura vincente in una delle gare di trailrunning su lunga distanza più prestigiose al mondo: 170 chilometri di sviluppo e diecimila metri di dislivello positivo. Le abbiamo fatto molte domande, in alcuni casi prendendo spunto da quanto avevamo letto su “UTMB, la mia olimpiade”, il libro che Francesca ha dedicato al successo più bello della sua carriera da ultrarunner, ma non certo l’unico e nemmeno l’ultimo, visto che la Canepa ha appena vinto la Maxi-Race di Jiangshan, in Cina. Una prova da oltre cento chilometri che lei ha poi raccontato su facebook con il suo stile asciutto, razionale e fantasioso ad un tempo: straordinariamente efficace e coinvolgente.

Francesca, un anno e un mese abbondante dopo il tuo successo all’UTMB. Ormai questa vittoria è “scesa nel tuo animo”. Come la rivedi, come la rivivi?
"Mah, come prima! Non è proprio scesa perché diciamo che ancora molte volte faccio fatica a pensare di averla fatta. Quindi devo sempre ragionare. Però no, diciamo che sto cercando di acquisirlo, nel senso che effettivamente sono diventata una delle poche che ha vinto questa cosa. E da un lato è bello perché ti dà tutto. Dall’altro rende difficile trovare qualcosa di meglio. Quindi questo è un problema".

Vincere questa gara ti ha portato – al di là della notorietà – anche più gare, più inviti. Cosa è cambiato nella tua vita di atleta?
"Beh, sicuramente inviti si. Difatti adesso, per dire, mi hanno invitato in Brasile per fare cinquanta chilometri … è strano perché comunque si pensi, vabbeh, questi scelgono me? Si, questo è cambiato. Invece dal punto di vista personale cambia il fatto che mi sono resa conto che quando vivi una cosa così dove … è tutto, cioè hai il pieno di tutto, niente è più a quel livello e questo è un casino perché comunque per persone come me che cercano sempre magari la cosa in più, la cosa un pochino … più alta o più difficile … eh, non c’è! E quindi devi riempirti in altra maniera. Perciò niente, io sto cercando di reinventarmi, nel senso che prendo quello che mi viene dato. Quindi se ho occasione di inviti in posti strani, in posti che non conosco, accetto, vado a vedere e cresco. Però diciamo che a livello agonistico trovare qualcosa di superiore è impossibile".

Di quella gara dell’anno scorso, cosa ti ha colpito di più? L’emozione della partenza, tutto il pre-gara? Qualche momento della gara stessa, l’arrivo? 
"Eh, allora..., alla partenza sicuramente ero contenta perché è stata la prima volta che sono riuscita ad arrivare lì pensando: chissenefrega. Questa era la cosa fondamentale perché se vai lì, e ti frega, molto facilmente non arrivi in fondo. Quindi sono riuscita a tenere il mondo fuori, che è poi quello che io consiglio sempre a chi mi chiede come fare queste gare: tutti fuori, segui te stessa e sono riuscita ad eseguire il piano. Poi, è stato bellissimo nel momento in cui ho capito che io stavo realmente facendo una progressione. E questo l’ho capito a Fully quando Renato (Jorioz, il preparatore atletico di Francesca, ndr) mi ha detto la situazione. Lui vedendola da fuori ha visto le altre come stavano e mi ha detto “tu sei un fiore”. Detto questo, come ho scritto nel libro, io ho poi ho visto l’operatore della tv vicino e ho pensato: io sono terza e ho questo qui a fianco, deve voler dire qualcosa. E allora pensavo, perché io ho tutto questo tempo per pensare …e ho pensato. E allora ho cominciato a capire che se lo mandavano loro magari loro avevano capito qualcosa che io non ho ancora capito. E quando poi sono Arrivata al ristoro dopo, quindi a Champex - che secondo Renato è il posto dal quale parte la gara davvero – lì ormai me ne mancava una ed ero vicinissima e ho pensato solo: adesso io devo passare e devo prepararmi perché quando passo … sono io. Solo che non sono arrivata, il problema è quello, tu passi ma poi ne rimangono ancora trenta, di chilometri, adesso io non mi ricordo quanti ne mancassero ma può succedere ancora tutto e ricordo di aver avuto paura perché ho pensato: io non voglio – per me stessa – trovarmi in cima al mondo e cadere. E quindi devo stare attenta. Allora poi quando sono passata, ho preso il comando e, se vogliamo, ho dovuto prendere il comando principalmente di me stessa dicendomi, ok continua a fare come hai fatto prima, non guardiamo niente, stiamo concentrati e poi quando sono arrivata giù, in fondo, sapevo che c’erano le ali di folla. Però Renato mi ha rovinato la festa perché mi ha detto che avevo dietro la spagnola (Uxue Fraile Azpeitia, ndr) a due minuti, che poi non era vero, ma lui mi ha detto così. Quindi di fatto io avevo solo la furia di finire e non ho assorbito. Cioè ho assorbito lo stesso però non bene come volevo perché io avevo anche pianificato di camminare. Però no, quella parte lì diciamo che l’avevo preparata prima perché la mia amica Caroline Chaverot (che aveva vinto nel 2016) mi aveva proprio raccontato che lei non era mai riuscita a godersi niente. E allora io durante la gara mi ero preparata e ho detto: questo non deve succedere a me. Io minuto per minuto devo ricordarlo e l’ho fatto e poi l’ho scritto nel libro. Così, nel caso avessi un’amnesia, rimane!".

