L'EDITORIALE DI BRUNO LONGHI

Capitale capovolta: il bel calcio di Sarri, il non-calcio di Mourinho

La Lazio è una squadra vera, equilibrata e spumeggiante al contrario di una Roma troppo arroccata e rinunciataria

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Capitale capovolta: il bel calcio di Sarri, il non-calcio di Mourinho - foto 1
© Getty Images

C’è sempre una prima volta. La prima volta in cui Spalletti, al settimo tentativo, sconfigge Mourinho. La prima volta in cui l’imbattuta Atalanta cade sotto i colpi di una bellissima Lazio, lasciando così al Napoli capoclassifica l’onore e l’orgoglio di mantenere un rotondissimo e piacevolissimo zero nella casella delle partite perse. Il bel calcio di Sarri ha vinto, il non-calcio di Mourinho ha perso. I due poli della capitale si sono capovolti nello spazio di novanta minuti. Ma non è proprio così. E’ infatti da tempo che la Lazio infila prestazioni sontuose, grazie all’equilibrio che è riuscita a trovare dopo un anno di inutili tentativi e che fa della sua difesa la più forte del campionato. Sarri è stato costretto a rinunciare alle “magie” di Luis Alberto per trasformare una banda di solisti in una squadra vera. Lo ha fatto a malincuore, preferendogli Vecino ma - si sa - il bene della collettività va anteposto a quello del singolo. A Bergamo si è pure inventato Felipe Anderson nel ruolo di Ciro Immobile, infortunato di lungo corso, con un copia/incolla di quanto aveva fatto a Napoli quando aveva trasformato Mertens in un piccolo Higuain. Ha vinto, ha dominato la Dea, con triangolazioni precise, tecniche, veloci; riscuotendo applausi ma anche i complimenti di Gasperini. E’ tornato il “sarrismo,” insomma. Quel calcio che piace. E che sembrava essere sparito ai tempi in cui lui ci aveva provato con l’inallenabile Juventus. La definizione è ovviamente sua. Lo ricordo a beneficio degli smemorati. All’Olimpico si è rivisto il non-calcio di Mourinho, reso tale probabilmente dall’implicita ammissione di inferiorità della sua Roma nei confronti delle più forti, e che induce lo Special One a usare le strategie tattiche tipiche delle provinciali di una volta, per tentare di ottenere il massimo risultato (nel caso di domenica lo 0-0) con il minimo della spettacolarità. Marcature spietate, sfiorando il limite del regolamento (ma spesso anche superandolo) e palloni lunghi a scavalcare il centrocampo nella speranza che accadesse qualcosa che non può mai accadere quando non si fa un solo tiro in porta. Ironicamente ha fatto i complimenti al Napoli per essere stato bravo a vincere una partita che, a suo dire, non avrebbe meritato. Ma il Napoli di Spalletti ha invece meritato confermando la legittimità della sua leadership. E’ stato bravissimo a rimanere concentrato per 95 minuti. A non accettare di scendere sul terreno minato delle provocazioni. Ad aspettare - come Confucio, sulla riva del fiume - che arrivasse la palla buona: la prima, la seconda, la terza e finalmente quella da tre punti scaricata in rete dall’indemoniato Osimhen. Sicuramente gli innamorati di Mourinho non saranno d’accordo. Del resto, si sa, l’amore è cieco. Ma la Roma merita di più. Se ha una sua logica il tentativo di ridurre al minimo la superiorità di chi è più forte, sono inspiegabili le tremende sofferenze patite per esempio contro il Lecce in inferiorità numerica, o contro la Cremonese. Ma in quella partite ha vinto. Cosi come contro Salernitana, Monza, Empoli e Sampdoria. Per un totale di 18 punti in una classifica che la vede quinta con 22.

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