L'apparente "resa" del sette volte iridato attende smentite a stretto giro di... pista
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Perplessità: ce l'ha scritto sulla calotta del casco giallo, ce l'ha stampato in testa ed è un pensiero fisso. Poco conta che si tratti solo di uno sponsor. Lo sfogo di Lewis Hamilton nel dopo qualifica di Budapest ("Non so cosa mi manca, me lo chiedo anch'io. La macchina non è un problema, visto che è in pole: forse bisogna cambiare il pilota") misura uno sconforto difficile anche solo da immaginare per il pilota più vincente nella storia della Formula Uno alle prese con il momento più buio della sua carriera, proprio quando tutto dovrebbe invece essere di un rosso brillante. La contemporanea pole ungherese di Charles Leclerc "peggiora" ulteriormente le cose e in un certo senso le complica, scaricando addosso al quarantenne campione di Stevenage una scomoda evidenza.
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Non è ancora il caso di gettare la spugna, ci mancherebbe altro. Il contesto ambientale e la circostanza hanno aperto una falla nelle certezze (ormai lontane) di sir Lewis ma non si arriva dove è arrivato lui se non si mettono prima nel conto passaggi complicati. Ogni fallimento racchiude una promessa di riscatto: Hamilton ce l'ha pure tatuato addosso. Il Gran Premio d'Ungheria è da un certo punto di vista un'arma a doppio taglio ma la voglia di riscatto è tanta e potrebbe fare la differenza. C'è pure un precedente significativo, beneaugurante e... remoto: nel 1989 a Budapest Nigel Mansell, inglese come lui, al volante della Rossa come lui, prese il via del GP d'Inghilterra dalla dodicesima casella della griglia di partenza come... Lewis e tagliò per primo il traguardo. In tempi di "vacche magre" ci si aggrappa a tutto. Anche un endorsement pubblico da parte del presidente Ferrari John Elkann - magari tra poco più di un mese nell cornice del Gran Premio d'Italia a Monza - potrebbe fare la differenza e - soprattutto - indicare una rotta.