E c’è stata tra l’altro l’emozione del traguardo insieme ai tuoi figli che, nel frattempo, rispetto ad alcuni anni prima (all’UTMB 2012, ndr), quando eri arrivata seconda, erano molto cresciuti. Nelle foto del libro si vede bene questa differenza tra loro piccolini e poi più grandicelli. A te cosa ha regalato questo momento?
"Mah, allora, sul momento non me l’aspettavo perché loro mi avevano tassativamente detto che non ci pensavano nemmeno a presentarsi. Quindi niente. Ripeto, niente comunque perchè dura poco quella cosa li’, dura veramente … saranno cinquanta metri. Però poi quando ho riguardato i video e confrontato le foto ho pensato: renditi conto, tu sei l’unica persona al mondo ad aver fatto questo traguardo qui, in questa situazione, con i ragazzi, a sei anni di distanza. E loro danno la misura del tempo perché altrimenti io tutto sommato sono così’. Però vuol dire essere stata solida per sei anni ed è una cosa importante perché vuol dire che come atleta hai spessore. E allora sono contenta".

Tu hai un modo molto efficace, molto diretto, di raccontare le tue gare. Queste cose che tu scrivi sono una trasposizione diretta del film che ti fai correndo o le rielabori?
"No, no, no! Io quando vado mi parlo spesso perché … ho tutto questo tempo, quindi devo fare qualcosa e penso molto e penso esattamente le cose che scrivo. Quando mi metto lì a scrivere su facebook non faccio altro che riportare testualmente il vissuto che avevo e mi piace perché secondo me essere autentici funziona. Nel senso che a me piace che la gente che segue quello che faccio sappia come sono davvero. Cioè devono sapere che io casino ne faccio e che appunto sono ben lontana dalla perfezione e sono ben lontana dalla persona che se la tira o cose varie. Io anzi penso sempre in gara che chiunque è meglio, che chiunque sta andando molto più facile e così devo cercare di venire a patti con questi pensieri. Però mi piace perché arricchisce e quindi sono contenta perché vedo che le persone lo apprezzano e dò comunque qualche spunto in questo modo, perché ovviamente credo che spunti da chi è perfetto non ne prendi molti, perché poi perfetto non lo è nessuno e quindi io, nel momento in cui metto a disposizione il casino che faccio, beh forse la gente ci può trovare qualcosa di utile".

C’è uno spunto, nelle pagine iniziali del tuo libro, che ho trovato molto interessante. Quando tu dici che se, correndo, in una data gara o invece in una qualsiasi gara, ti trovi con altre persone intorno, si stabilisce una specie di comunanza. Pensi che questo valga per tutti o che magari qualcuno pensa solo alla prestazione e altri invece hanno il tempo di vivere la corsa in un modo diverso?
"Allora, non lo so … perché io so cosa vale per me e io vado sempre per il risultato. Non è che ci raccontiamo che vado per fare le foto. No! Però, pur andando per il risultato, io vado anche per restare in confort. Quindi essendo in questo stato qua posso chiacchierare. E parto dal presupposto che se una si trova con me in quel momento, è più o meno nella mia situazione, quindi possiamo fare qualche parola ma è vero anche che io non lo faccio con chiunque. Deve comunque scattare un feeling e non è così comune. Altra gente che lo faccia effettivamente non ne vedo tanta. A me è capitato poco. Mi è capitato con questa Fiona (Hayvice, ndr) della quale parlo nel libro, che è una neozelandese e poche altre volte. Perche’ comunque vedo che - posso essere impopolare – c’è un po’ di ipocrisia in questo mondo dove tutti dicono che sono tutti amici ma di fatto nessuno è amico di nessuno e sono tutti con il coltello tra i denti. Io ho una visione diversa, nel senso che io faccio le gare per il risultato però – volendo stare bene – se quella giornata lì mi porta - che ne so? - ad essere in quarta posizione, che sicuramente non è quella che voglio, ma di più non mi esce, pazienza, cioè non è che vado ad ammazzarne uno perché … No! Magari chiacchiero a quel punto. Quindi la giro su qualcosa che mi permette di arrivare magari in fondo meno incazzata. Vedo che comunque è più facile avere questo tra atleti dello stesso livello. Cioè, difficilmente se ti trovi vicino quello che è lì per miracolo perché tu stai male, beh … ‘sta cosa non succede. Ma se trovi qualcuno della tua stessa forza può succedere anche perché magari non fai dipendere la tua vita dal risultato. Quindi nel momento in cui non devi vincere per forza, non devi per forza battere questo, puoi benissimo avere dei momenti belli. Per esempio a Kilian (Jornet, ndr) succede, di stare con qualcuno".

Per finire come abbiamo iniziato, l’UTMB ti ha cambiato la vita, certe prospettive come atleta, è difficile fare di più di così ma adesso … quali sono i tuoi programmi, se ne hai di definiti.
"Non lo so …! Io vivo molto alla giornata. Nel senso che non mi piace fare programmi per il semplice motivo che, se non mi sento bene, non voglio essere obbligata a fare qualcosa. Quindi questo crea un po’ di problemi perché difficilmente chi ha a che fare con me ha qualcosa di concreto su cui lavorare, però … è così che funziono. Quindi non posso dirti di avere qualcosa di che veramente voglio fare e che farò di sicuro. Vivo giorno per giorno".
 

Commenta Disclaimer

I vostri messaggi 0 comments