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Mercato auto

I marchi cinesi corrono: valgono già il 6,6% del mercato

In Italia la quota dei marchi provenienti da Pechino e dintorni ha raggiunto il 6,6% ad agosto 2025. Un segnale di un cambiamento strutturale nel panorama europeo

di Tommaso Marcoli
24 Ott 2025 - 10:26
 © Getty Images

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Negli ultimi anni, l’industria automobilistica cinese ha accelerato il proprio processo di espansione internazionale, passando da una posizione marginale a un ruolo sempre più rilevante nei mercati mondiali. La combinazione di una filiera produttiva altamente integrata, costi di manodopera inferiori, disponibilità di materie prime e forti politiche di sostegno pubblico ha consentito ai costruttori cinesi di proporsi come attori credibili anche al di fuori dei confini nazionali. La loro strategia segue una logica precisa: conquistare prima i mercati emergenti, dove il prezzo rappresenta il principale fattore di scelta, e successivamente affermarsi in quelli sviluppati, dove la concorrenza si gioca soprattutto sulla tecnologia e sull’immagine del marchio. In questo contesto, l’Europa rappresenta un terreno più complesso ma anche più ambito, e tra i Paesi europei l’Italia si distingue come uno dei mercati in cui la penetrazione cinese sta avanzando con maggiore rapidità.
La situazione in Italia
In Italia la presenza dei marchi cinesi è ormai un dato strutturale. Secondo le più recenti analisi di Quintegia e AutoScout24, la quota di mercato dei brand emergenti – per circa il novanta per cento di origine o proprietà cinese – ha raggiunto il 5,8 per cento nel primo trimestre del 2025, salendo al 6,6 per cento nel mese di agosto. In termini concreti, ciò significa che una vettura nuova su sedici immatricolate nel Paese porta oggi un marchio cinese o nasce da piattaforme e componenti prodotti in Cina. I marchi più visibili sono MG, BYD, e Omoda. MG, marchio di proprietà del gruppo SAIC, è attualmente il principale protagonista con oltre 35.000 immatricolazioni tra gennaio e agosto 2025. Il suo successo, come quello degli altri brand cinesi, si spiega con un’offerta costruita intorno a un rapporto qualità-prezzo competitivo, a tempi di consegna rapidi e a un livello di equipaggiamento generalmente superiore rispetto a quello delle concorrenti europee di pari fascia.

Il consumatore italiano, tradizionalmente sensibile al prezzo e sempre più pragmatico nelle scelte d’acquisto, si mostra disposto a rinunciare al prestigio del marchio in favore di dotazioni complete e costi di esercizio contenuti. Il contesto economico, segnato da un rallentamento della domanda e da un’incertezza normativa in tema di transizione energetica, ha favorito ulteriormente l’ingresso dei produttori cinesi. In un mercato frammentato e sotto pressione, la loro proposta risulta chiara: offrire tecnologia moderna, elettrificazione accessibile e disponibilità immediata.
L’espansione nei mercati extraeuropei
Se in Europa la crescita è ancora graduale, nelle economie emergenti i marchi cinesi stanno già ridefinendo gli equilibri del mercato. In Brasile, il più grande mercato dell’America Latina, la loro quota di mercato è passata dal 6,8 per cento del 2024 al 9,1 per cento del 2025, collocandoli al quarto posto dietro Fiat, Volkswagen e Chevrolet. In Australia la penetrazione ha raggiunto quasi il 17 per cento, mentre in Thailandia e Israele le auto cinesi detengono rispettivamente il 32,4 e il 32 per cento del mercato. In Cile, Ecuador, Uruguay e Panama le percentuali oscillano tra il 25 e il 30 per cento, mentre in Sudafrica e negli Emirati Arabi Uniti si attestano intorno al 15-16 per cento.

Questa espansione non si basa soltanto sul prezzo, ma anche su una capacità industriale che consente di adattare rapidamente i modelli alle esigenze locali. Nei Paesi in via di sviluppo, dove il costo d’acquisto è un fattore determinante, la proposta cinese risulta spesso l’unica alternativa concreta all’usato o ai marchi tradizionali d’ingresso. Il fenomeno è particolarmente evidente nel segmento dei veicoli elettrici, dove la Cina gode di un vantaggio competitivo decisivo in termini di produzione di batterie e componentistica elettronica.
Analisi e prospettive
La crescita dei marchi cinesi riflette una strategia di lungo periodo, sostenuta da una politica industriale coerente e da una visione sistemica. Il governo di Pechino considera il settore automobilistico non solo un motore economico, ma anche uno strumento di proiezione geopolitica. La capacità di esportare tecnologia, standard produttivi e catene di fornitura è parte integrante di questa strategia. Per l’Europa, e per l’Italia in particolare, questa evoluzione rappresenta una sfida complessa. Da un lato, l’arrivo dei costruttori cinesi amplia l’offerta e aumenta la concorrenza; dall’altro, mette in evidenza i limiti di un’industria continentale che negli ultimi anni ha perso competitività a causa di costi elevati, rigidità normative e scarsa coerenza nelle politiche industriali.
La soglia del 10%
Se la tendenza attuale dovesse proseguire, nel giro di due o tre anni i marchi cinesi potrebbero superare il dieci per cento del mercato italiano e consolidare la loro presenza in Europa oltre la soglia dell’otto per cento complessivo. La questione non riguarda soltanto la difesa di quote di mercato, ma la capacità dell’industria europea di reagire con un piano industriale coordinato, in grado di coniugare innovazione tecnologica, sostenibilità economica e autonomia produttiva. L’espansione cinese, insomma, non è un episodio temporaneo ma il sintomo di una nuova fase dell’automotive globale, nella quale la competizione non si gioca più solo sui modelli, ma sulle filiere, sulle politiche e sulla velocità con cui i sistemi industriali sanno adattarsi ai cambiamenti.